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OPINIONI
Intervista con Fawza Youssef sul futuro della rivoluzione in Siria
Fawza Youssef, copresidente del PYD e membro della delegazione attualmente impegnata in un delicato processo di colloqui con l’autoproclamato governo di Damasco, ci parla dei problemi del pluralismo nel nuovo regime siriano, in particolare rispetto alla questione curda e alle donne
Si è svolta a Roma, l’11 e il 12 aprile 2025, la conferenza internazionale Libertà per Öcalan – Una soluzione politica per la questione curda. L’appuntamento ha riunito rappresentanti di movimenti, organizzazioni, media indipendenti e realtà solidali provenienti da diversi Paesi del mondo. Due giornate di confronto per fare il punto sulla situazione attuale nel Kurdistan e in Medio Oriente, discutere le prospettive del dialogo politico in Siria e rilanciare l’appello del 27 febbraio scorso di Abdullah Öcalan, fondatore del PKK e teorico del concetto di Confederalismo democratico, detenuto da 25 anni nell’isola-prigione di İmralı. Al centro del dibattito, il ruolo del suo pensiero nella costruzione di un’alternativa democratica nella regione, a partire dall’esperienza rivoluzionaria del Rojava.
Nella giornata di sabato 12 aprile ha preso la parola Fawza Youssef, copresidente del PYD – il Partito dell’Unione Democratica – forza politica di riferimento della rivoluzione confederale in Rojava, e membro della delegazione dell’Amministrazione Autonoma Democratica della Siria del Nord e dell’Est (DAANES), attualmente impegnata in un delicato processo di colloqui con l’autoproclamato governo ad interim di Damasco. La sua presenza alla conferenza ha rappresentato un momento particolarmente significativo: abbiamo avuto l’occasione di ascoltare il suo intervento sul palco e successivamente di raccogliere le sue riflessioni in un’intervista, in cui Youssef ha offerto una lettura lucida del presente e delle prospettive future per il popolo curdo e per l’intera regione. Ha inoltre ribadito l’importanza della conferenza di Roma: un momento di rilievo internazionale per rilanciare con forza la richiesta di libertà per Abdullah Öcalan. «Abbiamo organizzato questo incontro soprattutto per la liberazione del presidente Öcalan. A livello internazionale è fondamentale far conoscere la sua situazione attuale e ciò che sta subendo a İmralı. Se vogliamo davvero portare avanti un processo di pace, dobbiamo compiere passi concreti: la sua dichiarazione del 27 febbraio rappresenta una base importante su cui costruire un percorso condiviso». Secondo Youssef, il futuro del Medio Oriente e la possibilità di una soluzione politica ai conflitti della regione sono strettamente legati alla sua liberazione. «Tutte le questioni legate al popolo curdo e, più in generale, ai popoli dell’intera area, sono collegate alla sua prigionia. Gli Stati continuano ad affrontare la situazione con una logica di guerra, mentre Öcalan propone una strada diversa, basata sul dialogo e sulla pace».
Con la conferenza si è voluto dare un segnale politico forte: l’urgenza di unirsi, di costruire alleanze reali per una soluzione pacifica e duratura. «Se vogliamo davvero una vita in pace, dobbiamo restare uniti. Il processo è già in corso, abbiamo stabilito dei principi condivisi e ora stiamo discutendo su come renderli effettivi», ha aggiunto.
In questo quadro, un obiettivo prioritario resta il ritorno delle popolazioni sfollate dai territori occupati. «Stiamo cercando tutte le vie possibili per avanzare senza ricadere nella guerra», ha spiegato. «Parliamo anche di come permettere il ritorno delle persone a Girespi, ad Afrin, a Serekanje, territori che sono stati invasi dai jihadisti. Questo è ciò su cui stiamo lavorando ora».
Nell’ intervento fatto dal palco, Fawza Youssef ha descritto un quadro drammatico e in continuo mutamento per la regione della Siria del Nord-Est, accerchiata da una condizione permanente di caos. Ha denunciato le molteplici forme di occupazione esercitate dalla Turchia dal 2011 a oggi, attraverso l’uso strumentale di gruppi come Al Nusra, Daesh, Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e Syrian Nationa Army (SNA). Ha espresso preoccupazione per l’instabilità dei rapporti con i paesi confinanti e ha sottolineato l’incredulità diffusa per la rapidità con cui il regime di Bashshār al-Assad abbia ceduto il controllo del territorio. In questo contesto, ha ribadito la necessità di difendere i diritti e gli interessi della rivoluzione in corso nel Rojava e nella DAANES, sottolineando come la strategia turca miri chiaramente a deviare le energie del movimento rivoluzionario verso un nuovo fronte di guerra.
