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Una Capitale coloniale e immorale

Recensione del libro di W. Tocci, “Non si piange su una città coloniale” […] , occasione per discutere, il 12 novembre ad Esc, sia del rovesciamento di Marino che delle prospettive di una città ferita e commissariata.

Roma non è e non è mai stata una capitale “morale”. E non vogliamo che lo sia. Roma è nata come un gomitolo di sentieri e tratturi laziali per cui briganti, pastori, fuggiaschi e profughi di guerra dall’Asia minore e dalla Tunisia (come Enea) affluivano a un guado sul Tevere. Asilo di malviventi e facinorosi, segnata nella sua edificazione da un fratricidio. Cresciuta attraverso feroci lotte di classe, che ne hanno garantito la libertà interna e l’espansione esterna lungo il reticolo delle vie consolari che sostituirono gli antichi sentieri. Dunque: luogo di accoglienza, di conflitto e di comunicazione. Metropoli per vocazione, ibrida e contraddittoria, non sede di esposizione universale di vivande esotiche. Certo, con una sua antropologia criminale autoctona di lunga durata, che però è anche sorgente di vitalità, una potenza “plebea” a certe condizioni, cioè se messa in tensione con un conflitto e un progetto. Questa “pragmatica vitalista” (V. Gago) o “cittadinanza post-statale” (É. Balibar), che rielabora dal basso il portato “irreversibile” nel neoliberismo per resistere ad esso e cercare di salvare un ampliamento disordinato delle libertà, dei godimenti e degli affetti, è un’arma a doppio taglio, irriducibile a una razionalizzazione neo-keynesiana e al “buon passato”. Non è mero oggetto di cronaca giudiziaria e di fiction seriale. Non la si può relegare semplicisticamente nell’anti-politica, che invece viene dall’alto, via twitter, unità di missione, sirene grilline e commissari-manager. Una modernità “barocca” che calza bene al barocco romano, una città “coloniale” che va decifrata, appunto, con gli strumenti degli studi de-colonial.

Queste sono riflessioni stimolate tanto dagli eventi recentissimi quanto dal bel libro di Walter Tocci sulla Roma “coloniale”, che ci offre una ricostruzione accurate delle vicende dell’ultimo ventennio. Dopo un “Prologo all’inferno” e un’interpretazione del tramonto della capitale, il testo si articola in tre parti sulla mutazione delle forme politiche, sui vari tentativi di riforma dell’amministrazione capitolina nell’intento di non ripetere errori del passato, infine di proposta per una crescita civile ed economica. Un’appendice, curata da F. Tomassi, documenta le tendenze elettorali del periodo per zone concentriche.

Ricostruzione persuasiva, se non per un eccesso di indulgenza verso Veltroni (il cui piano urbanistico fu all’origine di molte metastasi edilizie), qualche giustificazione discutibile dei processi di privatizzazione ed esternalizzazione forse troppo scissa dal sottostante meccanismo complessivo neo-liberale. In compenso abbiamo parecchie indicazioni illuminanti: la misura delle riforme in base alla reversibilità, la contrapposizione fra progettualità e gestione short-term dell’emergenza o logica da Protezione civile, la registrazione e spiegazione della lenta degenerazione delle cooperative sociali.

C’è però – diciamolo subito – un buco grossissimo: il Partito o meglio il livello nazionale e complessivo del Pd. Un buco che, dopo la sceneggiata Marino e l’auto-commissariamento Pd è vistoso, ma già prima (all’epoca della stesura del libro) si poteva intuirlo. Basta denunciare la deriva clientelare, assai finemente analizzata anche per distribuzione cartografica (il centro, la periferia storica, la periferia anulare) – tacciamo pure che in alcuni casi-limite più che di notabili occorrerebbe parlare di signori delle tessere (Ostia, Mirko Coratti, De Luca) –, ma il problema è il mutamento al vertice del Pd, la sua trasformazione antropologica in Partito della Nazione e in PdR, che a Roma potrebbe slittare mestamente in PdM – M come Marchini. Dove la personalizzazione è la maschera grottesca delle politiche neo-liberali, la ricaduta organizzativa e mediatica di una scelta razionale di sistema e non un’eruzione cutanea curabile.

