ITALIA

Legge di Bilancio 2026: austerità per i diritti, festa per i mercanti di armi

La Legge finanziaria che sta per essere approvata ha l’obiettivo di rientrare dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo. Sono previsti tagli a investimenti pubblici, infrastrutture, trasporti, rete digitale, edilizia scolastica e messa in sicurezza del territorio. Prevede al contrario l’investimento di 12 miliardi per la spesa militare

Viviamo in un Paese dove la disuguaglianza sociale non è mai stata così ampia, con il 5% dei ricchi che detiene il 47,7% della ricchezza nazionale, mentre il 50% più povero si deve accontentare di un misero 7,4%; un Paese dove sono 5,7 milioni le persone che vivono in povertà assoluta, e fra loro si contano ben 1,3 milioni di minori.

Siamo inoltre il Paese nel quale i salari da lavoro sono i più bassi d’Europa, con un potere d’acquisto reale inferiore a quello del 1990, e le spese destinate alla scuola e alla formazione (4% del Pil) sono molto inferiori alla media europea, così come quelle destinate al servizio sanitario (6,3% del Pil).

Il nostro è anche un Paese da sempre sottoposto a enormi rischi ecologici: oltre a essere una delle aree fra le più colpite dalle ondate di calore prodotte dai cambiamenti climatici, il 23% del nostro territorio è a rischio di dissesto idrogeologico, mentre il 94,5% dei Comuni è a rischio frana, alluvione, erosione costiera o valanghe.

Un quadro socio-ecologico drammatico, dovuto in gran parte a decenni di politiche liberiste che, nel nome dell’austerità e dei vincoli finanziari di Maastricht, hanno consegnato diritti, beni comuni, servizi pubblici e democrazia ai grandi interessi finanziari.

Se questo è il quadro, un governo minimamente responsabile dovrebbe sapere quali siano la priorità d’intervento. A maggior ragione se questo governo è in mano a Giorgia Meloni  che così tuonava nel 2019 dai banchi dell’opposizione: «Basta austerità! Le politiche imposte dall’UE sono state un fallimento in Italia e in Europa. Ci vuole subito un imponente piano nazionale ed europeo di investimenti pubblici in infrastrutture, trasporti, rete digitale, edilizia scolastica e messa in sicurezza del territorio. Facciamo ripartire la nostra Nazione, soprattutto il Sud Italia, e contestualmente la nostra economia».

La stessa Giorgia Meloni che non perdeva occasione per denigrare i governi in carica definendoli «appendice delle agenzie di rating». Esternazioni e definizioni sul cui merito non vi è nulla da eccepire, ma anche per Giorgia Meloni è giunto il momento di spiegare, adesso che il governo è nelle sue mani, come mai le medesime agenzie di rating si spellino le mani negli applausi e riceva il sentito apprezzamento di Mario Monti, l’emblema dell’austerità di governo.

E invece Giorgia Meloni, non solo non spiega, ma addirittura si vanta, dichiarando che «la promozione in serie A da parte delle agenzie di rating dimostra la giustezza della nostra strategia di governo» e predisponendo una Legge di Bilancio «realistica e responsabile».

Parliamo di una manovra, presentata in Senato il 22 ottobre scorso, complessivamente modesta –18 miliardi – ma le cui coordinate sono ben definite: l’obiettivo, in perfetto ossequio ai dettami di Bruxelles, è il rientro dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo e, per farlo, ben 10 dei 18 miliardi deriveranno dai tagli ai Ministeri e agli Enti Locali, con conseguente ulteriore sacrificio di welfare e di investimenti sociali ed ecologici.

Fra le misure previste, non vi è alcun piano contro la precarietà, mentre Il taglio del cuneo fiscale viene prorogato, ma i benefici per i redditi da lavoro saranno irrisori e già abbondantemente assorbiti dall’inflazione; la sanità viene rifinanziata, ma in misura drammaticamente insufficiente a riportare la spesa sanitaria a un decente rapporto rispetto al Pil, mentre le misure contro la povertà, già falcidiate con l’abbandono del reddito di cittadinanza e la sua sostituzione con l’assegno di inclusione, vedranno un ulteriore drastico taglio con la riduzione delle risorse del Fondo Povertà. Non pervenuta alcuna misura di contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici e alla messa in sicurezza del territorio.

Una finanziaria lacrime e sangue e questa volta anche in senso letterale. Perché la vera cifra di tutta la manovra è liberare risorse per il riarmo, per la Difesa, per la produzione degli armamenti.

La Legge di bilancio prevede infatti un aumento della spesa militare per il triennio 2026-2028 di 12 miliardi. Ma, poiché le spese militari non si evincono solo da quanto scritto nella legge di bilancio, in quanto vanno ulteriormente considerati sia il bilancio proprio del Ministero della Difesa, sia il bilancio integrato in sede Nato (che contempla le risorse fornite dal Mimit – Ministero delle imprese e del made in italy – finalizzate agli investimenti militari), il totale delle spese militari nel 2026 raggiungerà la cifra record di 35 miliardi (+45% nell’ultimo decennio), con una spesa per programmi di armamento che supererà i 13 miliardi (+60% nell’ultimo quinquennio).

Se questo è lo scenario che si sta preparando, occorre che lo straordinario movimento di massa che si è espresso in questi ultimi due mesi contro il genocidio a Gaza sappia riconoscere la dimensione della guerra anche quando non si presenta direttamente con le divise militari.

A partire dai sindacati, ai quali non va concesso un arretramento rispetto alla straordinaria convocazione comune dello sciopero generale del 3 ottobre scorso, per arrivare ai movimenti sociali che, contro questa legge di bilancio, devono mettere in campo le medesime pratiche di sciopero e di blocco attuate per fermare il genocidio palestinese.

Con un’unica, collettiva consapevolezza: non c’è alcun destino di guerra, devastazione ambientale e diseguaglianza sociale predeterminato. Possiamo cambiarlo scegliendo la vita.

Tutte e tutti insieme la vita.

La copertina è lo screenshot della conferenza stampa del 17 ottobre 2025

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