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Alejandro Cortés: «In Colombia abbiamo rotto il patto con l’indifferenza, adesso la sfida costituente»

A tre mesi dall’inizio della sollevazione popolare in Colombia, una conversazione con Alejandro Cortés, militante del Polo Democrático Alternativo, ricercatore della rete REC – Red de Estudios Criticos Latinoamérica, attorno ad una serie di questioni che le proteste popolari, di massa, radicali ed ancora in corso dopo tanti mesi, hanno posto in primo piano nello scenario politico colombiano e latinoamericano

1. Violenza e accumulazione

Sono passati tre mesi dall’inizio della sollevazione popolare, e abbiamo visto come le proteste sociali di questi mesi hanno messo in evidenza la disuguaglianza strutturale e la violenza proprie del modo di accumulazione del capitalismo nella storia della Colombia. Come potremmo caratterizzare questo processo storico di accumulazione e quali sono i legami con l’attuale ondata di proteste sociali?

Credo sia una questione centrale da analizzare, perché la situazione attuale non può essere compresa separata dalle sue componenti storiche né dalle dinamiche strutturali del paese. La questione centrale è  il modo di accumulazione del capitale e proprio su questo tema sto facendo la mia ricerca di dottorato, sulla relazione tra i processi di accumulazione del capitale e la logica neoliberale. La formula abbastanza conosciuta, limitare l’intervento pubblico per stimolare l’economia di mercato e la libera competizione è la pietra angolare di una classe politica che in realtà non governa per stimolare il mercato e la produzione di ricchezza, ma piuttosto per un processo di accumulazione del capitale e del potere che impoverisce la maggioranza della popolazione, che viene così totalmente abbandonata.

Chi oggi è in strada a protestare non sta solamente rispondendo all’energia rivoluzionaria creata dalla protesta contro una riforma fiscale che avrebbe colpito la classe media; i movimenti di protesta e le mobilitazioni dimostrano il fallimento di un modello economico che concentra la ricchezza in poche mani e il fallimento delle modalità di accumulazione e spossessamento che hanno rubato il futuro alla maggioranza della popolazione.

Credo sia questo il punto, permettetemi, anche da un punto di vista filosofico: quando a una generazione viene negata la possibilità di avere un futuro, la società entra in crisi e questo è proprio quello che stiamo vedendo in Colombia, una crisi rappresentata da tre elementi intrecciati che non possono essere pensati separatamente.

Da una parte, questo Paro Nacional ha reso evidente la crisi della rappresentanza politica e della legittimità delle istituzioni dello Stato. Dall’altra, questo sciopero ha mostrato chiaramente come la diseguaglianza nel paese non sia l’invenzione di un certo settore politico e che l’accesso ai diritti di base sia stato violato da una serie di attori politici ed economici che hanno tratto beneficio personalmente dalle politiche pubbliche implementate.

Infine, lo sciopero ha mostrato che il nodo cieco del nostro paese, la nostra solitudine, riguarda l’uso della violenza come meccanismo per ristabilire l’ordine e trattare ogni conflitto politico. Se pensiamo assieme questi tre assi, diamo senso alle rivendicazioni che emergono dalle piazze, difese con pietre e scudi improvvisati su tutte quelle strade dove è in gioco la dignità di migliaia di manifestanti in piazza contro uno Stato che, alla luce del sole, viola i diritti umani.

Vorrei dire alcune cose su questi punti e sulla loro relazione con il modo di accumulazione. Se andate nelle strade di una qualunque città della Colombia incontrerete una sfiducia generalizzata rispetto alla “classe politica”: nessuno crede che i politici di professione comprendano o vogliano trovare una soluzione ai problemi della maggioranza; e questo malessere trova molteplici forme di espressione e occorre comprenderle con attenzione.