Nel delineare le priorità strategiche dell’Amministrazione Autonoma, ha individuato due punti centrali. Il primo riguarda la questione della sicurezza e della difesa. Finché non verranno garantiti diritti fondamentali da un punto di vista giuridico e istituzionale, ha spiegato, non sarà possibile accettare alcun processo di disarmo delle Forze Democratiche Siriane (SDF). Youssef ha denunciato il silenzio mediatico sui crimini commessi lungo la costa siriana, dove circa il 70% dei villaggi alawiti sarebbe stato incendiato, con episodi di rapimenti e violenze sistematiche simili a quanto accaduto a Shengal. «È questa la normalità che dobbiamo accettare? Dobbiamo convivere con tutto questo?», si è chiesta provocatoriamente. «Il livello di pericolo riguarda tutti i popoli della Siria, e per questo non indeboliremo la nostra capacità di difesa».
Il secondo punto riguarda i tentativi in corso di rompere la coesione tra le diverse componenti etniche e religiose della Siria. Youssef ha spiegato che la retorica settaria viene utilizzata per minare la convivenza tra curdi, arabi e altre minoranze, alimentando l’idea che solo una parte della popolazione possa legittimamente governare. Ha ricordato come, all’arrivo di HTS al governo, una parte della popolazione araba avesse inizialmente guardato con favore a quella transizione, salvo poi ricredersi dopo le violenze sulla costa. «Con gli arabi di Deir ez-Zor e Raqqa, e con tutte le altre comunità della Siria, stiamo lavorando a una prospettiva diversa per il futuro del Paese», ha affermato. L’obiettivo dichiarato è quello di costruire un progetto inclusivo, fondato su un’idea di pace, autogoverno e democrazia dal basso, che coinvolga tutte le componenti: curdi, arabi, alawiti, drusi. «Vogliamo creare un’altra unione, con altre zone. Non siamo più bloccati dal regime», ha spiegato. «Anche i drusi si sono organizzati con assemblee e comitati locali. Chi parlava di una Siria da dividere, oggi deve prendere atto che non è più così». Youssef cita un’espressione in araba: dal male può generarsi il bene. In questo clima d’incertezza, ovunque, afferma, si comincia a riconoscere il valore dell’amministrazione autonoma. «Si dice che sia qualcosa di prezioso, qualcosa che dovrebbe esistere in ogni territorio». Aggiunge: «Nella nostra regione, il livello di autorganizzazione è solido. Per questo, ci stiamo impegnando a offrire il nostro sostegno agli alawiti e ai drusi. Li guideremo, li sosterremo, affinché anche loro possano diventare una forza radicata nel territorio».
Nel corso dell’intervento, Youssef ha poi ricordato come HTS, appena salito al potere, avesse imposto diverse restrizioni, tra cui l’obbligo del velo per le donne. Tali misure sono poi state sospese, ma, secondo lei, il rischio rimane concreto: «Se in futuro torneranno a imporre divieti, il loro primo bersaglio saranno le donne. Per questo dobbiamo rafforzare le nostre strutture: jineoloji, le organizzazioni delle donne e le YPJ devono continuare a esistere».
Nel corso dell’intervista, ha poi ribadito il ruolo centrale del movimento delle donne all’interno del processo rivoluzionario. «Non faremo mai un passo indietro», ha affermato, spiegando che in ogni alleanza, in ogni ambito politico e sociale, la presenza attiva delle donne deve essere garantita. «Senza le donne non è possibile portare avanti questo percorso. La loro partecipazione va riconosciuta, accettata e resa strutturale, in ogni fase e in ogni livello del processo decisionale».
Youssef ha più volte ribadito, sia nell’intervento, sia in conclusione alla nostra intervista, come la rivoluzione non si giochi solo sul piano militare o istituzionale, ma soprattutto su quello sociale e culturale. È in questo senso che ha richiamato la necessità di una trasformazione profonda, che parta dalle coscienze e attraversi l’intera società.
«Il nostro cuore è stato colonizzato. Dobbiamo liberare il nostro cuore, i nostri sentimenti. La rivoluzione deve coinvolgere la mentalità, l’etica. Se non c’è un cambiamento nella mentalità allora non ci può essere una rivoluzione sociale, perché un sistema democratico si basa su questo». Con queste parole, Fawza Youssef ha voluto riportare il discorso rivoluzionario alla sua radice più profonda: il cambiamento culturale, emotivo e collettivo come fondamento di ogni trasformazione politica reale.
Per accompagnare questo processo, ha spiegato, l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord e dell’Est ha creato delle accademie popolari, spazi in cui si promuove l’educazione critica, il confronto, l’autocritica e la formazione continua. «Noi resistiamo perché lottiamo contro noi stessi. Se una persona non lotta contro sé stessa, per cambiare sé stessa, allora non si può vincere contro questo sistema che vogliamo trasformare», ha detto. Conclude: «In ogni parte della NES stiamo istruendo le nuove generazioni e il popolo sui principi del Confederalismo democratico e delle idee di Öcalan. Stiamo aprendo accademie per formare la popolazione, stiamo cercando di legittimare questo percorso anche attraverso leggi fondate sul suo pensiero, per poterlo realizzare concretamente».
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