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MOVIMENTO

Adulti e bambini: imparare insieme

L’esperienza dell’asilo autogestito di Porta Ticinese offre uno sguardo utile ai problemi educativi che la scuola si trova ad affrontare anche oggi. Siccome l’autoritarismo inizia durante l’infanzia, all’interno dei rapporti familiari, per non educare individui passivi, sfiduciati o violenti, occorre — secondo Fachinelli — abituare i bambini a un’«autoregolazione più naturale, non coercitiva». Su queste basi prende vita la pratica non autoritaria degli insegnanti nelle scuole e verranno immaginati il libro e la rivista omonima “L’Erba voglio”

Nel diario in cui lo psicanalista Elvio Fachinelli scriveva le sue osservazioni sull’asilo autogestito di Porta Ticinese (1969-1971), si legge:

«La distruttività di Nino fa veramente venire la voglia di prenderlo a schiaffi – e se lo si facesse, non faremmo probabilmente che ripetere l’atteggiamento coercitivo di suo padre, a cui egli appunto risponde prendendo a calci le cose e così via. Per tentare di sciogliere queste membra paralizzate è essenziale che si presenti al bambino un adulto diverso».

L’esperienza, a cui si riferisce Fachinelli, si colloca in un particolare contesto storico, quello della «dissidenza giovanile» del ’68, ma penso abbia molto da dire anche sui problemi educativi che si trova ad affrontare oggi la scuola. L’idea di creare un’«istituzione modello per l’educazione collettiva» era nata, non a caso, nel controcorso della Facoltà di Pedagogia dell’Università Statale di Milano, con l’obiettivo di recuperare all’educazione e alla politica «i rapporti col corpo, con la dimensione biologica degli individui».

 

Dietro c’era la convinzione che l’autoritarismo comincia dall’infanzia, dai rapporti famigliari, per cui, se non si vogliono far crescere individui passivi, sfiduciati o violenti, era necessario abituare i bambini a un’«autoregolazione più naturale, non coercitiva».

 

Questo era possibile solo se si stabiliva, tra adulto e bambino «un uso reciproco, in vista di un reciproco imparare, divertirsi e modificarsi insieme». È la stessa idea su cui si muoveva in quegli anni la pratica non autoritaria degli insegnanti in altri ordini di scuola e da cui uscirà il libro L’erba voglio (Einaudi 1971) e la rivista omonima (1971-1977).

Nella Prefazione si sottolineava il fatto che i rapporti di potere erano gestiti in modo sempre più burocratico e anonimo; si parlava di “depersonalizzazione” – cancellazione di sé come progetto e desiderio – di incipiente «servitù di massa». Per contrastarla erano importanti la «presa di parola» di tutti, la pratica assembleare, la critica alla divisione tra chi decide e chi esegue, la ricerca di un’uguaglianza tra diversi.

Si può dire che dalla scuola partiva un capovolgimento di valori e priorità tra vita e cultura, vita e politica, che avrebbe dovuto investire la società tutta intera. Ciò che era stato considerato fino allora il “fuori tema” rispetto alla conoscenza, ai saperi tradizionali, diventava “il tema”.

Si profilava, in sostanza, a partire dagli asili, l’uscita da tutte le contrapposizioni che abbiamo ereditato – corpo/pensiero, natura/cultura, individuo/società, ecc. – e quindi anche un’idea diversa di ciò che è “reale” e “possibile”. In una nota redazione sulla rivista L’erba voglio (n.1. luglio 1971) scrivevamo: «Per poter veramente lavorare con le gente, per poterla concretamente toccare, bisogna passare, non è ironia, proprio attraverso i suoi sogni».

 

Direi che il movimento non autoritario nella scuola e il femminismo, che nasce negli stessi anni, sono stati per un verso il sintomo della modificazione dei confini tra privato e pubblico, per l’altro l’embrione di un’idea politica ripensata sulla base di tutto ciò che era stato considerato fino allora «non politico»: la soggettività, la vita personale, il corpo e le vicende che lo attraversano, in particolare il rapporto tra i sessi.

 

L’originalità dell’analisi di Elvio Fachinelli sta nell’aver spinto la psicanalisi ad andare “oltre” il suo campo specifico, che è stato quello dell’individuo, per interrogare i «nuovi paesaggi» aperti dai giovani e dalle donne, ma anche per mettere in evidenza i processi sempre più totalitari di intervento diretto sulla formazione degli individui. Quello che è avvenuto dopo, per effetto di una società sempre più consumista e incline allo spettacolo, è stata la perdita totale di confini.

 

 

Il privato, il corpo, la sessualità, l’immaginario, l’inconscio, hanno oggi un protagonismo sulla scena pubblica che non hanno mai avuto in precedenza. Caduti molti divieti e tabù, insieme all’autoritarismo patriarcale, ci troviamo di fronte a una società che assomiglia un po’ a quella descritta da Fachinelli nel suo articolo Masse a tre anni: tutto è lecito, compresa la legge del più forte. Ma c’è un aspetto ancora più inquietante, ed è quello che sembra confondere in un tutto magmatico le “diversità”, comprese quelle generazionali. Non si capisce più chi è l’adulto e chi il bambino, o perché persi in un sogno di contemporaneità, eterna giovinezza, o perché i mezzi di comunicazione e le maggiori consapevolezze, di cui oggi dispone un adolescente, lo rendono più autorevole dei genitori. Non è raro sentire ragazzi che dicono di fare da sostegno a un padre, a una madre, di raccoglierne le confidenze.

 

La crisi della famiglia tradizionale, la messa in discussione dei ruoli genitoriali, è come se li rendesse mentalmente adulti prima del tempo, pur restando emotivamente bambini. È evidente che oggi la scuola e la politica non hanno più davanti un “cittadino” astratto ma un “individuo” nella sua interezza, coi suoi bisogni essenziali e i suoi desideri di partecipazione alla vita comune.

 

L’intuizione degli anni anni ’70 – «il personale è politico» – appare più attuale di allora. Un cambiamento carico di conseguenze anche sul piano educativo è sicuramente quello che riguarda il rapporto tra uomini e donne. Se vogliamo parlare di “disorientamento”, direi che è soprattutto maschile. Gli uomini hanno ereditato inconsapevolmente l’idea che le donne vivono in funzione dell’altro sesso, che il loro compito – come diceva Rousseau – era di «allevare gli uomini da piccoli, averne cura da grandi, consigliarli, rendere loro la vita piacevole e dolce». Quando la donna non è più nel luogo dove pensa di trovarla, quando afferma la libertà di chiudere un rapporto, l’uomo realizza la sua dipendenza e reagisce col rancore, con la violenza, una violenza che spesso rivolta su di sé, uccidendosi, come se insieme all’amore dell’altra perdesse anche l’amore di se stesso.

È chiaro che la critica delle identità di genere, tradizionalmente intese, ha delle ricadute educative. Cambiando i rapporti di potere, la divisione sessuale del lavoro, l’idea di virilità e femminilità, si modificano anche le figure genitoriali: i figli avranno davanti sempre di più, anziché padri e madri, individui con le loro passioni, i loro interessi.

In altre parole: adulti capaci – come scriveva Elvio Fachinelli – di «imparare, divertirsi, modificarsi insieme a loro».

 

La 27esima ora, Corriere della Sera, 1 maggio 2014.

Le foto sono di Lisetta Carmi