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SIC, metodo e comunità in “territorio nemico”

#2 Conflitto esperienza letteratura. Sulla SIC, scrittura industriale collettiva, a partire dal loro romanzo “In territorio nemico”

Sic è l’acronimo di Scrittura Industriale Collettiva, e indica al contempo un metodo di scrittura – il cui manuale è disponibile sul sito del gruppo – e la comunità aperta di scrittori che lo usa. Il metodo nasce nel primo decennio del XXI secolo e viene presentato ufficialmente il 12 maggio 2007, presso il “LitCamp”, una “non conferenza” organizzata a margine della Fiera del Libro di Torino. Fino al 2008 attraverso il metodo Sic erano stati portati a termine sei racconti. Poi è partito il progetto per la realizzazione di un grande romanzo aperto che portato alla pubblicazione di In territorio nemico.

Il metodo all’emersione dei nuovi media e al definirsi di una cultura transmediale e convergente, ben descritta dallo studioso Henry Jenkins in quella che è la sua opera più famosa. Convergenti sono le intelligenze soggettive e gli stessi fondatori del metodo Sic – Vanni Santoni e Gregorio Magini affermano:

Oggi tutto ciò che concerne la cosiddetta produzione di contenuto, va nella direzione della condivisione e della produzione collettiva. La nostra sensazione era dunque che anche la letteratura dovesse provarci. Il metodo SIC nasce dalla volontà di superare la scrittura collettiva a staffetta – quella per intenderci, dove ognuno scrive un pezzetto e poi passa la mano – e dare vita invece a un metodo di scrittura effettivamente collettivo, che permettesse la produzione di opere coerenti e la partecipazione di tutti gli scrittori a tutte le parti delle stesse.

Il metodo Sic avrebbe quindi la funzione di dimostrare che la scrittura collettiva può dar luogo a opere di una certa dignità letteraria e che può essere o diventare una pratica di scrittura “normale”. È anche il tentativo di fornire a una moltitudine di soggetti la condizione di autorialità: superata l’unicità dell’artista isolato e romantico, oltre la convergenza esprimibile nell’interazione fra tre, quattro, cinque persone, ideologicamente compatibili. Si tratta di una scrittura di massa, non a caso industriale, che lungi dal massificare le coscienze vuole rappresentare una utile lezione di umiltà per lo scrittore individuale, al quale ricorda che l’autore è anche uno strumento, distinto dalla persona e ancora più duttile nell’era del networking, un aspetto della finzione necessario per far sì che la parola scritta resti ancorata alla realtà. L’aggettivo industriale si riferisce all’organizzazione interna: mutua la sua struttura dalla classica organizzazione produttiva, nella quale gli scrittori – coloro che compongono le schede – sono gli operai, il cui lavoro, in corso d’opera, è armonizzato dalla presenza di un direttore artistico e concluso da un’operazione di editing .

Il direttore artistico è un ruolo e non deve essere ricoperto da una sola persona: deve ideare il progetto, formare il casting (di scrittori), elaborare il soggetto (tramite estrazione delle schede che gli scrittori dovranno compilare), assegnare le schede, comporle, montarle. Al direttore artistico non spetta il compito di scrivere, riservato invece agli scrittori/operai.

La divisione dei ruoli prevede inoltre una precisa strutturazione dei canali di comunicazione all’interno dei GS (gruppi di scrittura, n.d.r): il DA si rivolge a tutti gli scrittori contemporaneamente, via e mail, o con il diario di produzione disponibile sul sito, mentre gli scrittori comunicano esclusivamente con il DA, e non fra di loro […]. E chiaro che il DA ha un ruolo centrale, la somma tra ruolo organizzativo e visione d’insieme dà al DA il potere decisionale e le informazioni necessarie per poter operare in modo simile a quello del regista cinematografico. Il confronto con il cinema è stato un punto di paragone importante nell’elaborazione del metodo […]. Il cinema come arte della Seconda Rivoluzione Industriale ha ispirato gli ideatori del metodo come modello per eccellenza della tecnica portata al cuore della produzione artistica. (G. Magini)

Di conseguenza, inevitabili e lecite sono le critiche che vedono dietro questa centralità e nel concetto di industriale una possibile totale alienazione dello scrittore, nonché una resa narrativa che non è in grado di toccare le vette della letteratura. Non potendo qui entrare nel merito del metodo, sottolineiamo come l’opera letteraria possa diventare un attrattore culturale – con le parole di Pierre Lévy, teorizzatore del rapporto tra internet e l’intelligenza collettiva – il cui obiettivo può essere unire diverse comunità sulla base di un terreno comune e tutto ciò, cosa essenziale, fin dalla sua prima fase di produzione. Esemplare è quello che è accaduto con il romanzo In territorio nemico, che ha coinvolto nelle sue diverse fasi di lavorazione 115 persone.

