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Quali sogni fa un uomo?

L’identità non basta per trovare un equilibrio, ma è necessario affacciarsi sull’altro. La letteratura serve anche a questo, a provare il brivido dello sbilanciamento. Ciò accade nel leggere i versi di Soumaila Diawara nel suo libro “Sogni di un uomo”

Tra gli scopi della letteratura c’è quello di raccontare esperienze e trasmettere conoscenza. Quella occidentale, nelle sue variazioni nazionali, nel corso degli anni ha perso progressivamente il suo anelito  formativo, spesso sostituito da una volontà di divertire e scandalizzare, che è risultata essere in realtà una sorta di coazione a ripetere.

A questa, e alla sua crisi, ha risposto l’emergere di una scrittura venuta da “fuori”, una scrittura dell’altrove, canonizzata dentro il perimetro della letteratura della migrazione. Si tratta di forme letterarie, narrative e non, che restituiscono immagini, racconti e storie – spesso storie rimosse – il cui scopo sembra quello di provare ad arricchire, o rinnovare lo stanco sistema valoriale occidentale, terrorizzato, arroccato su un’identità individuale sempre più povera, disorientata e meschina nel suo credersi punto di osservazione privilegiato delle cose del mondo.

Quelle che compongono la letteratura della migrazione sono scritture fondate per lo più su un’esperienza forte – quella che sembra mancare agli scrittori nazionali –  un’esperienza di sradicamento, da cui l’autore ha bisogno di ricavare per sé e per gli altri un senso adeguato: un indirizzo, una risposta, un nuovo equilibrio. E nel farlo fornisce anche al lettore una traccia di percorso, nella quale proprio l’identità e i suoi cardini valoriali vengono messi in questione. O riscoperti in una forma nuova, che accetta la trasformazione e la mutazione dell’uomo e ne riscopre l’essenza nell’insieme delle relazioni che esso vive e che gli danno forma.

La letteratura della migrazione finisce così per essere ora una provocazione, ora una proposta, ora una strategia che suggerisce una via di uscita dall’angoscia prodotta dall’ossessione di un sé accartocciato su se stesso.

La raccolta di poesie di Soumaila Diawara, intitolata Sogni di un uomo, edita da Youcanprint, è un esempio di questa letteratura. Nata dall’esperienza personale e intima dello scrittore, che ha abbandonato il Mali per aver salva la vita, è organizzata in cinque capitoli. Questi descrivono un percorso esistenziale che illumina i rapporti tra l’essere umano, le ragioni di Statoche spesso ne governano l’esistenza, il valore della diversità – il colore del diverso– utilizzata come arma dal potere, i pensierigenerati da questa condizione umana e, in ultimo, una necessaria ricerca di una vita migliore.

I versi di Soumalia, scritti originariamente in francese e successivamente tradotti in italiano, sono essenziali, precisi e per nulla fragili. Descrivono ora la condizione dell’uomo che è bestia per l’uomo, ora l’amore, senza cercare evoluzioni di stile, ma con un uso del linguaggio quotidiano.

 Siamo. Questo è evidente, scrive il poeta, ma continuamente presi da un gioco di specchi nel quale è come se l’ammirazione di altri, potesse compensare la voragine del niente che abbiamo in noi. Incapaci di comprendere che sopra l’abisso di solipsismo, in cui l’Io governa tutte le relazioni, è il potere più nero che tira le fila dei rapporti umani e delle relazioni politiche. Perché nell’incapacità di riconoscere colui che viene d’altrove, non per capriccio ma per necessità, si nasconde il dramma di un futuro di incomprensioni.

 

Non voglio credere che qualcuno

Pensi che una donazione per un vaccino

Possa salvare l’Africa.

O semplicemente che qualche vestito usato,

adozioni a distanza o attività parallele

possano portare sollievo al mio continente […]

 

Abbandonare al più presto l’illusione di un’identità che ci appartiene da secoli, e riconoscere nel dramma dello sradicamento la vendetta di ogni potere, serve a comprendere che nessuna cultura è data, ma ogni cosa costruita: strumento di relazione tra gli altri e con gli altri.

Non ha senso, per esempio, individuare nel colore della pelle o in un’attitudine soggettiva la radice di un essere, potrei, scrive Soumaila,

 

battermi per i diritti dell’uomo nero.

Difenderli accanitamente, sposarne gli ideali,

e vivere in base ad essi, così,

dando un senso alla mia vita.

Potrei farlo sì, per il mio ego,

per il mio presente.

Ma avrei perso.

Perché avrei diviso

di nuovo l’uomo dall’uomo.

 

Ecco svelato l’inganno, ecco a cosa serve una letteratura che arriva d’altrove. A raccontare il vissuto, a fare dell’esperienza un insegnamento ma senza fanatismi, a individuare la trappola della violenza, le radici dell’odio, con un unico fine:

 

Non si può colpevolizzare

Né reprimere la realtà.

Bisogna analizzarla

e trovare una soluzione comune.