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Tunisia: una Costituzione senza processo costituente?

A 3 anni dalle Primavere Arabe la Tunisia ha votato la sua nuova Costituzione. Salutata da tutti i media occidentali con grande apprezzamento, è stata riconosciuta come una delle Carte più avanzate del mondo arabo per ciò che riguarda il riconoscimento dei diritti umani.

In effetti la Costituzione tunisina riconosce: la piena parità tra uomo e donna, la libertà di espressione e informazione, la completa separazione dei poteri, l’indipendenza della giustizia… insomma vengono accolti appieno tutti i principi della democrazia liberale, tradizionalmente intesa.

Ci sono, certo, dei dubbi e delle ambiguità, come l’art. 6 contestato da molte Ong internazionali, che riconosce, insieme alla libertà di coscienza, di credo e di culto, un ruolo centrale allo Stato nella difesa del “sacro”.

Alcuni analisti hanno riconosciuto nella nuova Costituzione una piena vittoria della Tunisia progressista, salutando la nuova Carta come una sconfitta quasi totale dell’Islam politico, ma la realtà ci sembra molto più complessa per leggerla solo attraverso la semplice dicotomia laici – religiosi.

L’assemblea costituente è stata votata nell’ottobre del 2011 e ha visto la maggioranza dei seggi assegnati al partito islamico Ennahadha. Il suo compito principale era redigere la nuova carta costituzionale entro un anno dalle elezioni, nel frattempo avrebbe svolto il ruolo di parlamento eleggendo il governo, ma il tutto in via transitoria in vista delle nuove elezioni da svolgersi sulla base delle nuove regole. Di governi nel frattempo se ne sono susseguiti quattro e le maggiori riforme ¬– tra cui quelle dell’informazione e della regolamentazione dei media – sono state messe in stand-by per un lungo periodo. In estate, dopo due omicidi politici – di Chockri Belaid a febbraio 2013 e di Mohamed Brahmi nel luglio 2013 – di cui ancora oggi non si conoscono i reali mandanti, l’economia in stagnazione e i lavori della carta costituzionale completamente bloccati, la Tunisia si trovava a un bivio, mentre in Egitto si andava verso il colpo di stato dei militari.

Dopo l’omicidio di Brahmi si è convocato un sit-in sotto la sede dell’Assemblea Costituente, il Bardo, che ne chiedeva lo scioglimento. In un primo momento il sit-in del Bardo è stato partecipato da tanti giovani, attivisti, disoccupati, animato dagli artisti che nei mesi precedenti erano stati imprigionati o denunciati, come Weld El 15, ritornando a essere uno spazio pubblico di azione politica, alludendo ai grandi sit-in della Kasbah 1 e 2. In un secondo momento è stato completamente riassorbito e svuotato di senso dalla forte presenza dei partiti politici, tra cui Ninda Tunes, partito di stampo bourghibista e con figure legate al vecchio regime. Inoltre molte sono state le critiche sul senso di chiedere lo scioglimento dell’unica istituzione democraticamente eletta.

Ma, mentre anche alcune parti della sinistra speravano in un colpo di stato in stile egiziano per eliminare con la via più semplice “la cattiva scelta” fatta dal popolo tunisino tramite le elezioni, è stato il Dialogo Nazionale promosso dal sindacato UGTT, dal sindacato patronale UTICA e da due organizzazioni della società civile organizzata (l’Ordine degli Avvocati e la Lega Tunisina per i Diritti Umani), a cui hanno partecipato partiti di maggioranza e minoranza, a lavorare per una politica di compromesso e conciliazione tra le parti, per arrivare alla conclusione del progetto di Costituzione e alla formazione di un nuovo governo tecnico, esautorando di fatto la stessa Assemblea Costituente.

Così il 24 gennaio 2014, in meno di un mese dalla redazione dell’ultima bozza, è stata approvata la nuova Costituzione tunisina, con un voto serrato articolo dopo articolo, sotto stretto controllo internazionale. Contemporaneamente è stato nominato il nuovo governo con a capo Mehdi Jomaa, ex ministro dell’industria, uomo non di Ennahadha, ma un “tecnico” che dovrebbe traghettare il paese fino alle nuove elezioni, che si dovrebbero tenere in ottobre.

In questo modo Ennahadha si è fatto da parte al momento giusto, designandosi come partito autorevole e capace di fare un passo indietro per il bene del paese, principale fautore, nonostante tutto, di una delle costituzioni più avanzate del mondo arabo.

A tre anni dalla rivoluzione il sistema giudiziario non è cambiato, così come l’apparato poliziesco e l’unica vera istituzione intoccabile rimane come sempre il Ministero degli Interni, che, con la paura del terrorismo islamico, impone la questione securitaria come unica urgenza del paese.

Ma l’approvazione della Costituzione non sembra aprire nuovi campi di battaglia, anzi al contrario sembra chiudere gli spazi politici. Le profonde istanze di democratizzazione della società nate con la rivoluzione, che legavano la questione economica e sociale alla nascita di nuove istituzioni democratiche, sembrano essere state completamente cancellate dal dibattito costituzionale. Questo dibattito ha escluso completamente le zone dell’interno della Tunisia e intere fasce sociali. La mancanza di una discussione sui diritti sociali ed economici e di un lavoro per l’ampliamento e l’approfondimento della partecipazione politica ci sembra il vero assente di questo dibattito costituente.

La battaglia per l’applicazione di questa Costituzione, assolutamente non scontata, potrà portare alla riapertura di spazi politici e di conflitto per la costruzione di reali istituzioni democratiche?

I giovani, i disoccupati, le donne riusciranno a trovare nuova voce potendo utilizzare questa griglia costituzionale come nuovo campo di battaglia? Altrimenti questa Carta rimarrà l’ennesima enunciazione di un organizzazione statuale senza alcun reale processo costituente che l’abbia costruita e dato vigore.