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Le donne curde contro Erdoğan con la campagna «100 motivi per condannare il dittatore»

Partita il 25 novembre, terminerà l’8 marzo: due date simboliche entro le quali raccogliere 100 mila firme per palesare le politiche femminicide e genocide del presidente turco e condannarlo. Una intervista con Yildiz Filimci, attivista del TJK-E

«Erdoğan è un dittatore che ha una mentalità machista, fascista e razzista, che prende di mira le donne curde in modo consapevole, pianificato e specifico», si legge nel comunicato stampa del TJK-E, il movimento delle donne curde in Europa. Hanno deciso di lanciare la campagna “100 reasons to prosecute Erdoğan for his feminicidal policies!” per arrivare al riconoscimento del femminicidio come crimine contro l’umanità come forma di genocidio e per condannare così Erdoğan per i suoi crimini. I cento motivi? Hanno dei nomi e dei cognomi e sono quelli delle donne perseguitate e uccise durante il governo dell’AKP, tra cui le compagne del movimento delle donne curde Sakine Cansız, Fidan Doğan e Leyla Şaylemez, la rappresentante dell’autogoverno della Confederazione della Siria del Nord Est Hevrin Xelef, l’avvocata Ebru Timtik. Purtroppo sono solo alcune delle vittime di un regime che ha visto l’aumento della violenza contro le donne del 1400%. Ma non sono state dimenticate e dal 25 novembre scorso ogni giorno viene raccontata la storia di ognuna di loro, in un appello rivolto alle donne di tutto il mondo a unirsi contro i regimi che conducono politiche patriarcali e femminicide. Abbiamo parlato di questa campagna con Yildiz Filimci, attivista del TJK-E.

 

Quando è nato il TJK-E e perché avete deciso di iniziare ora questa campagna?

«Il TJK-E è stato fondato nel novembre 2014 ed è l’organizzazione che unisce i movimenti delle donne curde in Europa, prima di allora ci coordinavamo in modi diversi. La fondazione del TJK-E è stato un passo importante rendere più pratica la nostra riorganizzazione secondo il Nuovo Paradigma, che costruisce e organizza il potere a partire dalla base, dalle comunità, dai consigli e che in questo modo lo rafforza sempre di più.

Come movimento delle donne curde abbiamo condotto molte campagne per eliminare la violenza contro le donne. Molte di queste erano indirizzate alla società curda, come le campagne contro il delitto d’onore, le spose bambine, il pagamento del “prezzo della sposa” e la violenza familiare. Vogliamo cambiare la posizione delle donne, che sono la forza trainante di una società libera, ma sono state oppresse, schiavizzate e rimosse dalla loro capacità di agire per migliaia di anni.  Vogliamo mettere in luce i meccanismi di una società sessista che mantiene le donne nel ruolo di vittime. Nelle campagne che portiamo avanti, inoltre, è molto importante per noi sostenere il potere delle donne di auto-organizzarsi e sostenersi a vicenda.

Ci siamo rese conto che la nostra lotta per l’emancipazione non avrà mai davvero successo se non proteggiamo le donne dai governi che conducono politiche femminicide. Due anni fa, nella nostra campagna “La violenza contro le donne è politica!” avevamo già segnalato il fatto che la violenza contro le donne è sistemica ed è il fondamento del nostro sistema politico. L’anno scorso, la performance del collettivo Las Tesis che si è diffusa a macchia d’olio, è riuscita a rendere evidente questo tema che prima sembrava invisibile e migliaia di donne in tutto il mondo hanno puntato il dito contro lo stato e il suo apparato di sicurezza, indicandoli come assassini.

Le lotte di lunga durata del movimento Non Una Di Meno hanno portato alla stesura di un manifesto che prevede profondi cambiamenti nella politica che riguarda tutti gli ambiti della vita, indicandoli come pre-requisito fondamentale per frenare i femminicidi e la violenza contro le donne. Questi esempi mostrano che noi, come donne di tutto il mondo, abbiamo conquistato moltissima forza e auto-consapevolezza.  Con questa forza internazionale e grazie al potere che abbiamo costruito attraverso il nostro lavoro sociale, ora possiamo prendere una posizione organizzata contro coloro che sono i primi responsabili per le atrocità che vengono commesse contro di noi in quanto donne».

 

 

Come denuncia la vostra campagna, l’AKP sta perpetrando politiche femminicide e genocide, le cui vittime principali sono le donne curde. Cosa significa, per una donna curda, vivere in Turchia oggi?

«Vivere in Turchia da donna curda significa vivere in un costante pericolo. Al momento, l’odio verso i curdi e l’odio verso le donne sono combinati in una miscela molto pericolosa che fa ribollire la società. L’alleanza tra l’AKP e il MHP ha avuto come conseguenza il fatto che noi in quanto donne curde dobbiamo sempre essere preparate a subire attacchi dagli uomini, sia nelle strade sia nelle nostre case. Sotto il governo dell’AKP, la violenza contro le donne è aumentata del 1400%. L’esplosione di femminicidi e violenza contro le donne non è una coincidenza, né è disconnessa dalle politiche di stato. Nei territori sotto l’occupazione turca le donne sono sequestrate, stuprate, vendute e massacrate. È un serio attacco alla volontà e capacità delle donne di decidere delle loro vite. Le donne sono trattate come oggetti e forzate nei ruoli di genere tradizionali. Le donne sono costantemente nella morsa dello stato e della società patriarcale che esso riproduce, quindi organizzarsi contro queste circostanze è diventato quasi impossibile oggi.