Si può esprimere questo malcontento in modo più razionale, dire che i politici attuali sono corrotti e che quello che bisogna fare è cambiare coloro i quali occupano i posti di potere, costruire meccanismi di vigilanza etica e di controllo da parte della cittadinanza per poter risolvere il problema della corruzione, che viene così pensata come problema personale e non come problema strutturale legato a un modo specifico di governare. Questa è la proposta dei politici di “centro”, la cui visione eccessivamente razionale della politica finisce per semplificare il suo contenuto storico, in modo da proporre una soluzione che consiste nel “rinnovare” la politica, “professionalizzarla”, e con questo gesto si riducono a essere nient’altro che un soggetto in più dello stesso tipo di politica, come possiamo definire la cosiddetta “coalizione della speranza”, che non offre alcuna soluzione a fronte della sfacciata accumulazione di potere e di capitale in corso nel Paese.

Ma è anche possibile pensare questa crisi di legittimità come effetto di una serie di modi di governo basati sulla dinamica di accumulazione del capitale. Questa crisi trova allora la sua espressione nei corpi delle migliaia di persone che affrontano in piazza con cortei, scudi e pietre una polizia violenta e assassina.

Quello che vediamo sono istituzioni che non rappresentano gli interessi delle maggioranze, la cui unica risposta è l’uso della forza per rispondere alle rivendicazioni della cittadinanza. E non c’è soluzione possibile, perché tra gli attori in conflitto non c’è riconoscimento. Il costante segnalamento dei manifestanti come “vandali” e “terroristi” da parte del governo risponde a una dottrina della sicurezza che identifica i manifestanti con “l’altro indesiderato” che deve essere eliminato; questo modo di vedere la realtà da parte delle autorità è profondamente e storicamente strutturato nel paese ed è il correlato di un profondo razzismo e classismo, la cui espressione più crudele sono le uccisioni e le desapariciones di decine e decine di manifestanti.

Ci troviamo in un contesto di crisi istituzionale profonda, perché non esiste legittimità dell’istituzione politica quando è la violenza l’unico modo per gestire un conflitto. La questione più preoccupante è che questa concezione dell’altro viene alimentata dal senso comune, si rafforza l’idea seconda cui  l’ “altro” non sia desiderabile e possa addirittura essere ucciso, in tutte le sue molteplici espressioni.

Vedere l’altro come un rifiuto è un aspetto centrale della politica dell’accumulazione, in cui importa solo l’eccedente che viene catturato, non importa chi lo produce, ma solamente che questo eccedente sia prodotto e che possa circolare per essere accumulato, come denunciano Marx e Federici nei loro libri.

E infine, la questione brutale della violenza, «il nostro nodo cieco», per dirla con le parole di García Márquez. Le forme di riproduzione ampliata dell’accumulazione, come segnalano Harvey e Lazzarato, usano la violenza ai fini dell’accumulazione, sia la guerra in cui le due parti si eliminano, sia lo scontro, non necessariamente bellico, può essere anche anche discorsivo, dove l’altro viene costruito come indesiderabile (il negro, il terrorista, l’indigeno, il migrante ecc.). Ma i meccanismi della violenza in Colombia hanno le loro specifiche particolarità, così di fronte al rifiuto di riconoscimento dell’altro si attivano diverse forme di negazione, che possono prendere la forma delle politiche pubbliche piuttosto che delle azioni eseguite dai diversi attori armati.

Una politica pubblica come la riforma fiscale che ha dato il via a questo sciopero, che avrebbe ulteriormente impoverito la maggioranza della popolazione, è una forma di riproduzione della violenza che incide profondamente nella produzione del tessuto sociale. Anche se non comparabile con altre violenze, questa modalità di “governare” mette a rischio la vita di migliaia di cittadini, le cui possibilità di accedere alle condizioni minime per la riproduzione della vita sono minacciate dal modo in cui la struttura istituzionale privilegia i grandi capitali e la logica dell’accumulazione, la cattura degli eccedenti e gli investimenti per aumentare i capitali. Questa forma di produrre ricchezza viene accompagnata da una serie di violenze contro i corpi e le vite di migliaia di persone che si oppongono a questo modello di accumulazione, quali  l’eliminazione fisica, la persecuzione e la violenza armata. Sebbene in alcuni momenti della nostra storia il legame tra l’eliminazione dell’altro e l’accumulazione sia emerso in modo chiaro, per esempio durante il paramilitarismo o i chulavitas [formazioni armate legate al Partito Conservatore negli anni Cinquanta e Sessanta, ndt], oggi la situazione mostra che purtroppo queste dinamiche tornano a ripetersi.

