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ITALIA

La riforma della giustizia: un attacco alla democrazia e alla separazione dei saperi

Alla vigilia di un referendum senza quorum che rischia di passare nell’indifferenza dell’opposizione e dell’elettorato, dovremmo comprendere che la crisi della democrazia e dei valori su cui essa è fondata, così come la crisi della giustizia e delle istituzioni di garanzia in generale, non sono meri problemi tecnici, ma culturali

Disabituatə a capire cosa sia la politica, rimaniamo disorientatə di fronte alle scelte che dall’alto irrompono sulla nostra realtà sociale. Il coinvolgimento della cittadinanza è minimo e la politica appare distante, come se le decisioni restassero chiuse nei palazzi istituzionali. Tuttavia le cittadine e i cittadini sono portatori di diritti e di interessi legittimi e comprendere che la realtà è eminentemente politica significa riconoscere i rischi e i pericoli legati a determinate riforme, leggi o scelte politiche.

Per esercitare davvero questo ruolo serve un’educazione politica di base, radicata nei luoghi della formazione, per evitare che la politica diventi un surrogato burocratico. Infatti una politica ridotta a mera amministrazione genera apatia e distanza. Mentre fare politica significa occuparsi dei bisogni delle persone e assumersi la responsabilità etica di decisioni orientate al bene comune.

Possiamo affermare ciò per chi ha promosso la riforma della giustizia? Il disegno di legge di revisione costituzionale di iniziativa governativa, intitolato “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”, rispecchia ciò che può essere definito agire in nome della responsabilità pubblica? La legge è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale, il 30 ottobre scorso, e la Corte di Cassazione ha accolto le quattro richieste di referendum sulla riforma costituzionale della giustizia.

Da cittadine e cittadini è importante comprendere cosa si andrà a votare e le conseguenze di questa riforma sulla tenuta democratica dello Stato, sulla Magistratura e più in generale sulla Costituzione. I rischi e le minacce che oggi gravano sulla nostra forma di governo ci chiamano ad assumerci la responsabilità di difendere e preservare l’impianto costituzionale.

Il disegno di legge per la riforma della giustizia

Il fascismo, proseguendo la tradizione dello Stato monarchico aveva concepito la Magistratura come un organo controllato dal potere politico, prevedendo che il Pubblico ministero dipendesse dal Governo. Oggi l’obiettivo è devitalizzare la Costituzione e attribuire alle maggioranze politiche il potere di indicare discrezionalmente alle procure quali procedimenti trattare e quali accantonare per farli cadere in prescrizione.

Il disegno di legge Nordio vorrebbe modificare la Costituzione nella parte dedicata alla Magistratura intaccando alcuni principi cardini che l’Assemblea Costituente pose come inderogabili. Tuttavia uno degli obiettivi dichiarati dalla destra, dai governi Berlusconi fino a oggi, è stato quello di riportare il potere giudiziario sotto il controllo governativo. La caccia alle toghe “rosse” è sempre stato un obiettivo di queste forze reazionarie che non hanno mai accettato la Costituzione.

Il disegno di legge vuole impedire alla Magistratura di intromettersi nelle questioni del potere e suggerirle quali reati perseguire e quali no.

La riforma è l’ultimo tassello di una serie di interventi volti a porre sotto controllo il potere giudiziario: dal decreto sicurezza che introduce 19 nuovi reati, orientati contro specifiche categorie, all’eliminazione del reato di abuso d’ufficio, ai limiti alle intercettazioni preventive che rende più difficile perseguire reati gravissimi o attivare nuovi percorsi d’indagine, come ad esempio quelli inerenti le stragi avvenute in Italia, comprese quelle del 1992-1993 su cui nuovi filoni d’inchiesta sono in atto.

I temi su cui ruota la proposta sono: la separazione delle carriere tra magistrati requirenti e giudicanti, lo sdoppiamento del Consiglio Superiore della Magistratura e l’istituzione di una nuova Corte disciplinare che assumerà gran parte delle competenze del Consiglio Superiore della Magistratura attuale. La Costituzione ne uscirebbe pesantemente rimodulata per quanto riguarda l’indipendenza e l’autonomia del potere giudiziario con la conseguenza di mettere in serio pericolo lo Stato di diritto, la separazione e l’equilibrio tra i poteri dello Stato.

Piani di Rinascita Democratica

«Il punto fondamentale è il controllo del potere esecutivo sulla magistratura, da raggiungere con la separazione delle carriere». Così si leggeva nel Piano di Rinascita Democratica della loggia massonica P2. Il fine era spezzare l’indipendenza della magistratura e trasformare i Pubblici ministeri in strumenti del potere politico. Oggi, a più di 40 anni di distanza, quello stesso disegno ritorna ripulito, ma uguale nella sostanza. Il sogno di Gelli e Berlusconi sembra avverarsi. Infatti il ministro degli esteri Antonio Tajani ha affermato che: «con la riforma della giustizia si compie un grande sogno perseguito con tenacia dal Presidente Berlusconi e da Forza Italia. Un sogno di libertà e di garanzie per i cittadini». Su questo versante è nota la battaglia di Berlusconi, tessera numero 1816 della Loggia massonica P2, che screditò a più riprese l’operato della Magistratura, facendo della legge uno strumento di difesa privata.

