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OPINIONI

Combattere il fascismo fossile per un futuro eco-comunista

Nel loro nuovo libro, Andreas Malm e il Collettivo Zetkin tracciano il profilo di un regime emergente legato al fascismo fossile in Europa e nelle Americhe

La costa occidentale del Nord America è, ancora una volta, in fiamme. Il mese scorso, a Phoenix, Arizona, sono state registrate temperature di 46 gradi Celsius per cinque giorni di fila. Un nuovo record. Ogni pomeriggio la temperatura superficiale dell’asfalto è salita a 82 gradi – un caldo sufficiente da causare ustioni di terzo grado. In California e in Texas, dove le temperature erano leggermente inferiori, gli operatori delle reti energetiche temevano che un’ondata di calore prolungata avrebbe devastato le infrastrutture, provocando nuovamente i blackout dell’anno scorso. Questo potrebbe causare delle severe complicazioni di salute o addirittura la morte alle tante persone che dipendono dall’aria condizionata.

L’ondata di calore che ha colpito il Nord America è dovuta a mesi di siccità nella costa occidentale che hanno determinato le condizioni per un’estate all’insegna di scarsità d’acqua, carestie e incendi senza precedenti. La stagione degli incendi in California e Arizona è iniziata insolitamente presto. Uno dei primi incendi dell’Arizona è divampato per quattro giorni bruciando 70 chilometri quadrati di verde, costringendo due comuni ad evacuare. Mentre la presente intervista viene redatta, più di 60 incendi infuriano su tutta la costa occidentale, alcuni due volte le dimensioni di Portland. Come ormai è diventata una consuetudine negli Stati Uniti, i funzionari statali stanno inviando dei detenuti per domare gli incendi con un compenso di appena 1 dollaro e 50 all’ora.

Quest’anno sia il Pakistan sia l’India settentrionale sono stati colpiti da temperature che hanno raggiunto i 52 gradi. Nella cittadina di Lytton, a circa 200 chilometri da Vancouver, sono stati toccati i 49,6 gradi, la temperatura più alta mai registrata in Canada. Il Brasile ha vissuto la peggiore siccità degli ultimi 100 anni con un aumento vertiginoso dei prezzi dei generi alimentari. A questi livelli la vita quotidiana si trova in sospeso. Le persone muoiono. Gli ecosistemi collassano. E dal caos le forze sociali reazionarie iniziano a muovere i primi passi.

Attraverso una miscela tossica di vecchi cliché razziali anti-immigrazione e un programma climatico negazionista e regressivo, i partiti di estrema destra e i movimenti sociali stanno esercitando una notevole influenza in Europa e nelle Americhe. White Skin, Black Fuel: The Danger of Fossil Fascism del Collettivo Zetkin traccia la scalata di questi movimenti e idee e, con uno sguardo rivolto all’orizzonte, prevede la nascita del “fascismo fossile”.

Le più recenti opere di Andreas Malm, membro del Collettivo Zetkin, How to Blow up a Pipeline e Corona, Climate, Chronic Emergency, consistevano in analisi congiunturali scritte di getto sulla nostra difficile situazione ecologica, epidemiologica e politica. Entrambi i libri hanno cercato di introdurre uno spaccato rosso-verde nelle conversazioni sull’affannosa traiettoria del capitalismo verso il collasso ecologico e i limiti delle strategie predominanti tra gli elementi dei movimenti per il clima del nucleo capitalista.

Sebbene l’urgenza legata a questi studi sia evidente in White Skin, Black Fuel, essa passa in secondo piano, mentre viene data priorità ad un’analisi estremamente dettagliata della relazione tra capitalismo razziale, estrazione di combustibili fossili, nazionalismo e collasso climatico. Il libro è un esempio di appassionata ricerca scientifica al suo apice. Un chiaro richiamo ai movimenti e un forte monito delle forze reazionarie schierate contro di noi mentre lottiamo per un futuro eco-comunista.

Kai Heron intervista i membri del Collettivo Zetkin Andreas Malm, Laudy van den Heuvel e Ståle Holgersen sul processo di scrittura del Collettivo, sul negazionismo climatico e sulla resistenza al fascismo fossile.

