editoriale

99 anni di sentieri proletari: dall’APE all’Alpinismo Molotov

Storia dell’escursionismo proletario: passato e presente di un altro immaginario alpinistico

Quasi cent’anni (almeno) e non sentirli. Nell’ambito delle varie attività sportive autogestite e dal basso (è proprio il caso di dirlo) quella delle escursioni per valli e monti, dall’Appennino alle Alpi, sembra particolarmente fiorente nonostante una storia carsica lunga 99 anni, in parte descritta da Alberto Di Monte in Sentieri Proletari (Mursia, 2015). Il libro è dedicato all’APE, Associazione Proletari Escursionisti (inizialmente Associazione Antialcoolica Proletari Escursionisti), che nacque nel 1919 come organizzazione informale (non fu mai registrata come associazione vera e propria) per allontanare operai e operaie, ma non solo, dall’alcool e dar loro una attività ricreativa e sportiva salutare, che li portasse fuori dalle città in cui vivevano e lavoravano.Tuttavia l’associazione aveva anche scopi politici, come dimostrato ad esempio dalla denuncia, nella rivista associativa, della tragedia del Frejus:

 

Appena venuti a conoscenza della raccapricciante sciagura del Frejus, dove ben 23     emigranti italiani di null’altro colpevoli che di cercare, col lavoro, un tozzo di pane, sorpresi sul colle della bufera, ivi trovarono orrenda morte, e ciò perché non possedendo le carte completamente in regola furono respinti al confine dalla polizia francese, il Comitato Centrale votò un ordine del giorno protestando contro i moralmente responsabili di questa proletaria ecatombe e chiedendo una severa inchiesta da parte del Commissariato Generale della Emigrazione e della Confederazione del Lavoro (Rivista mensile dell’Ape, giugno 1922, in Alberto Di Monte, Sentieri Proletari, Mursia, 2015, p.30).

 

Le attività portate avanti nelle numerose città in cui l’associazione prese corpo andavano da quelle più blande, volte a ricreare senza stancare ulteriormente lavoratori e lavoratrici e attente ai costi di spostamento (spesso in bici) e di spesa collettiva, a quelle più impegnative, non sempre affrontate con l’attrezzatura necessaria. L’associazione si presentò subito come diversa e in qualche modo antagonista (seppure senza confrontarcisi direttamente) rispetto al più classista e successivamente fascista CAI (Club di nome e di fatto, anche se assunse il termine Centro in seguito alle leggi che imponevano l’uso dei soli termini italiani). Il primo congresso APE è datato 7 novembre 1921 ed ebbe luogo a Milano, riunendo varie sezioni locali con ambizioni e progetti diversi: tra questi la costruzione di rifugi (alveari) in cui potessero ritrovarsi gli appartenenti all’organizzazione. Nel 1927, con le leggi fascistissime, l’APE fu però smantellata e dopo aver aiutato clandestinamente numerose persone a valicare le Alpi in fuga dal regime, ma anche aver organizzato sostegni umanitari per i soldati recatisi nella campagna di Russia, molti apeini furono coinvolti nella Resistenza, spesso con esiti tragici.

Dopo la guerra le attività dell’APE ripresero e “negli anni sessanta e settanta l’Associazione conobbe la sua maggiore espansione arrivando ad aprire sedi nella bergamasca e oltre. A Milano, il Gruppo Camosci trovò sede, a partire dal 1954, nei locali del Circolo Familiare di Unità Proletaria di Viale Monza. Lecco rimase il centro operativo dell’APE e proprio nel lecchese, al Pian dei Resinelli, fu edificato l’alveare, il rifugio della federazione delle sezioni dell’APE sparse un po’ in tutta la Lombardia. L’Associazione organizzava inoltre gare podistiche ed apriva in Grigna vie di arrampicata sportiva tra cui ricordiamo lo “Spigolo Ape”. Successivamente le attività dell’APE si contrassero notevolmente, fino a quando, metà degli anni ’80, dopo un breve periodo di stop delle attività, la sola sezione di Lecco è rinata riunendo la vecchia guardia di arrampicatori e scialpinisti ed una nuova generazione di marciatrici e corridori.

