EDITORIALE

Tira un vento nuovo: verso lo sciopero del 22 settembre

La sfida che abbiamo di fronte è quella di superare il carattere ancora frammentario delle tante mobilitazioni programmate per l’autunno, cogliere il buon vento della Global Sumud Flotilla ed essere marea contro il massacro in corso a Gaza

Si respira un’ aria diversa in Italia in questi giorni, è innegabile. All’inizio lo abbiamo solo sussurrato, per paura che non fosse vero. Dopo le manifestazioni della sera di martedì 9 invece in moltə si sentono più liberə di condividerlo e commentarlo.

Da quando è in carica il governo Meloni per la prima volta si ha la netta sensazione di riuscire a ritrovare in piazza una ampiezza di soggettività che va ben oltre la cerchia dei gruppi organizzati. Va detto e va ripetuto, il movimento transfemminista, anche nei duri anni della pandemia, non ha mai smesso di continuare a creare maree in occasione di momenti come l’8 marzo, il 25 novembre o a seguito di tremendi episodi di violenza di genere e femminicidi.

È sempre stato molto più complesso riuscire a raggiungere paragonabili mobilitazioni su altre tematiche anche gravi e urgenti. Sono innumerevoli le ragioni di questa difficoltà che prosegue quanto meno dalla pandemia e le motivazioni sono varie e complesse e forse difficili da comprendere. Potrebbe essere  utile, invece, comprendere le ragioni della eccedenza di mobilitazione davanti alla quale ci troviamo, una eccedenza da preservare e sostenere.

Le mobilitazioni di Genova per la partenza della Global Sumud Flotilla e di Venezia durante il festival del cinema sono state evidentemente dei cortei di massa con una partecipazione eccezionale. Il corteo milanese a seguito dello sgombero del Leoncavallo ha continuato a produrre mobilitazione variegata e plurale. La marea notturna di domenica 7 a Roma e le mobilitazioni coordinate in decine di città contemporaneamente, per rispondere all’attacco notturno contro la Global Sumud Flotilla martedì 9 sono state una significativa conferma.

Ci troviamo davanti a momenti di attivazione larghi e orizzontali che riescono a riempire le piazze in un arco di tempo notevolmente circoscritto. Intendiamoci, non sono piazze scevre da complessità, ci sono posizionamenti variegati, e anche problematici, pensiamo semplicemente alla partecipazione di alcuni sindaci del PD ai cortei. Ma l’enorme partecipazione ha di fatto preso il centro della scena, oltrepassando e limitando le strumentalizzazioni possibili.

Nella piazza di Genova hanno partecipato partiti del campo largo e sindacati confederali, ma il messaggio centrale è stato quello dei portuali, circolato in tutta Europa: «Se qualcosa succede alla Flotilla, blocchiamo tutto!».

Un elemento che contraddistingue tutte queste mobilitazioni – che differenziandole rispetto a passate manifestazioni sulla Palestina – è il tentativo di essere marea, ossia ritrovarsi assieme senza bandiere che non siano quella palestinese e senza identità o afferenze partitico-sindacali, cercando linguaggi e slogan inclusivi e radicali al tempo stesso. Non a caso questo è un tratto comune a tutte le chiamate di piazza del movimento transfemminista. 

Il secondo fattore caratterizzante è la volontà di difendere i simboli della possibilità di costruire solidarietà vera ed efficace, espressione concreta di quella umanità di cui ci scriveva Vittorio Arrigoni da Gaza quindici anni fa. Si scende in piazza perchè ci si sente un po’ sulla barca anche noi, e vorremmo tuttə partire per Gaza per provare a fermare il genocidio. 

Il terzo fattore è dato probabilmente da un senso di saturazione rispetto alla morte e alla violenza che si vive a vari livelli e che la minaccia incombente della guerra in Europa rende insostenibile, una risposta al senso di impotenza che si sente di fronte gli schermi guardando le immagini del genocidio in corso in Palestina senza riuscire a fare nulla. La GSF è la materializzazione concreta di una reazione. La possibilità di parlare di vita, dignità, solidarietà mentre attorno tutto si incupisce, in Italia come all’estero, tra spese militari alle stelle, restrizione dello spazio democratico, arretramento socioculturale e guerra.

Si può pure immaginare che l’accanimento grottesco con cui la destra sta strumentalizzando l’omicidio di Charlie Kirk – promettendo leggi securitarie contro la “violenza rossa” –  sia pure spinto da qualche timore che queste mobilitazioni prendano piede o, ancora più opportunisticamente, che siano il preambolo di una strategia di repressione a tappeto di scioperi, occupazioni studentesche o altro che l’autunno possa portare.

Il nostro paese negli ultimi anni non ha mai smesso di assistere a piccole o talvolta grandi forme di mobilitazione nei luoghi di lavoro, nei collettivi delle scuole, nelle acampade studentesche, nei comitati a difesa del territorio, nelle associazioni di quartiere. Purtroppo però, spesso le realtà organizzate, presidiando le proprie nicchie, o non hanno intercettato questi contesti o non li hanno attraversati e supportati in forma sufficientemente efficace e rispettosa. Di conseguenza ciclicamente queste mobilitazioni sono tornate nella loro dimensione carsica – anche per la repressione che è sempre in aumento –  senza connettersi ad altri rivoli, senza diventare, appunto, marea.

Forse è proprio questa la sfida più grande che ci troviamo di fronte. Riusciranno le realtà organizzate a sostenere, facilitare e allargare le mobilitazioni in corso? Riusciranno a fermare le mosse delle strutture identitarie che invece tendono in queste situazioni a massimizzare il ritorno e il vantaggio solo per la propria organizzazione? Ormai è evidente a tuttə che è necessario fare un passo indietro per farne due avanti, ma farli assieme oppure qualcuno cercherà che il vento giri solo verso la propria vela? 

La sfida è quella di superare il carattere ancora frammentario che contraddistingue le tante mobilitazioni programmate per l’autunno prossimo. La sfida è porsi su un livello più alto: organizzare uno sciopero contro la guerra europeo. 

Un primo passo è lo sciopero del 22 settembre. La chiamata, lanciata da USB, sta raccogliendo sostegno e adesione trasversale e potrebbe essere la prima giornata che si muove nell’ottica del “blocchiamo tutto” lanciato dal CALP di Genova e che risuona con il “Bloquons tout” del 10 settembre francese.

Se poi si arrivasse a una convocazione di sciopero in forma unitaria da parte sindacale, forse allora qualcosa sarebbe cambiato per davvero. 

Se saremo all’altezza della sfida, saremo davvero marea, qualcosa di incontenibile e radicale che potrebbe porsi l’ambizione di invertire la rotta e creare un problema reale, tanto al governo fascistoide quanto all’opposizione liberale, totalmente inadeguata rispetto alla gravissima situazione attuale. 

La Flotilla che salpa da Catania sembra dirci che le sfide vanno raccolte anche quando sono difficili, in alto mare bisogna stare insieme, conoscersi e darsi supporto, sarà in grado l’equipaggio di terra di fare altrettanto?

L’immagine di copertina è di Milos Skakal

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