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MONDO

Amministrative e referendum: in Ecuador dura sconfitta per la destra al governo

La débacle elettorale sofferta dal presidente è la sintesi dello stato del suo governo, con un indice di popolarità di poco più del 10%. Netta vittoria delle forze progressiste e indigene. Una analisi dello scenario politico ecuatoriano e delle possibili prossime mosse dei movimenti

«No a altri tavoli di dialogo con il governo. Il presidente Lasso pensi piuttosto a dare attuazione ai 10 punti della piattaforma da noi presentata all’indomani della rivolta del giugno scorso». Non ha mezzi termini Leonidas Iza, presidente della potente CONAIE, la Confederazione delle Organizzazioni delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador, uno dei più importanti movimenti dell’America Latina.

L’occasione è la conferenza stampa convocata mercoledì scorso da CONAIE assieme ad altre organizzazioni indigene (FEINE, ECUARUNARI, CONFENIAE, e FENOCIN) per commentare a caldo i risultati della tornata elettorale di domenica scorsa.  Una giornata nella quale il popolo ecuadoriano è stato chiamato a rinnovare le cariche amministrative di comuni e prefetture, oltre che la composizione del consiglio di partecipazione cittadina, e a esprimersi su 8 quesiti proposti dal governo.

Il voto amministrativo

Una giornata che segna l’affermazione netta dei candidati di Revolucion Ciudadana  (RC – partito-movimento politico che fa riferimento all’ex-Presidente Rafael Correa) e del partito di riferimento della CONAIE Pachakutik. Per quanto riguarda le cariche amministrative importante è l’affermazione di RC a Quito e soprattutto a Guayaquil e regione del Guayas dove i candidati di Revolucion Ciudadana (una delle formazioni “correiste” assieme a UNES che siede nel Congresso) conquistano la carica di sindaco e di presidente della regione, chiudendo un trentennio di dominio incontrastato del Partito Social Cristiano di Jaime Nebot e dell’ex sindaca di Guayaquil Cynthia Viteri.

A Quito vince il candidato di RC Pabel Muñoz, con una percentuale di circa il 24% sul candidato – appoggiato anche da Pachakutik – Jorge Yunda, già sotto processo per una serie di scandali di corruzione legati a malversazione di fondi per l’emergenza COVID. Nella terza città del paese, Cuenca, si afferma il candidato di Izquierda Democratica. Al calcolo finale dei voti e delle città e regioni conquistate, RC e Pachakutik risultano i primi due partiti a livello nazionale. Importante anche l’affermazione di candidate donne, come la candidata di Pachakutik eletta sindaca ad Ambato o la storica dirigente indigena Lourdes Tiban nella regione del Cotopaxi che si aggiunge alle altre cinque donne elette a capo di altrettante regioni.

 

Se il voto amministrativo consegna un paese dove dilaga il contropotere territoriale di opposizione al governo del banchiere Lasso, ancor più rilevante è dal punto di vista politico il risultato della consultazione popolare inopinatamente immaginata da Lasso come una sorta di referendum politico sul suo operato.

Il referendum

I quesiti referendari intesi a introdurre delle modifiche alla costituzione riguardavano ad esempio l’autorizzazione all’estradizione di persone coinvolte in narcotraffico, importanti riforme in senso peggiorativo di organismi centrali dell’apparato giudiziario quali la Fiscalia, la riduzione del numero di parlamentari a discapito delle regioni più povere e di quelle amazzoniche, e due quesiti relativi alla protezione delle risorse idriche e i cosiddetti pagos por servicios ambientales, ossia le compensazioni in moneta per la protezione degli ecosistemi. Insomma, da una parte si voleva disarticolare il modello ancestrale di gestione e protezione comunitaria dell’acqua tuttora esistente in molte parti del paese, dall’altra dare impulso ai meccanismi di finanziarizzazione della natura, quali i mercati di carbonio o i progetti REDD+.  

Su tutti i quesiti il NO ha superato il 50% dei voti, non certo una vittoria schiacciante ma sufficiente a rafforzare l’opposizione popolare e di movimento al governo Lasso. Una  vittoria in questo caso della CONAIE che si era schierata con forza a favore del NO.  