Foto dall’archivio DINAMOpress

Kai Heron: Secondo il risguardo di White Skin, Black Fuel (WSBF), ventuno membri del Collettivo Zetkin hanno collaborato alla stesura del libro. Ma cos’è il Collettivo Zetkin? E com’è stato scrivere un libro insieme ad altre venti persone? Dall’esterno, sul piano logistico sembra una bella impresa!

Lundy van den Heuvel: Il Collettivo Zetkin è un gruppo piuttosto variegato di studiosi, studenti, ex allievi e attivisti, ognuno con il proprio settore di competenza negli ambiti dell’ecologia e dell’estrema destra. Alcuni ricoprono posizioni in diverse università, ma siamo in gran parte membri volontari. Sostanzialmente, per quanto riguarda il libro, ognuno ha fatto delle ricerche nel proprio campo di interesse e competenza, poi inviate ad Andreas Malm, che ha raccolto le informazioni e le ha trasformate in un testo coerente e scorrevole.

Dal momento che il Collettivo Zetkin cerca di essere il più trasparente e democratico possibile, lo sviluppo del libro ha richiesto un po’ più di tempo. Andreas ha elaborato tutte le informazioni che i membri Zetkin hanno fornito per poi restituircele chiedendo l’approvazione, feedback, commenti, eccetera, per essere certi che fosse tutto effettivamente corretto, chiaro e fruibile.

Il Collettivo Zetkin in quanto gruppo è ciò che noi realizziamo: possediamo tutti diversi punti focali, eppure lavoriamo tutti grossomodo con gli stessi argomenti. Inoltre, il collettivo ha una chiara base attivista, vale a dire che riteniamo che delle azioni siano necessarie adesso. Il modo in cui esprimiamo questo attivismo può essere diverso da persona a persona, ma abbiamo tutti un sistema di valori piuttosto coerente. Oltre a lavorare collettivamente sugli stessi argomenti, il Collettivo Zetkin è anche un luogo per riunirsi con persone con visioni condivise.

Ståle Holgersen: Il processo di scrittura non è stata convenzionale, come il titolo dell’autore. In breve è andata così: tutti i membri del Collettivo hanno scritto alcune pagine sulle relazioni tra i partiti di estrema destra, il razzismo/anti-immigrazione e l’ecologia nei paesi che conoscevano a fondo. Andreas ha poi riunito queste parti nella sinfonia che possiamo leggere oggi.

Inoltre, i capitoli che non si basano direttamente su casi di studio contemporanei – come discussioni più generiche sul fascismo fossile o sulla storia razziale del combustibile fossile – sono stati scritti, in gran parte, da Andreas. Poi in modo organico, caotico ma in qualche modo strutturato, tutti hanno commentato, apportato cambiamenti, modifiche e talvolta anche riscritto parti del manoscritto durante il processo.

Il WSBF avverte del palesarsi di quello che chiama “fascismo fossile”. Cos’è il fascismo fossile, come si distingue dal fascismo della metà del 20° secolo, e cosa vi ha spinto a scrivere ora un libro sull’argomento?

LH: Il termine “fascismo fossile” è stato in realtà coniato da Cara Daggett in un saggio sul tema della petro-mascolinità, combustibili fossili e desiderio autoritario. Nel WSBF sosteniamo che, quando si parla di fascismo, si dovrebbe fare una distinzione tra il fascismo come un insieme di idee, come lo intende Roger Griffin, celebre studioso, e il fascismo come una forza storica reale, il cui esempio classico è il fascismo che abbiamo visto nel periodo interbellico. Quello che possiamo vedere in questo momento è un’ascesa di partiti, tendenze e simpatie di estrema destra, che in realtà non si sono mai estinte ma hanno conosciuto una generale – anche se non lineare – rinascita negli ultimi anni.

Tuttavia, perché il fascismo diventi una forza storica, ci deve essere una crisi reale, e i fascisti devono prendere il potere. In questo momento ci troviamo di fronte a una crisi enorme, che è di natura ambientale, e l’estrema destra è in ascesa e difende l’industria fossile – il capitale fossile – con tutte le sue forze. Questo significa che c’è il rischio di andare verso un fascismo fossile.

