approfondimenti

OPINIONI

In attesa della tempesta perfetta. Le corna originali, i ristori e le piazze

Ambulanti e ristoratori scendono in piazza, chiedendo di riaprire e minimizzando i rischi dell’emergenza sanitaria. Ma il sottotesto delle proteste è costituito da una rivendicazione molto pragmatica: “più ristori e subito!”

Mettiamo subito le cose in chiaro: le manifestazioni di ristoratori e ambulanti non sono una parodia dell’assalto a Capitol Hill e il ristoratore con copricapo peloso e corna non copia lo sciamano di QAnon. Elmo e corna sono originali, denominazione di origine controllata celtico-padana, vengono dal prato di Pontida dai tempi di Bossi e, caso mai, sono stati gli americani a copiarci. Inoltre la mobilitazione sovversiva di Washington istigata da Trump era un coacervo (armato) tenuto insieme da un progetto politico ben preciso.

Qui, davanti a Montecitorio e in altre città, c’era una parte delle vittime dell’emergenza Covid-19, cioè la parte autonoma abituata a galleggiare nel vasto indotto informale del pre-lockdown, che si batte per la sopravvivenza e che è stata aizzata dalla Lega con il solito meccanismo di lanciare il sasso (apriamo subito!) e del nascondere la mano (votare i decreti di necessaria restrizione, partecipando al “governo dei migliori” per arraffare parte del Next Generation EU).

 

“Apriamo tutto e subito” è in realtà una falsa parola d’ordine, che avvicina quelle piazze ai no-vax e ai no-Covid, ma che in realtà copre un contenuto pragmatico: “più ristori e subito!”

 

Slittamento comprensibile, perché attinge alla carica di insofferenza irrazionale ma diffusa per le chiusure: sorgiva, esacerbata dai complottisti e soprattutto favorita dalle incertezze della politica sanitaria e vaccinale dei governi Conte e Draghi.

E, se vogliamo, da una crisi pandemica oggettivamente grave, in cui tutti (dai virologi ai governanti) si muovono con difficoltà e contraddizioni derivanti dal carattere imprevedibile della malattia e della sua trasmissione. Cioè da qualcosa di cui stiamo ancora sottovalutando il maligno carattere epocale.

 

(foto da commons.wikimedia.org)

 

Quindi – malgrado l’irresistibile propensione mondiale di tutte le destre al negazionismo e al complottismo o alla minimizzazione della pandemia, malgrado Sgarbi, Pappalardo e Casa Pound – ambulanti e ristoratori non sono QAnon e AfD e non vanno demonizzati. Bisogna invece pesare le ragioni loro a confronto con altre ragioni e altri soggetti e compensare la loro presenza conflittuale con altre presenze conflittuali di strati più numerosi e sofferenti per la crisi pandemica ed economica.

 

Niente corna sciamaniche ed esorcizzazione virtuosa della sbracata violenza di piazza, andiamo a vedere i programmi di chi li istiga e spera di raccoglierne frutti elettorale, vediamo le composizioni di classe e come si articolano le strategie di chi sta loro dietro, non di chi smania in prima fila a beneficio dei media.

 

Abbiano prima accennata ai facili giochetti della Lega ”di lotta e di governo”, al sasso tirato e alla mano nascosta. Ma anche qui dobbiamo distinguere in termini di progettualità e constituency. Giorgetti esprime gli interessi di un ceto medio produttivo esportatore, ben integrato all’industria tedesca (specialmente bavarese e dell’auto), che vuole tenere i piedi dentro il Governo e avvantaggiarsi dei finanziamenti e delle politiche europee, interessata alla svolta di Biden e poco sensibile alle ideologie estreme e al culto trumpiano, però certo non indifferente a tenere insieme altri soggetti più sciamannati e improbabili che votano e possono essere mobilitati per ottenere ristori minimi che giustifichino sussidi più sostanziosi alla media e grande impresa.

