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MONDO

Ritorsione contro le unità di resistenza ezide a Shengal in Iraq

Un mese fa l’esercito iracheno ha rapito e imprigionato cinque combattenti delle forze di autodifesa ezide. Da allora non si sa più nulla di loro. L’ennesima provocazione contro l’esperienza autonoma nata dopo il genocidio di Daesh, che il partito curdo di Barzani e il governo di Baghdad vogliono eliminare

Il 18 marzo scorso a Shengal nel distretto iracheno abitato prevalentemente dalla popolazione ezida, è stato fermato dalle truppe irachene un veicolo su cui viaggiavano cinque combattenti delle YBŞ, unità di resistenza ezide. Si sa che tra di loro ci sono dei feriti ma non si conoscono maggiori dettagli. I cinque sono stati trasferiti in prigione e da allora nessuno, né familiari né avvocati, ha potuto incontrarli.

Le YBŞ rappresentano il corpo armato di autodifesa dell’Autonomia di Shengal, forma di amministrazione autonoma nata nel 2018, dopo la cacciata dello Stato Islamico dal distretto, nel 2017, e la smobilitazione dal territorio da parte del Governo Regionale del Kurdistan (KRG), che governa la Regione del Kurdistan Iracheno (KRI). Il KRG, che prima dell’arrivo dei jihadisti dello Stato Islamico governava a Shengal, si era insediato nuovamente in gran parte del distretto, proprio a seguito della loro ritirata.

Tuttavia, era entrato rapidamente in forte collisione con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che all’epoca era presente sul territorio, avendo difeso in solitaria la popolazione ezida nell’immediatezza dell’aggressione jihadista e coperto l’esodo per consentire a circa 300mila persone di mettersi in salvo. 

L’Amministrazione Autonoma di Shengal si ispira ai principi del nuovo paradigma politico che il leader curdo del PKK, Abdullah Ocalan, ha presentato al mondo alla fine degli anni Novanta del secolo scorso come possibile soluzione dei problemi in Medio Oriente. La visione politica di Öcalan abbraccia l’idea di una società radicalmente democratica, con una struttura nella quale le municipalità diventano i veri centri decisionali, il cosiddetto sistema bottom-up, all’interno di una struttura confederale. Da qui il nome di Confederalismo democratico.

Mentre in Rojava, nella regione del nord-est della Siria, il confederalismo democratico vive da più di un decennio attraverso l’Amministrazione Autonoma Democratica della Siria del Nord-Est (DAANES), a Shengal l’esperienza è relativamente più giovane. La tragica pagina dell’aggressione al popolo ezida dell’agosto del 2014 per mano dello Stato Islamico, che ha avuto luogo anche grazie all’abbandono del campo da parte dei peshmerga del KRI presenti sul territorio e dei soldati iracheni inviati da Baghdad, ha determinato la presa di consapevolezza di quella comunità della propria vulnerabilità, avvicinandola all’esperienza della DAANES. 

Secondo il paradigma del confederalismo democratico, un’Amministrazione Autonoma deve essere in grado di difendersi da attacchi esterni e per questo ciascuna si dota delle proprie unità di resistenza. Per l’Amministrazione Autonoma di Shengal si tratta delle YBŞ e delle YJS, le prime composte da uomini e le seconde da donne.

Tanto l’Amministrazione Autonoma di Shengal quanto le sue unità di resistenza sono considerate di intralcio all’implementazione dell’Accordo di Shengal, siglato nel 2020 tra il governo federale iracheno e il KRG, con la supervisione e il beneplacito dell’UNAMI, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa della questione irachena.

L’Accordo, accolto in modo favorevole anche a livello internazionale in quanto considerato un passo importante verso la stabilizzazione del distretto e il ritorno dei circa 200mila Ezidi ancora sfollati, non ha invece scaldato i cuori di gran parte degli Ezidi, quelli dell’Amministrazione Autonoma in particolare, perché considerato un ennesimo tentativo di sottrarre alla comunità il diritto di decidere del proprio futuro. Infatti in nessuna parte del documento è previsto un coinvolgimento della popolazione e le cariche politiche e amministrative sono tutte calate dall’alto attraverso delle commissioni nominate dal governo di Baghdad e da quello di Erbil.

L’Accordo prevede inoltre la dissoluzione delle unità di resistenza ezide e la messa al bando dalla zona del PKK, che aveva lasciato già il distretto anni fa. Ovviamente nessuno spazio è riconosciuto all’Amministrazione Autonoma di Shengal.

Già nella primavera del 2022 il governo iracheno aveva tentato di piegare la resistenza all’Accordo di Shengal da parte dell’Amministrazione Autonoma. Aveva inviato l’artiglieria e le armi pesanti nelle sue roccaforti attaccando le YBŞ che erano prontamente intervenute a difesa. Aveva provato a imporre con la forza l’Accordo, senza però riuscirci e dovendo ritirarsi. 

L’ostilità verso il progetto politico dell’Amministrazione Autonoma è anche espressa dal KDP che attraverso i suoi deputati e portavoci, inclusi quelli ezidi che fanno parte del partito, ripete che è ora di dare attuazione all’Accordo di Shengal e di rimuovere il problema, ossia l’Amministrazione Autonoma e le sue unità di resistenza.

Così, secondo quanto riportato dalla testata “Kurdistan24”, dopo l’arresto dei cinque combattenti delle YBŞ, il 19 marzo scorso il governo iracheno ha fatto entrare ancora una volta nel distretto di Shengal le armi pesanti. 

Le manifestazioni nel distretto non si sono fatte attendere e il TAJE, Movimento delle donne ezide, ha organizzato senza esitazione una protesta per chiedere la liberazione dei cinque combattenti. La mobilitazione ha indotto l’esercito iracheno a ritirarsi ma Baghdad non ha ceduto, per ora, sul loro rilascio. 

Il 20 marzo il Comando delle YBŞ ha emesso un comunicato stampa con il quale ha denunciato l’ala militare del governo di accusare di terrorismo i cinque arrestati, dimenticandosi del contributo delle unità di resistenza ezide alla lotta contro lo Stato Islamico. Ha poi chiesto la liberazione dei cinque prigionieri sottolineando di voler risolvere la questione in modo responsabile e ragionevole per evitare il deteriorarsi della situazione. 

La pressione sul governo è continuata e il 30 marzo, come riporta la testata “ANF News”, i familiari hanno inviato una lettera alle ONG che lavorano sul territorio, alle Nazioni Unite, all’Unione Europea e ai paesi che hanno riconosciuto il genocidio ezida affinché intervengano sul governo iracheno in favore della scarcerazione. 

Il 2 aprile le madri dei combattenti si sono riunite in un presidio permanente davanti alla sede dei Servizi Segreti iracheni a Shengal, dichiarando che resteranno lì finché non verranno rilasciati. 

Il 7 aprile è stata la volta delle organizzazioni della società civile che con una dichiarazione congiunta hanno chiesto al Primo Ministro iracheno, al-Sudani, di liberare i cinque componenti delle YBŞ e di consentire il ritorno delle centinaia di migliaia di sfollati ezidi che ancora vivono nei campi profughi.

Attualmente dei cinque combattenti non si sa nulla, nemmeno sul loro stato di salute, perché a nessuno è stato permesso di visitarli.

Immagine di copertina da Kurdishstruggle, Flickr.com

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