editoriale

11 settembre 1973 – Il Golpe in Cile

Non gli aerei dirottati da al-Qaeda contro le Twin Towers, ma gli aerei a bassa quota teleguidati da Henry Kissinger e Milton Friedman sul palazzo della Moneda sono il nostro 11 settembre. L’eroismo di Salvador Allende e degli ultimi difensori del palazzo nel 1973 continua a dirci qualcosa di più del dolore delle vittime del 2001 e del coraggio dei soccorritori. Quel di più è il significato politico dell’impresa cui il golpe mise fine, il gesto consapevole della resistenza, il ruolo strategico dei mandanti, gli effetti che ne conseguirono in America Latina e in Europa.

La coppia Nixon-Kissinger (imbroglioni e assassini di prima classe, non marionette come Bush jr. o psicopatici come Trump) aveva chiuso brillantemente la partita asiatica normalizzando i rapporti con la Cina e ritirandosi quasi decentemente dal disastro vietnamita, ora doveva recuperare terreno nel cortile di casa, già minacciato dall’instabilità argentina (la vittoria di Perón, pochi giorni dopo il golpe cileno, doveva, come fu, essere neutralizzata), mentre, per di più risuonavano le prime, flebili avvisaglie del Watergate. Oltre a riaffermare il Washington consensus, apparve utile unire all’ennesima dittatura gorillesca un esperimento di ingegneria sociale: l’applicazione sanguinosa del programma economico della Scuola di Chicago, la messa in pratica dei princìpi teorici neoliberali dopo l’inconvertibilità del dollaro in oro sancita due anni prima. Kissinger e la Cia tramarono, Friedman provò la metodologia economica in corpore vili prima di passare alla terapia di massa (Reagan negli Usa e Thatcher in UK), Pinochet e i suoi sgherri eseguirono con meticolosa ferocia.

Per questo la resistenza cilena al golpe e il rifiuto di Allende ad accettare la resa con immunità significarono oggettivamente non una romantica difesa del socialismo ma la prima (inconsapevole) battaglia contro il neoliberalismo che in pochi anni avrebbe conquistato il mondo capitalista e le terre desolate del “socialismo reale”. Se l’esperienza di Unidad Popular chiudeva un ciclo latino-americano più che aprirlo – come avverrà con il laburismo di Lula e il neopopulismo dal 1999 in poi – il significato della disperata difesa di un modello decente di vita e sviluppo contro l’offensiva neoliberista appare in tutto il suo valore a una considerazione retrospettiva, quando con metodi meno sanguinari la stessa dieta è stata imposta ai destrutturati regimi keynesiani europei. Solo che stavolta la sinistra non si è difesa armi alla mano, ma si è resa complice e portabandiera di quell’operazione, fino al suicidio assistito.

De resto, assai discutibile fu già allora la risposta del troppo rimpianto (per facile comparazione con i successori) Enrico Berlinguer, che analizzò gli effetti del golpe cileno e della nostrana strategia della tensione in un gruppo di celebri articoli su “Rinascita” nel settembre-ottobre 1973 ricavandone la proposta del “compromesso storico”. Berlinguer sopravalutò il pericolo golpista in Italia e la conseguente necessità di un’alleanza con la Dc (giudizio già espresso allora nel Pci, non facile profezia a posteriori), che poi culminò in un sostegno a un pessimo governo Andreotti nel 1978 nato paradossalmente contro Moro e legittimato in nome dell’unità nazionale dopo il rapimento del medesimo. Inoltre Berlinguer si mosse in una logica di fronte antifascista tipica dell’era fordista (1944-45, 1960, 1964) ma sommamente cieco di fronte al primo golpe post-fordista e neoliberale. Ne seguì che, negli anni successivi, fu lo stesso Berlinguer a battersi in prima fila per l’austerità e contro il movimento del 1977, creando (senza magari volerlo) le condizioni per la deriva disgregativa del Pci negli anni ’80 e ’90.

Sono passati molti anni, sono morti tutti gli eroi, i carnefici e i comprimari di allora (sopravvive solo Stranamore Kissinger) e ci pare giusto ancora una volta ricordare chi rifiutò di arrendersi e aiutò così i rivoluzionari successivi. Allende e gli altri caduti non sono vittime da compiangere ma anelli di una catena di salvezza, come Benjamin lesse la Zattera della Medusa, il dipinto di Géricault: un grande negro che agita uno straccio rosso e morirà segnalando la posizione dei naufraghi che saranno salvati.