Foto: Wambra Ecuador

Crisi e narcotraffico

La débâcle elettorale sofferta dal presidente è la sintesi dello stato comatoso del suo governo, con un indice di popolarità di poco più del 10%, il venir meno del sostegno dell’alleato PSC (sia Nebot che Lasso sono oligarchi di Guayaquil e secondo alcuni esisterebbe  una sorta di accordo tra Nebot ed i correisti contro Lasso) la manifesta incapacità di contrastare il dilagare del crimine organizzato legato al narcotraffico, soprattutto nelle regioni della costa dove è comparsa anche la mafia albanese accanto a quella dei cartelli di narcos come il cartello di Sinaloa. Violenza che è culminata nei mesi passati in sanguinosissime rivolte carcerarie con centinaia di morti.

Guayaquil è considerata ormai la seconda città più violenta dell’America Latina in un quadro nazionale drammatico con un tasso di omicidi che è passato da 5,8 nel 2016 a 25 per 100.000 abitanti nel 2022.  La crisi economica morde e tiene gran parte della popolazione ecuadoriana in condizioni di povertà diffusa, anche se secondo la  CEPAL (Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’America Latina e i Caraibi, non certo un covo di neoliberisti) l’Ecuador sarebbe uno dei migliori “performanti” nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale.

Eppoi,  le ricadute nefaste di uno scandalo di corruzione in varie imprese pubbliche (il “Grande Padrino”) denunciato da un media indipendente e che vedrebbe coinvolto lo stesso cognato del presidente, chiamato quest’ultimo a testimoniare dinanzi a una commissione straordinaria del Congresso.

Una situazione di grande instabilità

In questo contesto, Lasso e il suo governo non esitano a perseguire politiche di stampo neoliberista per favorire i propri interessi e quelli delle élites di riferimento. Tra queste la revisione del codice del lavoro per aumentare la flessibilità della forza lavoro (va notato che oltre il 51% del lavoro in Ecuador è informale quindi senza alcuna tutela), amnistie fiscali per chi ha capitali all’estero, privatizzazione di settori strategici quali le telecomunicazioni e le raffinerie. Alle poste e ferrovie ci aveva già pensato il suo predecessore Lenin Moreno di fatto dismettendole del tutto.  

Lasso, silenzioso per due giorni dopo la bruciante sconfitta, non intende tornare sui suoi passi, dimostrando per l’ennesima volta un evidente e patologico scollamento dalla realtà.

Tenta la carta di un reimpasto di governo sostituendo o “accettando le dimissioni” di cinque alte cariche di governo tra cui il “ministro de goberno” reo di aver contribuito al fallimento della consultazione popolare. Chiede che il Consiglio Nazionale Elettorale riveda decine di migliaia di schede per verificare eventuali brogli, va dritto sulla sua strada e convoca un dialogo nazionale, al quale nessuno dei partiti di opposizione o dei movimenti intende partecipare. Insomma, una “lame duck” anatra zoppa, senza maggioranza in Parlamento e nel paese.  

A questo punto gli scenari possibili sono molteplici. Senz’altro si avrà più chiarezza dopo il congresso allargato della CONAIE previsto per il prossimo 18 febbraio, nel quale si valuterà lo stato di attuazione delle 10 richieste al governo, tra cui la riduzione dei sussidi al carburante, vero detonante della rivolta del giugno scorso, investimenti nei settori della salute, dell’economia rurale, agevolazioni per le produzioni contadine, stop all’avanzamento della frontiera estrattivista.

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Le proteste del 2022 contro il governo Lasso. Fonte: Conaie

Quest’ultimo tema potrebbe essere il nuovo terreno di scontro con il governo, dopo il lancio da parte della CONAIE del Frente Antiminero e per la difesa della Madre Terra poche settimane fa a Latacunga. Resistenza all’estrattivismo già attiva in vari territori e repressa con la forza, in virtù della decisione di Lasso di schierare l’esercito (cosa già fatta in precedenza dagli altri presidenti beninteso, Correa compreso), e del progetto di legge che prevede la creazione di una decina di zone rosse a protezione di concessioni minerarie in varie parti del paese.

A maggior ragione in una situazione nella quale il governo intende incrementare a dismisura le entrate da esportazione di minerali, per sanare in parte le casse dello stato (già rimpinguate da un prestito concesso nel dicembre scorso dalla Banca Mondiale) e immettere risorse in un sedicente Piano Marshall contro la povertà, estremo tentativo forse per continuare a galleggiare per i due anni che lo separano dalle prossime elezioni politiche. 