Secondo il governo un Pubblico ministero, come magistrato indipendente sottoposto solo alla legge per principio costituzionale, è pericoloso, perché ha la stessa cultura giuridica dei magistrati giudicanti. L’insofferenza nei confronti della Magistratura risponde a una necessità politica: ridurre l’autonomia dell’azione penale e avvicinare la magistratura requirente al potere politico. Che la riforma della Magistratura sia un tema caro alla destra è risaputo; che il potere esecutivo vuole essere libero di operare senza limiti è invece alquanto pericoloso per la tenuta democratica dello Stato e per l’impianto costituzionale. L’impianto normativo delineato rappresenta l’ennesimo esempio di come il governo Meloni voglia tagliare i fili con l’antifascismo, la Resistenza, la Costituzione e la cultura democratica; elementi imprescindibili a cui ancorarsi di fronte a una deriva autoritaria che si sta diffondendo nel Paese.

La separazione delle carriere, l’indipendenza della Magistratura e il CSM

Punto fondamentale della riforma è la separazione delle carriere tra organi giudicanti (giudici che emettono sentenza) e organi requirenti (Pubblici ministeri e i procuratori che coordinano le indagini e rappresentano l’accusa).

I promotori affermano che la riforma garantirebbe maggiore imparzialità, perché verrebbe meno la vicinanza di categoria che influenza le decisioni dei magistrati giudicanti. Chi si oppone, denuncia un tentativo di limitare l’autonomia dei magistrati rispetto al potere politico. In verità le carriere di Pm e giudice sono già separate: la riforma Cartabia del 2022 ha imposto che il passaggio da una funzione all’altra possa accadere soltanto una volta entro nove anni dalla prima assegnazione; a oggi i magistrati che hanno scelto di farlo sono meno dell’1%. La separazione delle carriere è uno specchietto per le allodole utile a concretizzare lo smembramento dell’organo giudiziario.

Il dato rilevante è che nei Paesi dove le carriere sono separate, i Pm sono quasi sempre sottoposti al controllo politico e di conseguenza viene meno l’obbligatorietà dell’azione penale.

La separazione delle carriere come prevista dalla riforma sarà funzionale a sdoppiare l’organo di autogoverno della Magistratura: il Consiglio Superiore della Magistratura. Dato che verrebbero a crearsi due carriere separate, esse finirebbero per dipendere da organi direttivi differenti, con il risultato di minare l’indipendenza e l’autonomia, oltre a generare due percorsi opposti e potenzialmente conflittuali all’interno dell’amministrazione della giustizia. Così facendo controllare l’azione dei Pm e dei giudici sarà più semplice e di conseguenza gli organi requirenti potranno essere sottoposti più facilmente a una pressione esterna.

Inoltre per gli organi requirenti e giudicanti si prevede l’abrogazione del sistema elettivo e la sua sostituzione con un sistema di estrazione a sorte. Questo metodo potrebbe condurre al sorteggio di tutti o quasi tutti giudici e PM vicini o iscritti a una singola corrente oppure quasi tutti giudici e PM provenienti dallo stesso territorio o da uno stesso ufficio. Infine l’aumento dei componenti laici (eletti dal Parlamento), da un terzo fino al 50%, all’interno degli organi divisi per funzioni condurrebbe a un preoccupante sconfinamento del potere politico sulla Magistratura.

L’ultimo punto controverso della riforma è l’istituzione di un organo disciplinare: l’Alta Corte. Questa andrà a sottrarre la funzione disciplinare al CSM. I rischi riguardano anche la sua composizione interna poiché potrebbe riservare posti esclusivamente a magistrati di legittimità (come i componenti della Corte Suprema di Cassazione), rischiando di minare il principio di autonomia della magistratura.

La storia ci insegna a dubitare del potere

La riforma sulla separazione delle carriere odierna riprende uno dei punti centrali del Piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli. Questa analogia non può essere derubricata come dettaglio tecnico poiché la riforma appare una prosecuzione di quella visione di rinascita che la P2 voleva imporre per rovesciare lo Stato. Nordio stesso ha dichiarato che: «l’opinione di Gelli era giusta». Detto ciò, vale la pena ricordare che Licio Gelli e la Loggia Massonica P2 sono stati riconosciuti dalle ricostruzioni storiche e dalle indagini giudiziarie come i finanziatori e i soggetti responsabili dei piani eversivi e delle stragi che hanno caratterizzato l’Italia nel dopoguerra, almeno fino a quella della strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Dire che la riforma non è un problema significa ignorare da dove arrivano certe idee e cosa volevano davvero produrre. Vuol dire trattare come neutrale ciò che neutrale non è mai stato, perché influenzato da una visione antidemocratica.

Sottovalutare questi segnali significa non conoscere la storia del Paese. Disegni come questi somigliano troppo a quelli di chi voleva un Paese più controllato e meno libero. È in atto un colpo di mano spacciato per riforma tecnica, che tende a riscrivere i rapporti tra la magistratura e il potere che essa esercita e gli altri poteri dello Stato. Il serio rischio di compromettere l’autonomia e l’indipendenza dell’organo giudiziario e l’equilibrio dei poteri, secolare principio della nostra democrazia, è più che una realtà.

Come la storia ci insegna, l’opera di degenerazione della democrazia è un processo che fa apparire come legittima la progressiva erosione dello Stato di diritto e l’equilibrio dei poteri. L’elemento preoccupante è che in primavera si voterà su una questione tanto delicata, ma di cui le forze politiche, che dovrebbero difendere la Costituzione, non si stanno occupando.

Questo Paese ha un grave problema con la memoria. E senza memoria, non c’è democrazia. Non c’è giustizia. Non c’è futuro.

La copertina è di Massimiliano Calamelli (Flickr)

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