2. Accordi di Pace

Per comprendere la situazione sociale e politica della Colombia degli ultimi anni, è decisivo analizzare il Processo di Pace e gli Accordi firmati a L’Avana nel 2016. Quali aspetti e limiti di questo processo ci permettono di comprendere la situazione e quali sono i legami con le proteste sociali?

Credo fortemente che il Processo di Pace con le FARC-EP abbia cambiato lo scenario politico in Colombia, all’inizio potevamo pensare che lo avesse cambiato completamente, ma l’attacco politico della destra in corso contro le politiche definite nell’Accordo di Pace sta mostrando chiaramente come i vecchi poteri siano disposti ad usare tutti i mezzi a loro disposizione affinché la narrazione politica del paese sia funzionale ai loro interessi.

Credo che l’accordo di Pace ci abbia permesso pensare una forma di opposizione politica differente da quella che era stata inaugurata dalle insorgenze armate. Il fatto che il secondo punto dell’accordo dell’Avana fosse centrato esattamente sulla questione democratica, dice molto sul perché parlare di democrazia in questo paese sia così difficile. L’accordo di pace è arrivato per rinforzare una lunga tradizione di mobilitazione sociale, una lunga storia di lotte che trovava nei punti di negoziazione la via per superare le evidenti fratture sociali che oggi vive il paese.

Con i successi e i fallimenti che porta con sé, il gesto che ha reso possibile l’accordo di pace è stato un invito a risolvere il conflitto politico in modo differente dalla guerra, e questo credo sia il più grande guadagno simbolico, diciamo che in termini di narrazione è finita l’epoca in cui qualunque oppositore politico poteva essere accusato di essere un “guerrigliero estremista”; tristemente, questo però non ha significato la fine degli assassinii politici che continuano ad avvenire ogni giorno in tutto il territorio nazionale.

Quindi, possiamo dire che l’accordo di pace ha aperto moltissime possibilità per rafforzare la mobilitazione sociale, per costruire una nuova narrazione sul futuro della nazione e per mettere in evidenza la forza dei tessuti sociali collettivi che esistono in tutto il paese e poterli rendere visibili agli stessi cittadini colombiani e alla comunità internazionale.

Ma, come in ogni accordo, esistono dei limiti e in questo caso si tratta soprattutto dei limiti imposti da un governo che ha promesso di “fare a pezzi” l’accordo e governare il paese con un orizzonte di “pace con legalità”. Il governo non ha portato avanti gli accordi previste dal primo punto degli Accordi di Pace, la riforma agraria, né ha stabilito meccanismi per rendere possibile il compimento del terzo punto, la sostituzione delle coltivazioni illecite, e questo  ha portato a una situazione drammatica. Di fatto, una parte delle rivendicazioni delle recenti mobilitazioni sono legate al compimento degli accordi di pace che erano diventati questione di secondo piano nell’agenda politica nazionale.

3. Conflitti sociali

Dal tuo punto di vista, quale genealogia delle lotte, dei processi politici e di conflittualità sociale potremmo delineare per comprendere lo scenario attuale e quali nuove articolazioni tra soggettività e processi di lotta si stanno mettendo in gioco? Inoltre, quali dinamiche di rottura stanno emergendo in relazione alla crisi della rappresentanza politica?

È un questione complessa, posso provare a delineare un panorama minimo, che necessariamente dovrà lasciar fuori diverse questioni. Secondo la mia analisi le mobilitazioni sociali in corso non sono spontanee, come qualcuno ha detto, né inaspettate, dirò di più, chiunque conosca veramente la storia della Colombia si starà chiedendo piuttosto come mai tutto questo non sia accaduto prima. Quello che è certo è che la mobilitazione sociale in Colombia non si è mai fermata, negli ultimi cinquant’anni almeno di vita democratica abbiamo vissuto diversi momenti di mobilitazione sociale con diverse caratteristiche e rivendicazioni.