Quale futuro per Lasso e l’Ecuador?

Sul futuro di Lasso e del suo governo si ventilano varie ipotesi, da quella dell’uscita onorevole, attraverso il meccanismo della “muerte cruzada” previsto dalla Costituzione, secondo il quale il presidente annuncia lo scioglimento del Parlamento lascia l’incarico al suo vice che entro sei mesi convoca nuove elezioni. Già in occasione della rivolta del giugno 2022 il Congresso, soprattutto per parte dei parlamentari di UNES, tentò invano questa via. Altra possibilità è la destituzione da parte del Congresso, a seguito dei risultati dell’indagine sulla corruzione attraverso un “juicio politico”, o la rinuncia dello stesso Lasso, ipotesi assai improbabile. Oppure, come ultima ratio, la spallata dei movimenti che potrebbero scegliere di scendere di nuovo in piazza.

Al momento, nonostante circolino voci su un nuovo “paro” nelle prossime settimane, questa ipotesi sembrerebbe remota e, piuttosto che mirare alla destituzione del Presidente, la CONAIE sembrerebbe intenzionata a chiedere intanto con forza l’attuazione della sua piattaforma di richieste soprattutto per risolvere la grave situazione sanitaria e sociale nella quale vivono le comunità indigene dell’altopiano e dell’Amazzonia.

E brucia ancora il bilancio di morti e feriti dell’ultima rivolta, a seguito della feroce repressione da parte degli apparati dello stato. Una prospettiva ulteriormente aggravata dall’intenzione di Lasso di autorizzare l’uso dell’esercito in operazioni di ordine pubblico, e non in casi “ad hoc”, e di introdurre meccanismi che garantiscano l’impunità delle forze dell’ordine.

D’altra parte, né la CONAIE né le formazioni “correiste” sembrano ancora pronte a gestire una rapida transizione. Leonidas Iza ha ancora lavoro da fare per ricucire definitivamente con il partito Pachakutik e assicurarsi il suo sostegno come candidato presidente.  UNES ha al suo interno una fazione più radicale che preme per la destituzione di Lasso, ma la maggioranza sembra intenzionata a sostenere una transizione “istituzionale”, in attesa di capire le sorti dell’ex-Presidente Correa tuttora in “esilio” in Belgio e impossibilitato a rientrare avendo a suo carico alcune condanne per corruzione. E sembra ancora in alto mare un eventuale accordo tra i due partiti per una gestione comune del potere in caso di vittoria elettorale.

Con molta probabilità si opterà per una strategia di “cottura a fuoco lento” per ridurre ulteriormente le capacità di tenuta del governo, provare a ottenere risultati sule richieste specifiche della CONAIE, bloccare ogni riforma a colpi di maggioranza parlamentare e, per quanto riguarda la resistenza all’estrattivismo, concentrare gli sforzi sui territori.

Una resistenza che potrà avvalersi di importanti risultati relativi a due consultazioni popolari: la conferma della consultazione popolare contro le estrazioni minerarie nella regione del Chocó Andino nel distretto metropolitano di Quito e la decisione del Consiglio Nazionale Elettorale di validare le firme raccolte anni or sono per bloccare le trivellazioni petrolifere nell’area protetta dell’ITT Yasuni.

Consultazione a suo tempo osteggiata dal presidente Correa che con una mano prometteva sostegno e con l’altra invece negoziava concessioni a imprese cinesi, mentre tentava in ogni modo di boicottare la raccolta e la conta delle firme, criminalizzando e reprimendo il movimento Yasunidos e ogni forma di resistenza all’estrattivismo. E della Costituzione che prevede, oltre al diritto alla consulta popular, il diritto alla resistenza e riconosce – primo caso al mondo –i diritti della Natura e la personalità giuridica degli ecosistemi. Diritto al quale molte comunità e movimenti ricorrono per bloccare progetti estrattivi o chiedere il risarcimento per i danni agli ecosistemi e alle comunità. Insomma un paese che come il vulcano Cotopaxi, attivo da qualche settimana, minaccia in continuazione di eruttare,  sputando periodicamente nuvole di cenere che arrivano fino alla Capitale.

Immagine di copertina di Wambra Medio Comunitario