Andreas Malm: Per dare una definizione del tutto semplice, direi che il fascismo fossile è la difesa aggressiva dei privilegi messi in discussione all’interno della crisi climatica, unita alla violenza sistematica dello stato contro le persone non bianche definite e trattate come nemici della nazione bianca. Ci teniamo a chiarire che questo non è un fenomeno che esiste in nessuno dei paesi che studiamo – non sosteniamo che l’amministrazione Trump fosse fascista o che qualcuno dei partiti di estrema destra al potere o vicini al potere lo sia – ma osserviamo tendenze che puntano verso questa direzione. E la crisi climatica è destinata a peggiorare.

Mentre si aggrava, può, a nostro avviso, assumere due forme idealtipiche: una crisi di mitigazione, in cui i combustibili fossili in quanto tali sono messi in discussione e si inizia una rapida e radicale separazione da essi oppure una crisi di adattamento, in cui gli effetti climatici colpiscono così duramente da richiedere la ridistribuzione e l’apertura dell’accesso alle risorse di base detenute in abbondanza dai ricchi nel nucleo metropolitano – questo potrebbe riguardare terra, acqua, sostanzialmente tutto. Inutile dire che queste due forme di crisi potrebbero convergere in una realtà caotica. Consideriamo vari scenari in cui l’estrema destra potrebbe prendere il potere e difendere aggressivamente i privilegi messi in discussione rivolgendo il tiro della violenza di stato contro le persone non bianche. Sfortunatamente, questi scenari non sembrano del tutto inverosimili, o almeno così crediamo.

Foto dall’archivio DINAMOpress

SH: Una questione centrale di ricerca per gli studiosi del fascismo è “quale tipo di crisi rende possibile il fascismo”? Nel libro esploriamo semplicemente la questione più ovvia: la crisi climatica può essere una crisi di tale natura? Anche se non possiamo ovviamente sapere nulla di certo sul futuro, ci sono alcuni segnali inequivocabili: in un mondo altamente instabile, si svilupperanno future crisi organiche, con un numero potenzialmente crescente di immigrati a causa degli effetti climatici. Gli esponenti razzisti dovranno trovare dei responsabili a cui dare la colpa dei danni – dato che non possono di certo essere uomini bianchi e ricchi.

Poiché il termine “fascismo” è convenzionalmente legato fortemente a due stati in particolare, l’Italia e la Germania durante la guerra, è necessario parlare del suo “ritorno” in termini di caratteristiche e tendenze – o processi di fascistizzazione – piuttosto che aspettare la ricomparsa di Adolf Hitler. Una cosa che bisogna tenere a mente a tal proposito è che il fascismo è sempre stato un modo estremamente moderno di organizzare il capitalismo. Questo è in netto contrasto con alcune delle relative retoriche ed estetiche e significa che l'”eco-fascismo” come in una vera e propria società ecologica è tanto improbabile quanto un capitalismo con un rapporto sostenibile con la natura. Nella costruzione delle “moderne” società capitaliste i combustibili fossili sono stati finora la principale fonte di energia. Queste sono le connessioni che indaghiamo nel libro.

Solo l’anno scorso, 30 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni a causa di tempeste, inondazioni, siccità, incendi e altri segni dell’escalation del caos climatico. L’Istituto per l’Economia e la Pace stima che ci sarà un totale di 1,2 miliardi di rifugiati climatici entro il 2050. Il WSBF traccia un’affascinante correlazione tra l’immigrazione e l’ecologismo di estrema destra. Lei descrive l’immigrazione come un “imbuto problematico” per le politiche di estrema destra attraverso il quale devono passare tutte le altre, compresa la crisi climatica. Potrebbe approfondire questa idea e spiegare perché ci interessa?

LH: Come il libro sottolinea, ogni volta che l’estrema destra si esprime sul cambiamento climatico, fa anche una dichiarazione sull’immigrazione. Il che assume diverse forme: alcuni potrebbero dire qualcosa in linea con: “il clima non è il nostro problema principale, l’immigrazione lo è”; alcuni sosterrebbero che i paesi africani e/o musulmani sono da condannare perché sovrappopolano il mondo con i loro elevati tassi di natalità; e altri direbbero addirittura che l’immigrazione stessa causerebbe il degrado ambientale sovrappopolando l’Occidente e invitando gli immigrati dai paesi poveri a emulare lo stile di vita occidentale. Tutte le ricerche suggeriscono che tali affermazioni sono assurdità totali, eppure per l’estrema destra europea in particolare, l’immigrazione è l’argomento principale, poiché attribuisce ogni problema sociale all’immigrazione (musulmana).