E qui veniamo a noi, dopo anni in cui la montagna sembrava diventata uno sport per pochi e le escursioni una attività da persone di una certa età, o al più famiglie, eccetto alcune esperienze meritevoli di menzione, come quella dell’Alpinismo orizzontale legata al Forte Prenestino e nata negli anni ’80. Infatti, dopo un periodo in cui non era così facile trovare gruppi non istituzionali di escursionismo è ricominciato l’interesse per sentieri, cime, valli, boschi e se questo è rinato in ambito anche meramente sportivo, non è mancato l’interesse sociale e politico, che ha dato vita a numerosi gruppi sparsi in tutta Italia. Sarà perché basta pochissimo per aggregare: un paio di scarponi e una giacca a vento (a volte anche una felpa) e la voglia di passare del tempo insieme, al di là di età, condizione sociale ed esperienza. Sarà perché le lotte valsusine hanno avvicinato molti compagni e compagne a un ambiente lontano dalla città e più vicino alle vette alpine. In ogni caso il dato è certo: sempre più persone si avvicinano al camminare su monti di varia altitudine e in varie zone di Italia. Tornando all’APE, sono nate di recente due nuove sezioni: quella milanese legata al centro sociale Piano Terra e quella romana, che ha da pochissimo iniziato la gestione di un rifugio-alveare che ne ospiterà le iniziative fuori dalla città. E poi ci sono le esperienze interessantissime legate alla diffusione culturale in merito alla montagna, tra queste l’inserto mensile “In Movimento” de il Manifesto, che da un anno omaggia la montagna dall’alpinismo e alle attività open-air, in alta e bassa quota e la trasmissione di Radio Onda d’Urto “Picchi di Frequenza”, ma anche un recente numero della rivista storica Zapruder (il 43, “Alte quote”).

Tuttavia è con Alpinismo Molotov (scusandomi per le tante esperienze non menzionate) che voglio chiudere questo articolo, iniziato con un excursus dai primi anni del secolo scorso. Alpinismo Molotov nasce infatti dall’iniziativa di alcuni giapster (utenti del blog GIAP legato al collettivo Wu Ming) e formatosi intorno a due testi di Gian Piero Motti, No Picnic on Mount Kenya e Point Lenana e ora le iniziative (tra le quali sono presenti sia escursioni sia eventi culturali) e i commenti si sviluppano su un blog autonomo. Alpinismo Molotov si autodefinisce  “una associazione sovversiva informale fondata da giapster” e l’espressione designa “al tempo stesso un insieme di prassi in costante evoluzione e la collettività che le fa evolvere”, come leggiamo dal manifesto pubblicato sul blog stesso. Il manifesto prosegue dando alcune indicazioni su cosa sia l’Alpinismo Motov: una pratica di condivisione, si parte e si torna insieme, regolando il passo al ritmo del più lento; alpinismo, può essere faticosissimo ma non è sport, si fa senza cronometro, senza sponsor, senza fretta, senza boria; non è un picnic, fa emergere nuove contraddizioni e nuovi strumenti, concettuali, narrativi, cognitivi, per affrontarle; segue un passo oratorio poiché la “montagna” è un deposito di storie e segni di passate rivolte, resistenze, repressioni, che attendono di avere nuovamente voce; vuole forzare le maglie dell’immaginario alpinistico, sbertucciando eroismo, superomismo e machismo e mettendo al bando seriosità, professionismo, importanza e sussiego; è una pratica antifascista.

La pagina del manifesto si chiude ricordando che l’Alpinismo Molotov non è localizzato in alcuna città ed è plurigemellato con l’Associazione Proletari Escursionisti (APE) di Milano, con il Collettivo Alpino Zapatista (CAZ) di Genova e coi “Bike Partisans” di 2Ruote di Resistenza (2RR), Torino.

 

Viste le buone premesse, non possiamo quindi che augurarci un 2018 altrettanto ricco di iniziative montane, magari sempre più a Sud dello stivale, dove montagne meravigliose sono spesso poco frequentate per la mala gestione dei parchi. E il suggerimento è quello di dar retta a Tita Piaz, il Diavolo delle Dolomiti, (alpinista e socialista, più volte arrestato come oppositore al regime, che aprì una cinquantina di nuove vie e inventò la tecnica di discesa in corda doppia) quando affermava:

 

Si va in montagna per essere liberi

per scuotersi dalle spalle tutte le catene

che la convivenza sociale impone

per non inciampare ogni due passi

in imposizioni e proibizioni

Si va in montagna anche per sbizzarrirsi

una buona volta e

immagazzinare nuove energie