Se il marcio sta nella testa, la decomposizione del Pd romano è una ricaduta opaca e renitente della Leopolda, così come la rinuncia al controllo e indirizzo politico (=progettuale) dell’amministrazione è una mera conseguenza e la cura è tutta politica, probabilmente ben al di fuori del partito e dello stesso sistema di partiti sopravvissuto in Italia. Tanto meno l’infezione è risolubile con le pur opportuna e utilissima riformattazione dell’attuale dispersione di livelli amministrativi istituendo una Regione-Capitale con poteri legislativi (modello Berlino) e veri Comuni metropolitani, nella cornice di un’effettiva soppressione delle province e di una riorganizzazione delle altre regioni. Per citare lo stesso Tocci (alla vigilia del crollo o accoltellamento di Marino): «invece di sciogliere il Consiglio Comunale, è meglio abolire il Comune di Roma. Il malgoverno ne ha fatto esplodere le disfunzioni, ma era già da tempo una struttura amministrativa obsoleta. È insieme troppo grande e troppo piccola. È troppo grande per il governo di prossimità dei servizi ai cittadini e della vita di quartiere, ed è troppo piccola per il governo dei processi ormai dilagati a scala regionale, nella demografia, nell’economia, nei trasporti, nell’ambiente e nell’urbanistica. La dimensione locale dovrebbe essere affidata agli attuali Municipi, trasformandoli in Comuni metropolitani in grado di rispondere direttamente ai cittadini senza perdersi in rimpalli di competenze».

Giustissimo, ma quale anello manca per passare dal progetto razionale alla sua implementazione amministrativa? Come nel caso dell’analisi del male, anche la proposta del bene deve avere un passaggio politico: la povertà delle relazioni sociali nella periferia anulare, per es., spiega il notabilato rosso e la sua subalternità alla destra, però la radice non è a cavallo del Gra ma a Largo del Nazareno, dove viene elaborato il modello poi preso in franchising dai capi-cosca locali. La stessa esperienza del governo di prossimità, cui sono dedicate pagine molto belle di rievocazione e di progettualità futura, presuppone un soggetto politico nazionale e locale che non c’è più e, senza del quale, il rischio è il trionfo dell’ideologia del decoro e della pratica leghista e communitarian del CdV (Controllo di vicinato, ronde contro i poveri e i “clandestini”, voyeurismo delle telecamere). La degenerazione è automatica quando la partecipazione non è indirizzata da una forza politica che abbia di mira l’integrazione e lo sviluppo civico, quando ci si illude che la perfezione consista nell’eliminare gli attriti e i conflitti, nell’addomesticare gli spiriti vitali.

Opportunismo delle masse e illegalismo di massa crescono dentro e contro (a volte purtroppo a favore) dell’illegittimità democratica del neoliberalismo: non li si può domare in nome della “legalità” e dello spirito “civico”, ma solo reindirizzare secondo un conflitto di classe che parta dalla nuova composizione del lavoro e del non-lavoro, dal rifiuto del sotto-salario precario, della persecuzione fiscale e previdenziale della partite Iva di fascia bassa e del dilagante lavoro gratuito, dell’illegalizzazione dei rifugiati a ogni titolo, della vittimizzazione effettiva e simbolica dei poveri. Va aggirata la rissa e la segreta alleanza fra giustizialismo pentastellato e Nazione palazzinara– due blocchi di “cravattari” che sfruttano la crisi ormai endemica per estorcere plusvalore e consenso in nome della Patria nazionale e comunale.

Il riscatto dalla città da questa stretta mortale è una scommessa difficile, al di là dei giochi elettorali che già si profilano, e richiederebbe un compromesso fra governance amichevole, bergogliana misericordia e rilancio di una lotta di classe allargata ben oltre i confini tradizionali. Più politica, insomma, non “senso civico”, creatività e non decoro. Di questo vorremmo parlare con un protagonista della penultima stagione amministrativa di sinistra e un fermo avversario della deriva renziana in materia economica e costituzionale.

W. Tocci, Non si piange su una città coloniale. Note sulla politica romana, goWare, Roma 2015. Anche e-book e scaricabile on line.