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In Nepal la Gen-Z sta facendo una rivoluzione
In soli due giorni la Generazione Z nepalese ha messo in discussione il sistema politico nazionale. L’oscuramento dei social network è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: dopo anni di mugugni, la giovane popolazione nepalese non è rimasta inerme davanti al nuovo tentativo di censura del governo guidato da Khadga Prasad Sharma Oli. Ora si apre un nuovo scenario di cambiamento e transizione
Da inizio settimana il Nepal ha cambiato faccia. In molte e molti giovanissimi, con ancora indosso le divise scolastiche, hanno risposto alla chiamata alla mobilitazione della ONG nepalese “Hami Nepal” – Noi siamo il Nepal – a scendere in piazza contro la messa al bando di 26 piattaforme social – tra cui WhatsApp, Facebook, Instagram, YouTube e X. Una decisione simile venne presa nel novembre 2023, con il temporaneo ban di TikTok e Viber, poi ritirato nell’agosto successivo in seguito all’adeguamento delle piattaforme alle normative sulla privacy nazionali.
Con la motivazione ufficiale di tutelare la sicurezza nazionale attraverso il monitoraggio e la regolazione dei contenuti, il governo di Khadga Prasad Sharma Oli, appoggiato dal Partito del Congresso Nepalese e dal Partito Comunista (Unificato Marxista-Leninista), ha approvato la misura di regolazione delle piattaforme.
Il provvedimento impone il blocco delle piattaforme in caso di non adeguamento alla normativa, configurandosi di fatto come censura.
Negli ultimi mesi, gli esponenti del governo sono stati oggetto di serrate critiche su corruzione e crescita delle diseguaglianze nel paese. Gli occhi della popolazione sono stati puntati verso i “Nepo-kids”, nome con cui si fa riferimento ai figli di funzionari, uomini delle istituzioni o uomini d’affari vicini al governo, che ostentano le proprie ricchezze sui social.
È proprio sugli stessi social che si sono organizzate le manifestazioni di massa. La comunicazione delle indicazioni generali sulle mobilitazioni su Instagram e il costante monitoraggio degli eventi nelle piazze con conversazioni in tempo reale su Discord, hanno garantito il coordinamento nei cortei. Un diffuso sentimento di ostilità verso la classe dirigente ha fatto sì che la protesta eccedesse le intenzioni pacifiche degli organizzatori. Anil Baniya, membro di Hami Nepal, ha dichiarato ad AlJazeera: «Durante le prime ore, è andato tutto come previsto, fino a quando alcune forze esterne e militanti di partito si sono uniti alla protesta fronteggiando le forze armate e lanciando pietre».
Dai primi new jersey divelti da giovani e uomini palestrati, è stata evidente l’incontenibilità del movimento. Le immagini delle giovanissime e dei giovanissimi in uniformi scolastiche che attraversano le barricate intorno ai palazzi istituzionali di Kathmandu, dei fuochi di copertoni agli angoli delle strade, hanno avuto forte presa sull’immaginario, restituendo plasticamente il desiderio di massa di rompere con l’attuale stato di cose esistenti della giovane Repubblica parlamentare nepalese nata nel 2008. Gli eventi della stessa giornata hanno portato alla morte di 19 persone ed oltre 400 feriti; numeri a oggi saliti a circa 30 morti, e migliaia di feriti.
Primo risultato politico delle mobilitazioni sono state le dimissioni del Ministro degli Interni Ramesh Lekhak nella mattinata di lunedì, seguite poi dalla dichiarazione del Ministro delle Telecomunicazioni, Prithvi Subba Gurung, di revoca della legge sulla regolazione delle piattaforme. Eventi che hanno dato forza alle mobilitazioni: come riportato da un inviato di TheWire sul campo, le e i manifestanti «non vogliono dare una lezione al governo, vogliono che se ne vadano tutti».