Credo che lo sciopero nazionale del 2021 sia un effetto delle mobilitazioni che si sono tenute dal 2007 in avanti. La formazione della Marcha Patriottica e del Congreso de los Pueblos come forme di organizzazione dei movimenti sociali di massa sono state determinanti per lo sviluppo delle grandi mobilitazioni del 2012, a partire da quel momento i movimenti contadini e indigeni hanno cominciato a dialogare in modo più intenso con i movimenti studenteschi e vi sono stati molteplici scenari di deliberazione popolare in assemblea (come era già avvenuto negli anni Cinquanta e Settanta), molti dei leader delle sinistre hanno partecipato a questi spazi di discussione popolare.

Senza dubbio, il movimenti studentesco della MANE e lo Sciopero Agrario del 2013 sono i due grandi precedenti dell’attuale sciopero, momenti in cui è stato dimostrato come sia possibile con la forza della mobilitazione frenare le politiche contrarie al benessere dei cittadini. Questi due movimenti sono riusciti a mostrare che le lotte per i diritti dei contadini e degli studenti non sono questioni “dei contadini e degli studenti”, ma che i conflitti per l’agricoltura e l’educazione sono decisivi per una società democratica.

In questo scenario caratterizzato da grandi mobilitazioni ci siamo formati in tanti di quelli che oggi siamo parte della militanza politica e abbiamo imparato tantissimo dai diversi attori sociali che oggi sono centrali per la politica del paese. Credo che in Colombia sia decisivo riconoscere questa dimensione storica delle lotte per non cadere in quell’idea di “alternativa” vuota che piace tanto al marketing politico.

Infine, penso sia chiaro come questa mobilitazione riprenda la lotta del Paro Nacional del novembre 2019, uno sciopero a cui ha partecipato tutta la società, uno sciopero iniziato dagli studenti che conobbe una espansione intensa e interessante, non avevo mai visto Bogotá così paralizzata come in quei giorni di novembre, uno sciopero che riuscì anche ad avere continuità fino alle vacanze natalizie che in Colombia sono sacre, credo che se non fosse arrivata la pandemia con tale forza, il governo Duque sarebbe stato in seria difficoltà nel rispondere alle rivendicazioni delle piazze.

I media hanno avuto un ruolo deplorevole in quello sciopero, non hanno comunicato né informato, hanno piuttosto intimidito e credo che questo abbia dato un segnale ai media alternativi che oggi stanno narrando e riportando con grande rigore tutto quel che sta accadendo. Un ultimo elemento decisivo che ci ha portati alla situazione attuale è stata la mobilitazione del 9 settembre dello scorso anno a Bogotá, quando è esplosa la brutalità della polizia, ed in piena pandemia si sono mobilitate migliaia di persone contro gli abusi delle forze di polizia, denuncia che continua a essere una delle rivendicazioni centrali del Paro Nacional.

In generale, credo siano tre le questioni aperte: la mobilitazione sociale è una costante in questo paese, caratterizzato da una circolazione oligarchica del potere, che per decenni ha portato costanti benefici agli stessi di sempre, così la gente stanca di queste dinamiche scende in piazza, con l’obiettivo di rivendicare democrazia e segnalare alla classe politica che non è possibile pensare il paese senza di loro.

In secondo luogo, c’è la questione che in modo più sofisticato possiamo chiamare necropolitica, ovvero, un ordine del mondo sociale basato sulla morte, in cui i potenti decidono chi deve vivere e chi no; questa razionalità della sovranità che agisce in Colombia viene oggi contestata da molteplici attori sociali, per questo sono nate le Primeras Lineas come forma di difesa della vita a fronte degli attori portatori di morte o dei paramilitari che continuano ad agire con la complicità delle forze repressive statali.

Infine, la questione di come inaugurare un modello di paese che pensi al futuro delle maggioranze popolari: ci sono molte esperienze e reti che lottano ogni giorno per rompere il patto siglato tra le élites per mantenere i propri privilegi, sono le lotte trans, femministe, indigene, contadine, studentesche, le lotte delle sinistre per costruire una diversa opzione di paese per il futuro delle nuove generazioni.

