Pazza idea

Una discussione pubblica: è possibile immaginare un sindacato post-sindacale?

È possibile dar vita a una camera del lavoro precario, dove far convivere conflitto, mutualismo e cooperazione? Sabato 20 aprile, una prima jam session di confronto presso le Officine ex-RSI, occupate da un anno dagli operai in cassaintegrazione e luogo simbolo dell’incontro tra vecchie e nuove forme del lavoro.

Non è la prima volta che ci poniamo queste domande e che si prova a dare forma ad un nuovo tipo di sindacalismo, precario e metropolitano. Non è nemmeno la prima volta che a Roma si parla di co-working. È la prima volta, però, che la discussione su queste due ipotesi pratiche insiste sulla combinazione possibile, senza indugiare sulle distinzioni o, peggio, le opposizioni irriducibili. Si tenta la contaminazione.

C’è un’altra prima volta, la premessa, che alla separazione sostituisce o impone il meticciaggio: la crisi economica. Il co-working rende solidali i professionisti atipici o freelance, strappandoli dalla domestication e riconquistandoli alla comune postazione di lavoro, la condivisione delle idee, l’ammortizzazione dei costi (tecnologie, bollette, ecc.). Un passo importante, fondamentale, che ancora non dice nulla sul rapporto tra lavoratori autonomi di nuova generazione e precari o, peggio, disoccupati. Nella crisi, però, non ci sono più rendite di posizione: il declassamento e l’impoverimento del lavoro ad alto skill (con alti livelli di formazione e competenze) è la regola. La iattura materiale può essere miscela indispensabile per trasformare il co-working in produzione comune, del e per il comune, in “collavoro”.

Ancora una prima volta: mai come oggi, nel pieno della crisi economica europea e globale, i sindacati esistenti sono incapaci di organizzare le figure prevalenti nel mercato del lavoro, i precari. Mai come oggi i vecchi istituti del welfare non garantiscono alcuna protezione agli atipici, agli intermittenti, ai disoccupati, agli studenti. Crisi del sindacato, crisi del welfare, due segni distintivi del passaggio d’epoca che ci tocca in sorte. Doppia crisi che investe, in alcuni casi fino a travolgerla, la generazione degli anni ’90 e degli anni ’00. Nessun sindacato, in particolare in Italia, ma non sono molte le differenze nel resto d’Europa, ha avuto la capacità di riorganizzarsi a partire dalla centralità sociale e politica del lavoro precario. La difesa del lavoro dipendente tradizionale, tra l’altro, è stato il modo migliore per favorire non tanto e non solo lo sfruttamento smisurato dei precari, ma anche la disintegrazione neoliberale delle garanzie e dei diritti conquistati dal movimento operaio. Le falle del welfare italiano, invece, non esigono particolari chiarimenti, la disastrosa esperienza degli atipici, quando si passa da un lavoro all’altro o quando il lavoro non si trova, è già senso comune.

Lungo il tratto inedito delle trasformazioni imposte dalle crisi, insomma, si colloca l’esigenza di dare vita e forma ad una pazza idea. Esigenza politica che si salda ai movimenti tellurici che stanno sconvolgendo il mercato del lavoro: è sempre più proprio usare la categoria di transizione per descrivere le figure del lavoro contemporaneo, di passaggio tra collaborazioni e partita Iva, disoccupazione e formazione. Abitare la transizione significa inventare nuove armi, per difendersi, per conquistare i diritti che mancano, per afferrare il proprio tempo.

Immaginiamo un processo collettivo, federativo di esperienze esistenti e fondativo di una New Thing, di nuovi spazi e nuove reti. Proviamo a definire alcuni punti di riferimento, punti sui quali far scorrere le linee pratiche che sole possono consegnarci una mappa adeguata:

1. Sindacato. Fondare camere del lavoro precario dove garantire assistenza legale, fiscale e previdenziale agli atipici come alle partite Iva; dove sostenere e organizzare vertenze individuali e collettive.

2. Welfare e mutualismo. Conquistare luoghi dove rilanciare e organizzare la lotta per il reddito garantito e sperimentare nuove forme di solidarietà e mutualismo (sanità, previdenza).

3. Common-work. Costruire luoghi dove produzione, creatività e condivisione coincidono.

4. Banca delle competenze. Strappare spazi dove organizzare in termini offensivi e autonomi la formazione professionale.

Quattro punti, lo spartito minimo per iniziare una jam session che proponiamo per sabato 20 aprile, presso le Officine ex-RSI, occupate da un anno dagli operai in cassaintegrazione e luogo simbolo dell’incontro tra vecchie e nuove forme del lavoro.

Sabato 20 Aprile ore 14.30 Officine ex-Rsi occupate
(via u. Partini, angolo via Portonaccio)

Non lo siamo ancora, ma lo saremo. Noi saremo tutto.

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