La negazione è un tema ricorrente in WSBF. Nel capitolo finale del libro si riprende Stanley Cohen in States of Denial: Knowing about Atrocities and Suffering nel proporre una tassonomia tripartita della negazione: letterale, interpretativa e implicativa. Quando si tratta della crisi climatica, la negazione letterale nega semplicemente l’esistenza della crisi. La negazione interpretativa ammette che qualcosa come il riscaldamento globale stia accadendo, ma minimizza la sua importanza, assolve i suoi autori, oscura le sue origini nella produzione capitalista, e così via. La negazione implicita, che secondo voi è la più insidiosa, accetta i fatti del cambiamento climatico ma si rifiuta di agire su di essi con l’urgenza richiesta. Potremmo dire che questa è stata la posizione generale dei governi centristi e delle ONG ambientali fin dal protocollo di Kyoto, se non prima.
In primo luogo, potreste dirci perché la negazione è un argomento importante da affrontare in un’analisi dell’ambientalismo di estrema destra? E in secondo luogo, mi chiedo se conveniate sul fatto che stiamo assistendo a un quarto tipo di negazionismo. Un negazionismo che riconosce la gravità della crisi e che agisce – spesso molto rapidamente – proprio perché nulla di essenziale debba cambiare. Questo è un negazionismo che penso troviamo nei sostenitori del capitalismo verde, della crescita verde, dell’eco-modernismo, e anche nella maggior parte delle iterazioni del Green New Deal. Considerate questo tipo di negazionismo come un ostacolo a un’azione politica significativa? E se così fosse, come possiamo sperare di combatterlo?

LH: Per rispondere alla seconda parte della domanda, in che misura il capitalismo verde e la crescita verde ecc. sono forme di negazionismo che ostacolano un’azione politica significativa: Condivido decisamente questo punto di vista. Si tratta di strategie per prolungare l’ordinaria amministrazione, dandogli una parvenza di verde. Una narrazione potente, che attira molti: per risolvere apparentemente “il problema” senza richiedere alcun cambiamento effettivo. È un’immagine troppo comoda. Michael Redclift ha pubblicato un articolo nel 2005 in cui sostiene che la crescita sostenibile è un ossimoro; i concetti sono opposti e quindi non vanno insieme. Lo stesso vale per la crescita verde.

Personalmente penso anche che uno dei problemi principali sia che la “ricchezza” è esclusivamente una misura monetaria, spesso espressa in PIL astratti e incompleti. Queste misure economiche non prendono mai veramente in considerazione il costo reale delle cose, come gli effetti ambientali a lungo termine. Quindi possiamo considerare questo come una forma di negazione.

AM: Ho perso il conto delle fasi e delle forme di negazione… La negazione è infatti del tutto centrale nella nostra situazione odierna, e si presenta sotto centinaia di forme. Tuttavia, non collocherei il Green New Deal in nessuna delle iterazioni a me note in questa categoria. La negazione implicita è il mantenimento pratico dell’ordinaria amministrazione e il rifiuto di sostenere e avviare tagli radicali delle emissioni – nonostante il riconoscimento formale dell’esistenza della crisi. Il GND è un programma specifico che prevede una riduzione radicale delle emissioni ed è diverso in natura da, per esempio, il commercio di carbonio, le varie visioni “net zero” per compensare le emissioni continuate con la raccolta del carbonio e la maggior parte se non tutti gli altri programmi noti nella parte estrema dello spettro del capitalismo verde. Si possono avanzare varie critiche alla struttura del GND, chiaramente, ma non vedo come possa essere legittimamente classificata come negazione del clima di qualsiasi tipo.

Foto dall’archivio DINAMOpress

Ora, i tipi di negazione di cui ci occupiamo nel nostro libro sono principalmente di due tipi: la negazione classica del nucleo centrale della letteratura, che rappresenta ancora le posizioni predominanti nell’estrema destra, da Trump e Bolsonaro a Vox e l’AfD; e il nazionalismo verde, che accetta nominalmente l’esistenza della crisi climatica e poi continua ad incolpare le persone non bianche in generale e gli immigrati in particolare.