Un futuro dove non siano predominanti la morte, né la disuguaglianza, dove sia possibile invece costruire un paese diverso. Credo che questa sia la premessa del Pacto Histórico, questa nuova proposta politica lanciata in queste settimane, come orizzonte di possibilità per fuoriuscire dalla lunga notte dell’uribismo, che adesso sta incontrando tanti nuovi attori protagonisti di questo cammino.

4. Sfide future

Dopo tre mesi di lotte, due riforme bloccate e durissime repressioni, paramilitarismo e terrorismo di Stato, nelle piazze e nei quartieri sono nate decine di assemblee popolari, si sono moltiplicati i punti di resistenza in tante città e le iniziative collettive nei diversi territori. Quali nuovi processi di politicizzazione stanno emergendo? Quali sono le principali sfide per il Paro Nacional e i processi di trasformazione sociale e politica in Colombia oggi?

Quello che sta avvenendo oggi in Colombia è senza dubbio storico, mi piace descriverlo come una rottura del patto con l’indifferenza da parte di migliaia e migliaia di colombiani, non possiamo più guardare da un’altra parte, non ci sono più diversivi da parte dei media e del governo che possano nascondere l’importanza dello sciopero per il paese. Il livello di sfiducia nei confronti del governo Duque è tra i più alti degli ultimi anni, il Presidente continuerà ad essere impopolare, sarà ricordato come uno dei peggiori dirigenti politici della storia del paese, insignificante e crudele.

Quello che sta nascendo nei quartieri popolari è senza dubbio molto interessante, ci sono molte esperienze di autorganizzazione, assemblee, processi di costruzione di potere popolare e locale, con ritmi e obiettivi differenti, e tutto questo mostra uno scenario di politicizzazione interessante.

Al tempo stesso, la continuità di alcune di queste esperienze dipende dalla forza destituente degli scontri con la polizia e alcune delle rivendicazioni delle Primeras Lineas sono politicamente impossibili da ottenere se non si riesce a far convergere altre forze politiche. Le dimissioni del presidente e l’apparizione in vita dei desaparecidos sono due tra queste rivendicazioni e sappiamo tutti che a fronte di uno Stato indolente queste rivendicazioni rischiano di cadere nel vuoto. Non c’è dialogo possibile perché non ci sono ponti per comunicare, i dirigenti politici e i funzionari pensano che le rivendicazioni siano solo capricci e che le Primeras Lineas non hanno senso di realtà politica, mentre queste giustamente non hanno fiducia nelle istituzioni.

Siamo di fronte ad un momento difficile, l’unica alternativa reale che può emergere da questa potenza destituente nelle piazze è poter articolare le forze in un movimento, una specie di grande patto che definisca il minimo necesaario per costruire uno spazio capace di aprire una contesa sul futuro, e in questo senso il rispetto della vita dei manifestanti, la giustizia e la verità per i desaparecidos e quelli colpiti dalla violenza statale sono aspetti centrali dell’agenda politica.

Infine, le due grandi sfide per il futuro: primo, credo sia necessario approfondire questa idea destituente che oggi si esprime nelle piazze, per questo occorre costruire un patto narrativo contro l’uribismo e contro questa elité oligarchica che ha costruito i propri privilegi usando lo Stato a suo favore, è questo in fondo il problema della corruzione.

Chiudere gli spazi che rendono possibile ai politici che ci governano con la mafia di occupare le istituzioni è un compito centrale che deve acquisire maggiore forza a livello di senso comune, perché rompere il patto con il silenzio, l’indifferenza, aprire spazi di democrazia nel paese sono aspetti sostanziali di questo orizzonte. In secondo luogo, dobbiamo aprire spazi affinché da questa forza destituente nasca la possibilità di un governo alternativo per le maggioranze, assumere il compito di produrre una forza costituente che renda possibile un orizzonte futuro.

Questa forza deve emergere dalla costruzione di un tessuto sociale, per questo non si esaurisce nel momento elettorale, ma deve dispiegarsi, così come accaduto con lo sciopero, nei quartieri, nelle piazze, nelle aule, per politicizzare i cittadini e le cittadine e conquistare il futuro per tutti.  E’ ora di inaugurare un tempo in cui nessuna decisione sulle nostre vite venga presa senza di noi.

Immagine di copertina e immagini nell’articolo: Medios Libres Cali