ITALIA

Storie trans. Tra diritto e libertà

Oggi, 31 marzo, è la Giornata internazionale della visibilità transgender. Le principali difficoltà e le più importanti battaglie nelle voci di protagonisti e protagoniste. «Perché la T di Lgbtqia+ racchiude tutto al suo interno», dice l’assessora Cristina Leo

«Io l’ho sempre saputo: intorno ai tre anni, che è quando il bambino prende coscienza della propria identità di genere, l’ho capito chiaramente e quando ero alle elementari ho iniziato a dirlo a mia madre». Inizia così il racconto di Richard Bourelly, classe 1996, studente di sociologia, attivista trans e influencer con lo pseudonimo Richard Thunder. «Ho fatto coming-out con una presentazione in power-point durante l’ora di religione, in seconda liceo davanti a tutti i compagni. Poi in quarta ho iniziato ad andare al Saifip qui a Roma e due mesi prima della maturità ho iniziato la terapia ormonale».

Il Saifip è il Servizio di adeguamento tra identità fisica e identità psichica dell’ospedale San Camillo-Forlanini. Istituito nel 1990 da una legge della Regione Lazio, è nato soltanto due anni dopo. Il suo ruolo ce lo illustra il dottor Luca Chianura, psicologo e psicoterapeuta, che ne è direttore dal 1998: «Il Saifip fornisce consulenza e sostegno al percorso di adeguamento per le persone che intendono chiedere quella che la legge 164 del 1982 definisce, con una fredda formula burocratica, «rettificazione di attribuzione di sesso». Una tappa obbligatoria nel percorso di transizione, ci spiega ancora Richard: «Cambiare i documenti è l’ultima cosa. Prima bisogna operarsi ed è illegale senza l’approvazione di un giudice. Per farne richiesta serve una relazione psicologica e/o psichiatrica rilasciata possibilmente da un centro pubblico, altrimenti esiste ancora il rischio che venga nominato un Consulente tecnico d’ufficio (Ctu)».

Quella contro il Ctu è la prima di tante battaglie dell’avvocato Giovanni Guercio, un veterano delle cause per i diritti Lgbtqia+, l’acronimo che indica le identità di genere e gli orientamenti sessuali non eterosessuali e non binari. Il Consulente tecnico è previsto dalla legge 164, che però lascia qualche spazio all’interpretazione: «Nel ’96, quando iniziai a occuparmi di questi casi, la legge parlava della nomina di un consulente tecnico d’ufficio che acclari la condizione del soggetto, uno stato di transessualità evidente. Però la legge recita: “Ove lo ritiene necessario il giudice”. La mia prima battaglia fu quella. Perché si deve nominare questo Ctu per forza?». Per l’avvocato Guercio era un costo inutile, che allunga i tempi e mortifica chi deve raccontare la propria vita all’ennesimo sconosciuto.

La storia di Gioele, uomo trans, nato nel 1970 a Roma, è simile a quella di Richard solo per l’inizio: «Per me è sempre stato così. Il mio genere è sempre stato maschile. E se le persone mi dicevano che io non avevo il cosino, ma la cosina, io gli rispondevo che mi sarebbe cresciuto. Era un’ingenuità, ma per me era così, era normale che andasse così». Le similitudini nei percorsi personali di Gioele e Richard finiscono qui. Quando Gioele era adolescente, il Saifip ancora non esisteva: è nato solo due anni dopo. C’era meno informazione, all’epoca. Ma le storie delle persone trans cominciavano ad arrivare in tv. «La prima volta che ho saputo che c’erano persone che cambiavano genere è stato un caso, c’era questa trasmissione della Carrà, all’ora di pranzo, quindi neanche in fascia protetta, dove c’era quest’uomo di spalle che raccontava la sua esperienza. A me in quel momento si è aperto un mondo», racconta Gioele. Che soltanto nel 1995 ha l’occasione di incontrare qualcuno che aveva già affrontato il percorso di transizione: «Col fatto che l’uomo che avevo visto in televisione era di spalle, sapevo sì della possibilità del percorso, ma avevo paura che le persone diventassero dei mostri. Ma poi ho incontrato questo ragazzo al Circolo Mieli e mi sembrava il più bello del mondo. È cambiato tutto per me. Finalmente non mi sentivo più solo al mondo, c’era almeno un’altra persona che era come me».

Gioele prosegue, spiegando uno degli aspetti più spinosi del percorso di transizione: «Nel ’97 ho fatto il primo intervento, la mastectomia. Poi ho fatto anche l’intervento di rimozione, ma non la ricostruzione». Supponendo che un individuo transgender desiderasse un corpo il più possibile conforme al genere di elezione, la legge 164 obbligava alla sterilizzazione chi chiedeva la rettifica anagrafica. Un’imposizione figlia del momento storico in cui la legge è stata approvata.

Marcia per la libertà delle persone trans, Roma 23/11/2019 (foto di Ilaria Turini)

Quella della legge 164 è una storia lunga e importante. È stata approvata nel 1982 grazie all’interessamento in sede istituzionale del Partito radicale e del Partito comunista, sulla spinta di movimenti e associazioni. Spiega Cristina Leo, psicoterapeuta, assessora alle Politiche sociali e abitative e alle Pari opportunità nel VII municipio di Roma e prima amministratrice transgender della capitale: «La 164 del 1982 nasce anche per un’esigenza molto pratica: c’erano queste donne trans che intraprendevano il percorso di transizione che si completava con un intervento di riattribuzione chirurgica del sesso, che avveniva all’estero, la famosa Casablanca. Poi, tornate in Italia, erano donne a tutti gli effetti, ma si ritrovavano ad avere ancora i documenti con il genere maschile».