E naturalmente padroni e padroncini sono ben lieti se lo Stato sostiene in qualche modo gli operai precari, sgravandoli dal costo della cassa integrazione e tenendo in vita sacche di lavoro disponibile in caso di ripresa. I padroni non vogliono che gli operai muoiano e neppure che i migranti affoghino: vogliono che stiano lì, disponibili a lavorare con orari lunghi e a sottosalario, perfino tenuti in vita con il reddito di cittadinanza nelle fasi di bassa.
Il popolo di Salvini si agita, il popolo di Giorgetti riscuote.

 

A Salvini – che pure è fondamentale per portare voti alla Lega e intimorire la sinistra – di tutto questo gliene frega poco. Prendiamo il suo programma di governo, esposto pochi giorni fa in un’intervista alla vomitevole “Verità”.

 

Su quali temi punta la Lega per contare al massimo nel governo Draghi – gli domanda il direttore e intervistatore Belpietro, quello per cui gli operai (anzi: «le buste paga») eccedenti sono arti incancreniti da tagliare per salvare i profitti. E Salvini, la faccia come (omissis), risponde: «Riaperture ragionevoli, rottamazione delle cartelle esattoriali, stop al blocco degli sfratti per chi non pagava prima del Covid, aiuti concreti per famiglie e imprese, piano vaccinale efficace con produzione del siero anche in Italia senza aspettare l’Europa lenta e pasticciona.

 

(foto di Iuventa da archivio)

 

Aggiungo ovviamente l’immigrazione: basta sbarchi a raffica, è impensabile chiudere in casa 60 milioni di italiani e poi spalancare i porti». Deduciamo l’area di riferimento: le imprese da “ristorare” (non quelle che puntano a posizionarsi sul mercato europeo), cioè quelle già marginali e precarie che Covid, DaD universitaria e smart working stanno spazzando via e preferiscono incassare e chiudere: l’indotto della pausa pranzo e dei convegni in presenza, ambulanti, alimentari di vicinato, negozi di stracci finto-griffati, onesti trattori e albergatori e squali del junk food e dell’overtourism, padroni e padroncini di casa e tutti quanti hanno problemi con il fisco – beninteso, gente che ha diritto di vivere ma che poco conta nel contesto della “ripresa” capitalistica e nei calcoli di Draghi e Giorgetti.

 

Poi, fra qualche strizzata d’occhio agli amici di Trump e di Putin, elettori di pancia identitari razzisti, famiglie patriarcali e omofobe, no-euro, evasori non proprio “di necessità”, sanguisughe a spese di studenti fuori sede, ecc. – sul cui diritto a sopravvivere preferisco sorvolare.

 

Manca qualcosa? Produttori di pezzi di ricambio per Mercedes, magari interessati al taglio del cuneo fiscale, i manager dell’informatica e della grande distribuzione, i satelliti Fiat-Fca-Gedi-Stellantis, i leader di Confindustria e Confcommercio, ecc. – e quelli, a tagliare con l’accetta, sono i referenti di Giorgetti e in parte la sua constituency. Nonché i cocchi del “Corriere della Sera” e del “Sole.24 ore”, che infatti non vanno in estasi per il “Capitano”.

E poi mancano gli operai “garantiti”, quelli cassintegrati, quelli sull’orlo del licenziamento, i lavoratori informali e di piattaforma. Mancano i poveripoor labourer e file alle mense Caritas, disoccupati, neet, “incapienti”, senzatetto, clandestini, occupanti di case, marginali di ogni sorta.

Salvini in generale non se ne occupa, quando ci butta l’occhio immancabilmente si schiera contro la parte debole: sostiene l’accordo-truffa Ugl per i rider, si oppone alla proroga del blocco dei licenziamenti, difende gli sfratti in nome dei sacri diritti della proprietà privata, sostenendo che i proprietari devono incassare gli affitti, cacciare gli inquilini morosi o poco fruttiferi e non pagare l’Imu.

 

 

Con vari arzigogoli si è opposto a ogni limitazione della precarietà contrattuale e, quando era ministro degli Interni, ha favorito il caporalato non solo con l’omesso controllo ma incentivandolo con i suoi decreti, danneggiando i connazionali che pretende di difendere e non solo gli odiati migranti.