I messaggi di rottura scanditi nelle piazze si alimentano di un immaginario che unisce l’iconografia piratesca di One Piece – con bandiere raffiguranti il Jolly Roger dal cappello di paglia, già simbolo di rivolte in Indonesia – a un repertorio di tattiche prese in prestito dai recenti movimenti anti-sistemici in Bangladesh e Sri Lanka.
Nel secondo giorno le proteste sono aumentate con ancor più decisione, portando alle dimissioni del primo ministro Khadga Prasad Sharma Oli e di componenti del suo governo. Sorte peggiore è toccata al Ministro delle Finanze, Bishnu Paudel, alla Ministra degli Esteri, Arzu Rana Deuba, e a suo marito, l’ex-primo Ministro Sher Bahadur Deuba: sono stati picchiati in pubblica piazza davanti alle telecamere. Numerosi altri ministri e parlamentari sono stati recuperati dagli elicotteri dell’esercito, unico mezzo a disposizione per sfuggire dalla furia della folla.
Al termine dei primi due giorni di rivolta, è il dato simbolico a restituire la portata degli eventi: con i palazzi del potere esecutivo, legislativo e giudiziario dati alle fiamme sembra essere imminente l’alba di un nuovo stato di cose esistenti. Assieme a questi, sono stati dati alle fiamme gli uffici centrali del partito del Congresso nepalese, residenze private di primi ministri, ministri ed ex-ministri, centri di affari, hotel di lusso e interi complessi ministeriali.
Con il palazzo della Corte Suprema dato alle fiamme, sono sparite decine di migliaia di fascicoli giudiziari e oltre 7.500 detenuti sono evasi dalle patrie galere. Le violenze di massa hanno portato ad assalti generalizzati alle caserme di polizia ed esercito, tanto da portare il neo-nominato Comandante dell’esercito e capo della sicurezza nazionale, Ashokraj Singdel, a dover dichiarare ciò che non è più ovvio in tempi di rivolta: i civili trovati con equipaggiamento dell’esercito o della polizia indosso saranno arrestati. La dichiarazione è stata già presa come una sfida dalle e dai manifestanti, che sui social postano foto con fucili o attrezzature dell’esercito.
Le ragioni della protesta
La mobilitazione ha dato libero sfogo all’insoddisfazione popolare contro il governo, reo non solo di provare a censurare le critiche sui social, ma anche di essere fortemente corrotto, incapace di garantire un deciso sviluppo al Paese e sanare le diseguaglianze. Dopo le prime violenze della polizia, il programma di minima del movimento Gen-Z ha fissato alcune richieste non negoziabili: dissoluzione del Parlamento, dimissioni in massa dei parlamentari, sospensione immediata degli ufficiali che hanno dato l’ordine di aprire il fuoco contro i manifestanti e programmazione di nuove elezioni.
La percezione dell’alta corruzione in Nepal trova conferma nei dati di Transparency International: nell’Indice del 2024, il Paese si classifica 107-esimo su 180 a livello mondiale. Il sentimento di insoddisfazione si rinforza nel tam-tam social di pagine Instagram sulle immagini delle ville di ministri, funzionari di governo ed ex-parlamentari; nei video delle e dei manifestanti che lanciano in aria i soldi appena presi da residenze di uomini di governo o da uffici di partito.
Altrettanto critiche sono le diseguaglianze. Nel Paese himalayano martoriato dai disastri naturali, le diseguaglianze mostrano l’incapacità delle istituzioni ad attuare una traiettoria di sviluppo per le masse.
Con un reddito pro-capite di 1.400 dollari l’anno e un tasso di disoccupazione pari al 20%, il Nepal è il Paese più povero della regione sud asiatica.