Gli interventi chirurgici di modificazione dei caratteri genitali erano dunque considerati inevitabili dalla legge, ma col passare degli anni ciò si è rivelato una costrizione. Conferma infatti Gioele: «Quando mi sono operato io, nel ’97, c’era ancora l’obbligo della castrazione e per me è stata una cosa violentissima. E addirittura prima di me c’erano dei ragazzi che non potevano fare il cambio del nome perché non avevano fatto la falloplastica e non volevano farla. Se io avessi avuto l’obbligo di fare la falloplastica, forse avrei rinunciato a cambiare il nome, forse sarei rimasto in una situazione di limbo».

L’avvocato Guercio, che di Gioele è stato prima legale e poi compagno di vita, ha condotto nei tribunali di Roma anche questa battaglia: «Io ci provo da sempre a far concedere la rettifica anagrafica senza intervento chirurgico». L’obbligo alla demolizione dell’apparato genitale biologico è stato un unicum italiano abolito soltanto nel 2015. La Corte di Cassazione ha stabilito che la castrazione forzata non può costituire una tappa obbligatoria dell’iter di transizione. Fa giustamente notare l’assessora Leo: «A un certo punto sia la Corte di Cassazione sia quella Costituzionale sono state tirate in ballo e si sono espresse, ma questo accade perché il parlamento non legifera». Ciò non è passato inosservato alle istituzioni europee. «Nel 2018 ho portato a Strasburgo il caso di una mia cliente che era stata costretta a operarsi quando ancora non era possibile fare la rettifica anagrafica senza intervento, abbiamo vinto e l’Italia è stata condannata», racconta ancora l’avvocato Guercio.

Marcia Leite, attivista di Libellula, una storica associazione trans romana, individua nella logica binaria dei sessi la fonte dei problemi della 164: «La legge 164 del 1982, approvata dopo la mobilitazione organizzata dall’allora Movimento italiano trans (Mit), era più che altro una sanatoria indirizzata a regolamentare tutti coloro che già avevano intrapreso il percorso di transizione, magari all’estero, e si trovavano esclusi da una società incapace di uscire dalla logica binaria. La legge ricerca per questo motivo una corrispondenza forzata tra apparato riproduttivo e genere. Quindi è tutto in mano a psicologi, chirurghi e giudici, in un meccanismo che nega qualsiasi autodeterminazione, ma quasi legittima una trans-fobia di Stato».

Lo riconosce anche Gioele: «Inizialmente per le persone trans c’era un binarismo molto marcato. Dovevi dimostrare di essere un macho per potere accedere al via libera. Completato il percorso, ci mettevi una pietra sopra. Prima transizione e orientamento sessuale venivano posti in stretta correlazione. Adesso sono di più le persone trans che esprimono con naturalezza la propria identità di genere e l’orientamento sessuale». Questa naturalezza riguarda soprattutto i giovani. Ce ne dà conferma il dottor Luca Chianura: «Tra il 2014 e il 2019 il numero di adolescenti che si avvale dei nostri servizi è cresciuto esponenzialmente: c’è nei giovani una maggior necessità di superare le fissità di genere». Eppure la legge non ha ancora recepito questi cambiamenti, denuncia Richard: «È sempre utile dare al giudice un certificato dell’endocrinologo che conferma, per esempio nel mio caso, l’aspetto maschile con la barba, i capelli corti, robe così».

«La legge parla continuamente di apparato di genere, mai di identità di genere», lamenta Marcia Leite. «Altri Stati – continua – sono senza dubbio più avanzati rispetto all’Italia: nei Paesi anglosassoni il cambio anagrafico è ormai una mera formalità per cui non c’è bisogno di tante valutazioni o perizie, lo stesso in molti Paesi sud-americani». Per questo, la storica associazione bolognese Mit ha lanciato, agli inizi di febbraio, una piattaforma per una proposta di riforma, a cui ha aderito anche l’assessora Cristina Leo: «Tutte e tutti coloro che aderiscono all’iniziativa vogliono un’apertura giuridica verso tutte le identità. La piattaforma raccoglie idee sull’aspetto giuridico, sanitario e psicologico. Considerato anche che nel 2021 verrà pubblicata l’undicesima Classificazione delle malattie, già approvata. Quel documento stabilisce la totale de-patologizzazione della disforia di genere, che si chiamerà incongruenza di genere. Dunque si vuole chiedere la possibilità di rettificare i dati anagrafici, di essere se stessi senza tutti questi ostacoli e soprattutto senza essere continuamente giudicati da terzi». E conclude: «Perché è la T di Lgbtqia+ racchiude tutto al suo interno: tra le persone trans c’è sia varianza sul genere, donne trans, uomini trans, donne gender-fluid, uomini gender-fluid, persone non binarie, sia tutta la gamma degli orientamenti sessuali, etero, omosessuali, bisessuali, pansessuali, eccetera… Quindi la T, che è sempre messa lì piccola in disparte, in realtà racchiude tutto».

Foto di copertina di Ilaria Turini, scattata durante la Marcia per la libertà delle persone trans, Roma 23/11/2019

Il reportage nasce all’interno della Scuola di Giornalismo della Fondazione Basso