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Crimine e Covid in America Latina: tra diversificazione e governance

Una analisi della riorganizzazione della criminalità nella regione, tra diversificazione delle attività a fronte della chiusura dei confini e le funzioni di governo che i gruppi criminali e paramilitari si attribuiscono in un quadro di emergenza sanitaria.

Che l’America Latina sia un laboratorio lo abbiamo detto più volte: politico, si pensi ai primi populismi; economico, vedi i Chicago Boys neoliberali; sociale, con riferimento allo straordinario ciclo di lotte degli zapatisti, dei piqueteros, dei sem terra, dei cocaleros. Aspetto decisamente più trascurato, e che faremmo bene a non lasciare alle società di consulting o ai think tank di sicurezza internazionale, è quello relativo all’America Latina come laboratorio criminale.

La diffusione di Covid-19 su scala globale ha spinto i governi nazionali ad adottare una serie di misure di contenimento che, più o meno stringenti a seconda dell’andamento dei contagi, stanno comportando seri problemi di ordine economico-sociale minando la stabilità di una regione dagli equilibri politici in assestamento. Così come i governanti sono quindi impegnati nell’approvazione di bilanci di guerra o di manovre a sostegno delle economie, lo stesso impegno sembra essere dimostrato dalla governance criminale, a sua volta obbligata ad adattarsi alle condizioni contingenti, configurando dinamiche originali su cui vale la pena soffermarci.

Alla più classica di queste, che vede aumentare notevolmente le capacità di reclutamento di quelle organizzazioni criminali che fanno leva sulle difficoltà economiche delle classi subalterne, ce ne sono almeno altre due da tenere in considerazione.

 

Il primo e più intuitivo aspetto è quello legato alla diversificazione delle attività della criminalità organizzata che, al pari di quelle lecite, si trovano ora a dover fare i conti con la chiusura dei confini e l’interruzione delle attività non essenziali.

 

Le reazioni dei gruppi criminali sono direttamente legate alla dimensione degli stessi, nella misura in cui la capacità di adattamento dei gruppi più strutturati e organizzati è di gran lunga maggiore di quella delle pandillas callejeras. Queste ultime sono prevalentemente orientate verso il racket delle estorsioni e risultano pertanto penalizzate dalla chiusura delle attività commerciali. Private delle consuete entrate, le gang di strada hanno optato per attività alternative testimoniate, ad esempio, dal crescente numero di assalti ai camion merci compiuti dalle maras guatemalteche.

Discorso diverso vale invece per i gruppi criminali transnazionali, caratterizzati da una maggiore flessibilità economica che conferisce loro una migliore capacità di adattamento alla situazione emergenziale. Si pensi, in tal senso, al Cártel Jalisco Nueva Generación o al Cártel de Sinaloa in Messico, entrambi impegnati nella sperimentazione di nuovi prodotti chimici che possano sostituire quelli provenienti dalla Cina per la sintetizzazione del Fentanyl. In Brasile, similmente, il Primeiro Comando da Capital ha disegnato complessi circuiti di consegna illecita di generi alimentari nei territori che cadono sotto il proprio controllo.

 

Il secondo aspetto, quello che qui più interessa, è quello relazionato alla sovranità che la criminalità organizzata sembra volersi arrogare nel contesto dello stato di eccezione. O, fuori di metafora, alle funzioni di governo che i gruppi criminali si attribuiscono in un quadro di emergenza sanitaria.

 

In questa direzione vanno, ad esempio, gli ordini restrittivi che varie cellule paramilitari hanno attuato in Colombia, dove sono attualmente impegnate in azioni di controllo e pattugliamento al fine di scoraggiare la popolazione a trasgredire la quarantena domiciliare che Duque ha disposto a livello nazionale. Nel dipartimento del Cauca, infelicemente noto per le decine di uccisioni che ogni mese vengono perpetrate nei confronti dei leader sociali indigeni, i checkpoint illegali installati lungo le strade principali configurano una situazione in cui il contrasto della diffusione del virus è di fatto strutturato su due piani, quello governativo e quello criminale.

Le minacce di ritorsione che la Mara Salvatrucha rivolge ai cittadini di San Salvador al fine di disincentivarli a trasgredire le restrizioni governative sono un’ulteriore conferma del ruolo di garanzia che la criminalità organizzata latina ha assunto rispetto all’implementazione delle misure restrittive da parte della popolazione. A Rio de Janeiro tale ruolo è stato ricoperto dal Comando Vermelho che, oltre ad assicurare il rispetto del coprifuoco da parte degli abitanti delle favelas, distribuisce prodotti igienici e disinfettanti nelle aree svantaggiate e minaccia ritorsioni contro i commercianti che tentano di trarre vantaggio dal rialzo dei prezzi dei generi alimentari.

In Messico il Cártel Jalisco Nueva Generación è impegnato da settimane nella distribuzione di viveri nell’area di San Luis Potosí. Allo stesso modo, i Los Zetas prestano simili servizi a Coatzacoalcos, nello Stato di Veracruz, così come a Guadalajara, roccaforte del Cártel de Sinaloa, il gruppo criminale garantisce agli abitanti cassette di generi alimentari con tanto di serigrafia con il volto di “El Chapo”.

 

Nello svolgere queste funzioni i gruppi criminali puntano di certo a garantire l’effettivo rispetto delle misure governative, in modo da favorire quanto prima la ripresa delle consuete attività criminali.

 

Ciò che però queste dinamiche tendono a rendere ancora più evidente è il tentativo per opera del crimine organizzato di sovrapporsi alle strutture dello Stato laddove questo non riesce a esercitare la propria autorità, vuoi per incompetenza, per sfiducia della popolazione nei confronti delle istituzioni o per un più ragionevole insieme delle due cose.

Intendiamoci, la più o meno diretta complicità tra Stato e gruppi criminali è cosa nota e di cui abbiamo più volte scritto in passato; quello che preme evidenziare qui è piuttosto il tentativo dei secondi di riequilibrare, a proprio favore, i rapporti di forza in questo specifico momento storico.

 

Nell’erogare sicurezza sociale, i gruppi criminali operano una sostituzione di fatto del potere legittimo, in una logica non troppo diversa da quella seguita nelle nostre periferie e che vede un ampio consenso dei cittadini esclusi dal welfare istituzionale.

 

Tra le piaghe del consenso criminale c’è un disperato bisogno di compensare la povertà che le misure di contenimento della pandemia hanno esasperato in una regione retta dal lavoro informale.

Ma gli aiuti che ne derivano non sono quasi mai disinteressati e si legano a filo doppio a un controllo violento del territorio che poco ha a che fare con una situazione di benessere. C’è chi l’ha capito e preferisce affidarsi a una gestione comunitaria dell’emergenza sanitaria fatta di mutualismo e solidarietà dal basso. L’autorganizzazione dei quartieri popolari cileni, le carovane solidarie colombiane, il cooperativismo delle periferie di Buenos Aires sono ottimi esempi in questo senso.

Paradossalmente entrambe le soluzioni prendono atto di una situazione concreta su cui la governance neoliberale ha fallito, ma si muovono in due direzioni opposte, per la conservazione o la rottura di quel sistema, per un ricambio degli sfruttatori o la fine dello sfruttamento.

 

Immagine di copertina di Marcha Patriótica. Fonte Kaos en la red