Altrettanto preoccupante è l’esodo di massa dal Paese: sono oltre 1,4 milioni le e i nepalesi all’estero per ragioni economiche registrati nel 2023, a cui vanno aggiunti parte degli 839.266 richiedenti permessi di lavoro in uscita dell’anno fiscale 2024/25. A oggi si stima che il 7,5% dei nepalesi, migranti lavoratrici/lavoratori e non, viva all’estero. Le rimesse da loro inviate ai familiari in Nepal costituiscono il 33,1% del PIL e risultano essenziali per la tenuta dei conti pubblici dello Stato.
I numeri della diaspora parlano indirettamente degli effetti collaterali del ban delle piattaforme social. Con famiglie e affetti divisi da migliaia di kilometri di distanza, queste app sono tra i pochi mezzi di comunicazione a disposizione per restare in contatto con i propri cari, per sentirsi ancora parte di una comunità che si è dovuto abbandonare per assicurarsi un futuro migliore.
Tutto questo in un Paese fortemente diseguale dove «il 10% più ricco dei nuclei familiari possiede oltre il 40% dei terreni, mentre un’ampia quota della popolazione rurale povera è senza terra o, potremmo dire, quasi senza terra», e non ha accesso a un’educazione di qualità e dove lavori o redditi alti sono pertinenze delle stesse élite spesso colluse con esponenti di governo. Diseguaglianze fortemente amplificate dai social. Oltre il 90% delle e degli abitanti li utilizza, e proprio su queste piattaforme l’ostentazione della ricchezza è diventata un potente catalizzatore di odio di classe.
Dubbi sulla transizione, protagonisti ed esito finale
Mercoledì, nel terzo giorno della rivoluzione della Gen-Z, iniziano a presentarsi le prime scelte difficili del movimento rivoluzionario: quali direzioni deve intraprendere ? Chi decide per esso? Domande a cui ha iniziato a rispondere la stampa locale, individuando dei primi referenti in Sudan Gurung – a capo della ONG Hami Nepal –, Balendra Shah – trentacinquenne sindaco di Kathmandu, ex-rapper molto popolare tra i giovani – e, in minor grado, Rabi Lamichhane – leader del partito centrista Rashtriya Swatantra Party, quarta forza politica nepalese, ex-viceministro ed ex- conduttore televisivo – fino a martedì in carcere con accuse di frode fiscale.
Seppur non in linea con l’età media del Paese, di 25 anni, i personaggi indicati come potenziali nuovi leader sono molto più giovani dell’attuale classe dirigente nepalese, abbondantemente sopra i settant’anni d’età.
Ancorati a vecchie ideologie e responsabili di aver affossato la recente rivoluzione anti-monarchica in nome dei propri interessi personali i governanti appena scacciati rappresentano un vecchio mondo di cui la popolazione non ha memoria.
Anche per questo sono molteplici i dubbi che arrivano sulla transizione tra il vecchio ordine e il nuovo assetto post-rivoluzionario.
Dubbi sedati mercoledì, con la nomina condivisa da militari e manifestanti di Sushila Karki, settantatreenne ex- presidente della Corte Suprema nota per il suo approccio integerrimo, come prima ministra nominata per guidare la transizione di potere. La proposta della nomina di Karki è arrivata durante un incontro partecipato da migliaia di persone sulla piattaforma Discord dove, dopo una lunga discussione, è emerso il nome dell’ex-presidente. Con i dubbi sempre meno pressanti di passaggio dei poteri ai vertici militari, Khadga Prasad Sharma Oli disperso, e le rassicurazioni di gran parte del movimento Gen-Z di rifiutare pratiche violente, la transizione pacifica sembra poter essere possibile.
La soluzione trovata da movimento e giunta militare sembra poter essere adeguata all’assetto istituzionale nepalese. La nomina di Karki, inizialmente ad interim, dovrà incassare in un secondo momento la fiducia attraverso il voto favorevole della maggioranza dei membri dell’assemblea legislativa. Sarà interessante osservare gli esiti del voto in un Parlamento dove non vi è alcuna presenza di membri della Gen-Z.
Rivoluzione o restaurazione monarchica?