 

Insomma, si tiene strette le sue vittime e vuole “risarcirle” a spese di altre categorie, più numerose, centrali nella produzione e riproduzione e maggiormente esposte a rischi sanitari.

 

(foto da archivio)

 

In una logica politica questi dovrebbero essere i soggetti della protesta. Che non va esorcizzata quando è condotta da disagiati meno simpatici e manovrati da nemici, piuttosto va “compensata” facendo scendere in campo altri gruppi danneggiati dalla pandemia in termini di reddito e riconoscimento. Questo è il primo passo per un assemblaggio moltitudinario e intersezionale, che poggi non tanto sui gradi di vulnerabilità quanto sulla capacità di proposta per superarla.

Finora si sono fatte vedere e sentire le donne su cui si sono riversati gli effetti maggiori della pandemia: l’espulsione dal lavoro (90% della nuova disoccupazione), il sovraccarico domestico per la chiusura delle scuole primarie e dell’infanzia, con connessa DaD, l’ondata di femminicidi e violenze conseguente alla segregazione domiciliare – in aggiunta alle battaglie che Nudm conduceva già ante-Covid.

 

Sono scesi in piazza gli studenti che non vogliono semplicemente tornare alla didattica in presenza e in sicurezza ma contestano il degrado della Scuola dopo anni di “riforme” con le forbici e di classi-pollaio.

 

E studenti sono pure i principali animatori delle iniziative WWW e XR sull’ambiente e contro il greenwashing. I giovani in età scolare raramente hanno sofferto sintomi Covid e hanno subito danni economici solo pro quota delle loro famiglia, ma hanno subito un’enorme deficit di socializzazione e di formazione sfogato e non certo compensato (nel caso dei più grandi) da comportamenti dissipativi (movida e risse). Viene da domandarsi come e quando si scaricherà questa compressione emotiva.

Si è resa visibile per mille rivoli l’attività di mutualismo che ha contribuito (accanto all’impegno sul fronte della sanità) a portare in primo piano il significato “sovversivo” della riproduzione quando si disgrega il welfare pubblico e la pandemia ne mostra le conseguenze letali.

Hanno manifestato gli operai di fabbriche e servizi in crisi e soprattutto si è aperta una stagione (internazionale) di lotta nel settore delle piattaforme: rider della ristorazione e Amazon in primo luogo, cioè proprio quei rami del delivery che in tempi di lockdown hanno visto crescere i profitti dei padroni e i rischi dei dipendenti.

 

Non a caso anche la destra “moderata” e il centro “riformista” (vedi “Il Foglio” o l’ineffabile Rampini su “Repubblica”) esultano per la mancata sindacalizzazione di Amazon (in Usa) o esprimono perplessità sul passaggio da pseudo-autonomi a dipendenti contrattualizzati in Europa: la logistica non va toccata neppure con un fiore!

 

Con la fine del blocco dei licenziamenti – che probabilmente si cercherà di spalmare e compensare con svariati ammortizzatori sociali – riesploderà in autunno il disagio degli ex garantiti, mentre assai prima, con l’allentamento, auspicabile sebbene non sicuro, della pandemia, dovrebbe levarsi la voce degli informali che già oggi costituiscono una quota ragguardevole del mercato del lavoro in Italia – nell’industria in subappalto, nel commercio e servizi, in agricoltura e nei comparti preposti alla riproduzione in senso lato.

 

(foto di Giordano Pennisi)

 

Ce ne saranno di arrabbiati in piazza e solo così potranno condizionare una ripartizione più equa del reddito e della pressione fiscale nella ristrutturazione economica complessiva che si imporrà post-Covid, fra utilizzo selettivo dei fondi europei e vinco9li di un debito pubblico cresciuto a dismisura.

Disagio, sofferenza, compressione emotiva. Le condizioni per una tempesta perfetta ci sono tutte.

Dieci, cento, mille piazze!

 

Immagine di copertina dalla pagina Facebook di Io apro