La Turchia è il paese con il maggior numero di prigioniere politiche donne e gli arresti non si fermano: nell’ultimo mese più di 1000 attivistə legatə al HDP sono state arrestatə, la maggior parte di questə sono donne. L’ondata di repressione si è diretta principalmente contro il principio di conduzione condivisa delle funzioni pubbliche tra uomini e donne, un obiettivo per il quale le donne curde hanno duramente lottato anche all’interno della loro stessa società.

Molte donne hanno ricevuto sentenze di reclusione di molti anni per aver organizzato proteste l’8 Marzo e l’ultima organizzazione di donne curde che si batte per le donne vittime di violenza domestica è stata vietata nel maggio di quest’anno, le attiviste dell’organizzazione sono state arrestate.  Ma anche in queste circostanze, le nostre sorelle non si arrendono. È proprio per questo che vengono attaccate, Erdoğan sa fin troppo bene che il movimento delle donne è la chiave del successo della lotta per la liberazione. Sono proprio loro che resistono con una veemenza e una perseveranza inimmaginabili e giocano un ruolo estremamente importante nella costruzione di una società libera. Con la nostra campagna vogliamo supportare tutte le donne che stanno lottando contro le politiche femminicide di Erdoğan, e dare loro la possibilità di respirare di nuovo».

 

L’Unione Europea non ha mai condannato apertamente l’AKP per le sue politiche, soprattutto per via del ruolo che ricopre la Turchia nel contenimento dei flussi migratori. Qual è il vostro atteggiamento nei confronti dell’UE? Cosa dovremmo fare, noi che viviamo nell’Unione Europea, per ottenere una presa di posizione?

«Anche se l’UE si vanta continuamente del fatto che la situazione delle donne in Europa è decisamente migliore rispetto agli altri paesi, suggerendo così un intervento in Medio Oriente come se questo dovesse migliorare la situazione delle donne in quei territori, la politica estera patriarcale dell’Unione Europea promuove regimi patriarcali, conflitti armati, guerre di occupazione ed espulsioni.
Con la nostra campagna vogliamo anche sollecitare l’Unione Europea a mettere in discussione la sua politica estera, di cui chiediamo profonde modifiche. Sembra che il dibattito istituzionale nell’UE abbia una comprensione dell’emancipazione molto più limitata della nostra. Mentre noi lottiamo per un sistema che abbia il principio della co-presidenza e un aumento della quota di genere al 40% in tutte le aree della società, le questioni di genere nell’UE sono discusse principalmente in termini di famiglia e coppie di fatto. Questioni come la politica estera e interna, l’economia e la sicurezza sono ancora un dominio assolutamente maschile, e non vengono neanche toccate. Ma è esattamente questo il motivo per cui le donne hanno problemi così grandi in tutto il mondo e per cui è così facile, per regimi dittatoriali come quello di Erdoğan, mandare avanti le loro politiche femminicide. Con la nostra campagna vogliamo anche esprimere un richiamo verso le politiche europee e motivare le donne a mettersi in gioco nel plasmare la società e quindi mettere limiti più chiari alle politiche patriarcali. Perché sappiamo che i governi non agiscono negli interessi dell’intera società.
Sappiamo che molte persone sono deluse dalla decisione dell’Unione Europea di continuare a fornire armi ad autocrati e dittatori come Erdoğan: con la nostra campagna vogliamo fare appello alla società europea, e specialmente alle donne, a non permettere più che l’UE promuova le condizioni appena descritte attraverso la sua politica estera.
Probabilmente molte persone non sanno come esprimere le loro richieste per raggiungere i loro obiettivi: con questa campagna, possiamo tuttə unirci e lottare insieme per rendere evidenti le responsabilità di chi conduce politiche femminicide!»

 

L’obiettivo della campagna è di raggiungere 100 mila firme. Quali saranno i prossimi passi una volta raggiunto questo traguardo?

«Le firme sono importanti perché così possiamo proseguire insieme e ottenere dei risultati a livello istituzionale. Con 100 mila firme avremo una base molto forte per portare la causa della nostra campagna nelle istituzioni più importanti, come l’ONU. Presenteremo le nostre istanze richiedendo un intervento contro le politiche femminicide dell’AKP-MHP. Infine ci aspettiamo un’azione! Perché ogni giorno che passa senza un’azione decisiva è un altro giorno pieno di crudeltà.  Vogliamo che i crimini contro le donne finiscano e vogliamo che se ne conoscano i responsabili.

Con questa campagna, vogliamo incoraggiare le donne in tutto il mondo a non accettare più la guerra che viene condotta contro di loro, perché non è un destino inevitabile e si possono difendere. Un successo per questa campagna significherebbe mandare finalmente dei segnali contro i dittatori, i regimi patriarcali e la politica di guerra in tutto il mondo. Un successo per questa campagna significherebbe fare un grande passo verso un futuro comune di pace. Pertanto, speriamo che molte persone, in solidarietà, attireranno l’attenzione di chi lə circonda su questa campagna, accrescendo la consapevolezza comune sui femminicidi e la situazione delle guerre in tutto il mondo. Vorremmo che ci fossero tante campagne come questa, connesse alle necessità di ciascun territorio e speriamo in una rete internazionale delle donne che lottano!»

 

Immagine di copertina: Donne curde per l’8 marzo. Fonte Latfem