Consideriamo la seconda una negazione secondaria, perché mentre riconosce (presumibilmente) le basi della scienza del clima, nega la totalità delle prove su ciò che determina il riscaldamento globale. Quindi, l’estrema destra è profondamente coinvolta in due tipi di negazione climatica abbastanza estrema. Un punto chiave che segnaliamo, tuttavia, è che questo coinvolgimento è un prodotto logico delle società capitaliste, ben oltre i confini dell’estrema destra organizzata. La negazione dell’estrema destra e quella del capitale sono vasi comunicanti. Ad un livello ancora più profondo c’è un legame primordiale tra il razzismo e le tecnologie a combustibile fossile che esploriamo a lungo nel libro – ma qui scalfiamo solo la superficie. C’è bisogno di compiere un’indagine approfondita su questo legame, e fortunatamente, sembra essersi avviata.

Verso la fine del WSBF vi ispirate a Ralph Miliband sostenendo che lo stato capitalista – così come esiste attualmente – è intrinsecamente incapace anche solo di comprendere la portata della crisi climatica, figuriamoci di affrontarla. Questo perché mentre la funzione primaria dello stato è quella di mantenere i rapporti sociali che rendono possibile l’accumulazione del capitale, la crisi climatica è un problema che richiede agli stati di agire in modi che si oppongono agli interessi del capitale. Ma il capitale è composto da capitali concorrenti, molti dei quali ora vedono la crisi climatica come un’opportunità di business.
Il Financial Times ha recentemente pubblicato un articolo intitolato “Green is Good“, in cui sottolineava le opportunità di investimento che una transizione verde potrebbe portare. Mentre The Express, un tempo il giornale più rabbiosamente negazionista sul clima del Regno Unito, ora sostiene una transizione eco-modernista, capitalista verde. Sembra almeno possibile che le fazioni del capitale si stiano preparando per un mondo successivo al capitale fossile e che gli stati capitalisti possano seguire l’esempio.
Pensate che ciò rappresenti un cambiamento nella strategia del capitale da quando è stato scritto il libro? E se è così, cosa può dirci il WSBF su questa possibile ricomposizione di stato e capitale?

SH: Tutte le analisi relative al capitalismo devono partire dal fatto che il sistema è altamente flessibile, come lei sottolinea. Il capitale cercherà di accumulare ovunque possa: prima creando la crisi ecologica – come ha fatto per 200 anni – poi cercando di risolverla almeno retoricamente e attraverso il greenwashing – come ha fatto per decenni – e poi attraverso adattamenti massicci a un mondo che si surriscalda, che sarà sempre più determinante nei prossimi anni. In linea di principio, le ultime cinque persone sul pianeta potrebbero essere un capitalista che ordina a quattro operai di usare la loro ultima tecnologia moderna per produrre l’ennesimo kit di sopravvivenza.

Il capitale è diventato più verde da quando è stato scritto il libro? Forse da un punto di vista retorico, sì. Ma nella realtà? Beh, qui ogni tendenza verso un “capitalismo più verde” deve essere vista alla luce di altre tendenze: il consumo pre-pandemico di petrolio, ad esempio, è destinato ad essere superato entro il 2022.

AM: Naturalmente ci potrebbero essere opportunità di business nelle energie rinnovabili, nelle auto elettriche, nel cibo vegano e così via. Tuttavia, una transizione che possa minimizzare la catastrofe climatica riguarda fondamentalmente qualcos’altro: si tratta di cancellare un intero pianeta di valore. Il clima non si stabilizza in un attimo se costruiamo migliaia di parchi eolici e miliardi di pannelli solari mentre manteniamo, per non dire espandiamo, piattaforme petrolifere e centrali a carbone e terminali di gas fossile e aeroporti e tutto il resto.