Tra i dubbi che più insidiano la transizione di poteri c’è il risorto revanscismo pro-monarchico. Cresce il numero dei sostenitori del vecchio ordine monarchico rappresentato dal Re Gyanendra Bir Bikram Shah, già protagonisti di numerose manifestazioni di piazza tra la fine di maggio e l’inizio di giugno.
Gyanendra è l’ultimo discendente al trono e unico superstite del massacro in cui dieci membri della famiglia reale si ammazzarono nella notte del 1 giugno 2001 per accaparrarsi la guida del Paese. La sua famiglia ha unificato i reami del Nepal nel 1768 e ha governato il Paese fino al 2008, anno in cui dopo dieci anni di serrata lotta armata, le fazioni guidate dai maoisti deposero il governo dispotico di Gyanendra istituendo la Repubblica del Nepal. La Costituzione repubblicana arrivò sette anni dopo.
I 10.000 che il 29 maggio accolsero Gyanendra a Kathmandu, giunto per un tour nella parte occidentale del paese, non furono un evento di colore, ma un segnale che il vento politico stava cambiando. Gli scontri sanguinosi di quei giorni sono altrettanto rappresentativi del revanscismo presente e della forte conflittualità politica.
Dall’accoglienza trionfale alle manifestazioni esplicitamente pro-monarchiche il passo è stato breve. Gli slogan pronunciati proprio il 29 maggio dalla folla «Liberate il palazzo reale per il Re. Torna, Re, salva il Paese. Lunga vita al nostro amato Re. Vogliamo la monarchia», si sono trasformati in manifestazioni pro-monarchiche a Kathmandu il 12 giugno. A muovere questo sentimento popolare, al momento non di massa, sono il sentore di stabilità politica sotto l’egida del Re, e il rampante nazionalismo hindu; se della stabilità monarchica non ci si sorprende troppo, anche grazie ai 14 governi succedutisi in soli 17 anni di Repubblica, sulle seconde ragioni occorre allargare lo sguardo dalla monarchia nepalese alle fazioni nazionaliste hindu indiane.
Un primo indizio sulle traiettorie del nazionalismo hindu filo-monarchico nepalese è dato dalle icone portate dai monarchici in piazza.
Non è raro vedere nelle piazze di questi i quadri di Yogi Adityanath, santone, governatore dell’Uttar Pradesh in quota Bharatiya Janata Party e capo della milizia armata Hindu Yuva Vahini, portati in spalla dai manifestanti. A unire monarchi e Adityanath, è l’intenzione di istituire l’Hindu Rashtra, ovvero uno Stato dove identità, cittadinanza e leggi sono fondati sui principi e valori della cultura hinduista.
Tra i mezzi politici utilizzati per fomentare l’hindu-nazionalismo nel Nepal, Paese a prevalenza di popolazione di fede hinduista, il partito Rashtriya Prajatantra Party, associazioni hindu-nazionaliste socio-culturali parallele a quelle indiane, e il legame storico-religioso tra il tempio di Gorakhnath Mutt – di cui Adityanath è capo spirituale – e la dinastia reale della famiglia di Gyanendra.
Fattori da considerare con attenzione, certo, ma al momento minoritari. In questo momento di transizione, connotato da un’esigenza di rinnovamento, nella forza del movimento Gen-Z espressa nelle piazze e nel metodo assembleare di decisione delle candidature emerge l’insoddisfazione delle masse impoverite da classi politiche predatorie. L’esigenza delle e dei giovani attaccate e attaccati ai telefonini per fare la rivoluzione, per cambiare l’ordine presente resettando universo simbolico istituzionale e adottando un immaginario pirata degno della ciurma di Luffy, è in piena continuità con quella delle masse rivoluzionarie di Bangladesh e Sri Lanka recentemente insorte.
Nel Sud Asia la storia è in movimento, il suo domani è ancorato ai desideri delle masse.
L’immagine di copertina è di हिमाल सुवेदी, da wikicommons
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