EUROPA

Agora99: l’Europa del contagio

Di ritorno dal meeting europeo Agora99 di Madrid.

La scorsa primavera, in tanti ci siamo rimessi in viaggio per animare le mobilitazioni di Blockupy Frankfurt. Dalle università agli spazi sociali, dal mondo dell’arte e della cultura, abbiamo contestato le istituzioni e gli assetti di potere che ci stanno affamando – BCE e istituzioni finanziarie europee in primis – come espressione di un nuovo modello di comando transnazionale sul lavoro vivo. Nell’attraversare le giornate francofortesi di maggio, però, non volevamo solo rendere visibile un nemico comune ai movimenti sociali europei, ben consapevoli che l’individuazione del nemico costituisce solo una prima semplificazione, un richiamo simbolico, di un apparato di potere capillare e diffuso. A spingerci era soprattutto l’urgenza di costruire una sponda tra le lotte, sperimentare una relazione difficile. Un’urgenza che ci ha portati, in questo inizio di novembre, fino a Madrid.

Agora99, l’incontro europeo dei movimenti a Madrid, è stato un interessante intreccio di opportunità. Anzitutto la possibilità di dare continuità al percorso e al discorso che avevamo iniziato nella stagione precedente, fondato sulla necessità di dare una matrice europea al conflitto contro l’Austerity e usare l’Europa come terreno di applicazione di un contropotere, tutto da costruire, che ha come obiettivo la trasformazione radicale dell’Europa stessa.

L’individuazione dell’Europa come campo di battaglia e di possibilità nasce da considerazioni che provano, per quanto possibile, a slegarsi dagli esercizi di retorica. Non è una mossa reattiva, un mero posizionarsi sul livello proposto dall’attacco economico e politico che subiamo. Non è nemmeno la semplice constatazione dell’avvenuto svuotamento dei luoghi tradizionali della sovranità nazionale – constatazione che, seppur vera, presa isolatamente può portare a conclusioni logiche opposte a quelle che ci muovono. La riemersione dei nazionalismi, nel quadro della crisi, muove proprio da queste premesse.

Questa spinta trova invece senso e fondamento se vista da una prospettiva più ampia: la disfunzionalità del ripiegamento nazionale. Ovvero, la sua totale funzionalità al progetto europeo neoliberale. Perché un’Europa basata sullo sfruttamento, drammaticamente antitetica al sogno habermasiano dell’Europa sociale, non è soltanto un’Europa unita e integrata, ma è al contempo un’Europa differenziata, gerarchica. Dove la forza lavoro è frammentata, la capacità contrattuale di alcuni settori è direttamente proporzionale alla debolezza di altri, e il permanere del quadro nazionale è lo strumento più efficace di governabilità dei conflitti. Per questo crediamo sia ora di far saltare questa compatibilità, di infrangere l’ambivalenza, svelare il doppio gioco. Per questo dobbiamo affermare che siamo europei fino in fondo, o meglio,che in Europa siamo greci dappertutto.

Quando si dice “siamo tutti greci” oggi, nelle piazze e nelle strade d’Europa, non s’intende dire che ci sentiamo vicini alla Grecia, che soffriamo con loro e sosteniamo le ragioni della loro lotta. Né lo si può tradurre in “siamo tutti anticapitalisti”. Che sia urlato a Madrid, a Parigi o a Berlino, “siamo tutti greci” oggi è un’affermazione che trova la sua verità nella regressione più assoluta al significato letterale. Il processo di saccheggio della ricchezza sociale è ormai dispiegato, secondo gradazioni diverse, in tutto il quadro europeo: stiamo profondamente dentro la stessa tendenza, e ancora, surfiamo sulla stessa onda.

Ma trovarsi insieme a Madrid ha significato anche qualcosa in più: mettersi a confronto con una composizione di movimento anomala e insieme paradigmatica, immergere un meeting europeo – tradizionalmente inteso come momento topico di sfoggio delle ispirazioni egemoniche – nella dimensione molecolare di un movimento che ha fatto della pratica democratica il suo contenuto più radicale. In questo senso l’incontro di Madrid è stato anzitutto una discontinuità, nello stile e negli effetti, rispetto ai meeting internazionali della stagione dell’alter-globalismo e agli altri rispettabili tentativi di collegare identità, affinità politiche pregresse, di piegare l’eterogeneità alle esigenze di organizzazione.

Agora99 ci ha posto di fronte a vecchi limiti e nuove sfide: la differenza, tanto per cominciare, irriducibile e positiva. Non una differenza verticale o cronologica tra il vecchio e il nuovo delle forme del movimento. La distinzione spesso abusata tra polverosi attivisti politici e soggetti “veri”, “nuovi” o peggio “normali”, è a nostro avviso una chiave di lettura miope di fronte ai processi di declassamento e impoverimento, all’interrogazione posta da una nuova composizione di classe nella crisi che a noi preme interpretare sotto una lente radicalmente materialista.

La differenza tra le varie esperienze di movimento in Europa è in ogni caso innegabile, ma va compresa e agita come differenza contingente, contestuale, come differenza dei processi di soggettivazione – lì dove questa differenza può essere intesa come attraversamento, ricerca, deriva dell’identità, contagio. Un contagio, che c’è già, sottotraccia, sorprendendoci ad Agora99 nella sua forma incespicante di linguaggio comune e che richiede sempre uno sforzo in più, una tensione maggiore alla traduzione di parole e pratiche, come tessitura continua di una rivolta europea.

Per questo da Madrid non siamo certo tornati con il manifesto programmatico, la definizione dell’agenda di lotta o un logo comune. Piuttosto, con un percorso di lavoro: crediamo che la possibilità più fruttuosa che l’agorà ha costruito è quella di dare continuità ai workshop, partire dalle progettualità per costruire sinergie.

Non neghiamo che le forme organizzative restino un tarlo nella prospettiva di un processo costituente europeo, ma crediamo che solo una modalità multilevel – dove scadenze generali, progetti di campagna e inchiesta, riproducibilità selvaggia di pratiche si compenetrano a vicenda – possa condurci alla sperimentazione di una forma rete sul piano europeo, di un nuovo federalismo delle lotte.

Una sperimentazione che si misura da subito con la capacità di mobilitazione diffusa. Il prossimo 14 novembre tomar la huelga, prendersi lo sciopero, rivendicare e praticare lo sciopero di tutti significa mettere a verifica la potenza della contaminazione, la diffusione virale di lotte capaci di collocarsi su un piano immediatamente comune. Una sperimentazione che proseguirà nella possibilità, tutta da far vivere, di una convergenza europea a Bruxelles nel marzo 2013 contestualmente al prossimo Consiglio Europeo. E che guarda sin da ora alla primavera 2013 come a una stagione di lotte decentrate e sinergiche per destituire la Troika e disegnare insieme l’Europa del comune.

English Version

Vedi anche:

Pasos para pensar, participar y reiniciar la eurodemocracia – La cronaca dell’incontro su Diagonal [ES]
All-in for our Europe – Da Roma verso Agora99 a Madrid [IT-EN-ES]

Agora99, Madrid, 2-4 novembre 2012. Il racconto per immagini di Enrique Flores:

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