In territorio nemico

In territorio nemico è un’opera riuscita, ben costruita e avvincente. È un romanzo resistenziale, che si richiama alla tradizione di Italio Calvino, Carlo Cassola, Beppe Fenoglio con una particolarità non irrilevante. La storia è sostenuta dalla memoria, ma si tratta di memorie di memorie, raccolte dai nipoti di coloro i quali la guerra l’hanno vissuta o combattuta. Aneddoti raccontati in famiglia, leggende tramandate, fatti storici che hanno segnato intere comunità. Una scelta che evita la Grande Storia e si concentra sulla “storia piccola”. In Territorio Nemico è un romanzo storico dunque, la cui narrazione si scioglie mescolando la dimensione fattuale a quella narrativa, ispirato anche dall’intuita relazione tra due tipi di indagine:

All’inizio dei lavori, fummo colpiti da una sorprendente analogia: dal momento che lavorare a un romanzo storico significa anche lavorare con un sistema di fonti, si può dire, estremizzando, che ogni romanzo storico sia già, per definizione, “scrittura collettiva”. (In territorio nemico. Wu Ming 2 intervista i Sicsters)

E il riferimento alla “storia piccola” richiama il corpus di studi della Microstoria. È un metodo di ricerca fondato sulla convinzione che il senso di un periodo storico – nel nostro caso la resistenza partigiana al nazifascismo – vada ricercato nella molteplicità di eventi, situazioni e intenzioni che l’avevamo motivata: la Resistenza come fenomeno molteplice: un approccio che Sic pare aver assimilato in pieno.

Il romanzo è scritto in stile realista: una scelta estetica ponderata, tradotta nel suggerimento di un linguaggio piano – non aulico, né poetico – che gli ideatori del metodo hanno fornito ai partecipanti e suggerita da una serie di letture, tra le quali Lettere di condannati a morte della Resistenza. Il sistema di valori, struttura portante del romanzo, dichiarata fin dal principio, prevedeva una chiara divisione in buoni e cattivi.

Nel nostro caso, la tendenza generale, che è stata il nostro assioma, è l’idea che la Resistenza sia stata un processo di separazione e di rifiuto di qualcosa di orrendo, ben prima e molto più a fondo di risolversi in progetto di concordia, unità nazionale, superamento del conflitto attraverso l’autorità morale. (Sic, Affinità elettive, disponibile qui)

Il riconoscimento di una moltitudine costretta a una trasformazione dolorosa ma inevitabile suggerisce un parallelismo: l’esperienza Sic ha potuto far propria quell’irriducibilità a uno che ha nutrito la guerra partigiana, traducendo una necessaria strategia di azione in un processo di elaborazione narrativa.In Territorio nemico narra le vicende di tre protagonisti che rappresentano tre scelte critiche a disposizione dell’eroe messo in crisi dal potere che l’aveva destinato – nel nostro caso il fascismo. L’istanza che produce l’eroe è un’istituzione in crisi: meglio è la crisi della massima tensione identitaria, parossismo del nazionalismo e sua inevitabile degenerazione.

Il territorio nemico del titolo è lo spazio del conflitto, l’unico luogo concesso all’insieme di formazioni antifasciste impegnate nella gue Matteo Curti – militare sbandato – Adele Curti – borghese impoverita dalla guerra e dal fascismo – Aldo Giavazzi – marito di Adele, ingegnere e disertore – sono soggetti messi in crisi che reagiscono distintamente a questa condizione, accettandone l’espulsione come nuovo principio (Matteo), conquista soggettiva (Adele) o degenerazione psico-fisica (Aldo). Parliamo di soggetti esclusi che si muovono in uno spazio ostile con diverse competenze. Significativo è il personaggio di Aldo Giavazzi – bravo ingegnere incapace di scegliere tra il fascismo e la sua antitesi – si arrocca – letteralmente, nascosto nel solaio della cascina in cui abitava sua madre – sulle sue brillanti competenze, involvendo verso la follia. Siamo tentati di leggere in esso l’involuzione di un’identità che sopravvive alla sventura della sua frantumazione, senza la possibilità di rideterminarsi. Una sofferenza che è il prodotto della rinuncia alla scelta politica, negazione di un’esperienza di vita che vada oltre la semplice professionalità costruita e accetti di vivere dentro la Storia. In questi termini il personaggio di Giavazzi rappresenta un monito o un appello che pare segnare uno dei confini etici che una moltitudine consapevole non può ignorare: quello che separa la consapevolezza dall’ignavia.

L’esperienza Sic di In territorio nemico è un esperimento riuscito che non va trascurato. Concretizza la possibilità di costruire storie collettive a partire dalle esperienze personali, dalla raccolta dei dati, dall’indagine storica e si fa carico di riallacciare il vissuto al racconto, riconsegnando alla narrazione una funzione formativa e performativa. Pare uno strumento privilegiato per sfidare, riprendendo le parole di Giuliana Benvenuti la società dei simulacri sul suo stesso terreno, e puntando, in primo luogo attraverso un uso creativo dei media, alla costruzione di narrazioni popolari e divergenti dal basso