Quello a cui stiamo assistendo finora non è una transizione – come chiudere definitivamente le fonti di combustibili fossili e sostituire ciò che deve essere sostituito con energia rinnovabile – ma un’aggiunta di tecnologia verde sopra una base fossile che non è affatto vicina allo smantellamento. Questo perché il capitale non riesce a eliminare tutti questi investimenti prima che abbiano prodotto il massimo profitto. Credere che questo possa accadere spontaneamente è credere nel desiderio del capitale di amputare le proprie membra, se non di commettere un vero e proprio suicidio. Quindi, ci possono essere fazioni del capitale che si preparano a trarre profitto dalle energie rinnovabili e simili, ma non ho visto nessuno armarsi per far chiudere domani ExxonMobil e Total. Né gli stati capitalisti si stanno preparando a ciò – basta guardare Biden o Trudeau o Macron o qualsiasi altro leader simile e come continuano a dare il via libera a un’ulteriore espansione del petrolio e del gas.

Finora, quindi, la legge Miliband sembra purtroppo tenere. Sarebbe un miracolo se venisse interrotta in tempo per evitare una catastrofe climatica inarrestabile.

L’alternativa, naturalmente, è quella di costruire un contropotere che possa far passare una transizione da basi popolari al di fuori dello stato capitalista e al di fuori di qualsiasi fazione delle classi dominanti. Ma questa alternativa non è l’obiettivo del nostro libro. Si tratta di capire il distacco più aggressivo e avanzato del nemico.

Foto dall’archivio DINAMOpress

Infine, la domanda obbligatoria “Cosa si deve fare? Il WSBF avverte di un’estrema destra in ascesa, una coalizione esecrabile dell’industria dei combustibili fossili, della supremazia bianca e dei governi eco-nazionalisti. Ma nella parte finale del libro lasciate entrare un barlume di speranza. “La buona notizia”, scrivete, “è che l’ideologia dominante sta mostrando segni di disperazione”.
Come abbiamo visto con la popolarità di Friday for Future e Extinction Rebellion, la crisi ecologica ha la capacità di creare un varco nel mito della compatibilità del capitale con la prosperità umana e non. Quando i lockdown cominceranno ad essere rimossi, il movimento per il clima avrà bisogno di ripartire con rinnovata urgenza. Cosa speriate che impari dal WSBF? E come possiamo iniziare ad abbattere il meccanismo del fascismo fossile?

LH: Come abbattere il meccanismo del fascismo fossile – o piuttosto impedire che si materializzi – è forse la questione più importante, ma anche la più difficile a cui rispondere, poiché non c’è un modo semplice per farlo. Le manifestazioni del Friday’s for Future sono un primo passo verso la giusta direzione, le cause legali contro i governi e la Shell nei Paesi Bassi ne sono altri, così come i blocchi contro i siti di fracking, gli oleodotti o i pozzi di carbone. Eppure è un po’ come se si cercasse di abbattere un muro grattando via il cemento con le unghie. Abbiamo bisogno di bulldozer. Come accenna anche il libro all’inizio: “Le cose potrebbero anche mettersi male. Anzi, è già così”. Eppure le crisi inducono regolarmente il cambiamento, e a volte – anche se troppo raramente – spingono verso una direzione progressista. Affinché il cambiamento proceda nella direzione della giustizia ambientale, la sinistra deve ovviamente essere più incisiva. E come può accadere? Questo, va ammesso, non è un concetto al quale tentiamo di rispondere nel libro.

SH: Il libro è sostanzialmente un appello ai movimenti per il clima e a quelli antifascisti e antirazzisti per unire le forze. Sia in senso difensivo che offensivo: il movimento per il clima ha bisogno di capire cosa sta succedendo quando i fascisti utilizzano una retorica “verde”, e realizzare quanto profondamente la razza e il razzismo strutturino il nostro mondo in fase di surriscaldamento. In Europa, il movimento rimane prevalentemente bianco e spesso cieco alla politica della razza – tutto questo deve cambiare. Gli antifascisti, d’altra parte, hanno bisogno di comprendere la distruzione ambientale che può derivare dal fascismo e viceversa. Ma questa convergenza deve essere anche offensiva: in una comune lotta eco-socialista. Solo in questo modo possiamo affrontare i processi soggiacenti che costituiscono sia il cambiamento climatico che il fascismo: il capitalismo e le sue crisi.

Questo articolo è apparso originariamente su Roar Magazine.

Traduzione di Claudia Basagni per DINAMOpress.

Foto di copertina di Antonio Cascio.