MONDO

La simbologia di una proposta

Riceviamo e pubblichiamo un punto di vista sulla scommessa fatta dall’EZLN e dal CNI di candidare una donna indigena alle presidenziali del Messico

“È per questo che noi 43 popoli di questo paese, come Congresso Nazionale Indigeno, riuniti in questo quinto Congresso, concordiamo di nominare un Consiglio Indigeno di Governo con rappresentanti, uomini e donne, di ciascuno dei popoli, tribù e nazioni che lo compongono. E che questo consiglio si proponga di governare questo paese. E che avrà come portavoce una donna indigena del CNI, di sangue indigeno e che conosca la propria cultura. Vale a dire che avrà come portavoce una donna indigena del CNI che sarà candidata indipendente alla presidenza del Messico per le elezioni del 2018.” *

Il primo gennaio 2017, dal palco di un affollatissimo Caracol di Oventic, queste sono state le parole che vogliono far tremare nei suoi centri la terra, a sancire l’accoglimento della proposta lanciata il 9 ottobre 2016 dall’Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN) al Congreso Nacional Indígena (CNI).

Già nei giorni successivi al lancio della proposta, numerosi commenti off-line e on-line – soprattutto on-line – si sono sprecati nell’analisi della stessa, per lo più incentrati sulla questione della rappresentanza elettorale e sui paragoni con La Otra Campaña del 2006. Non sono mancate letture parziali della proposta e, men che meno, letture apertamente razziste, maschiliste e paternaliste.

Quale la cornice nella quale si inserisce la proposta? Quale il ruolo dei principali artefici? Quali gli obiettivi? Nel tentativo non certo facile di rispondere a queste domande, non si può non prendere in considerazione, ancora una volta, il simbolismo che si cela dietro ogni parola e azione dell’EZLN. Le giornate a cavallo tra il 2016 e il 2017, caratterizzate dalla presenza del festival “L@s Zapatistas y las ConCiencias por la Humanidad”, hanno offerto numerosi riferimenti simbolici, indifferentemente che fossero orali o pratici, utili a comprendere la portata della proposta. Quello che segue è un percorso esperienziale, nella speranza che possa stimolare ulteriori domande ad arricchire il dibattito dei prossimi mesi, in vista della nomina del Consiglio Indigeno di Governo prevista per gli ultimi giorni di maggio.

“Prima le compagne”

La mattina più fredda dell’ultimo mese in Chiapas e la nebbia a farla da padrona, almeno sino a San Andrés Larráinzar. Un viaggio sul retro di un furgone in cui regna il silenzio, rotto solo dal rumore metallico del veicolo all’incontro con i topes per diminuire la velocità. Solo il diradarsi della nebbia restituisce la voce alle passeggere e ai passeggeri intirizziti. Il 1 gennaio 2017 inizia così, con le carovane di mezzi che si dispongono ai lati della strada che costeggia il Caracol di Oventic, sede di una delle cinque Giunte di Buon Governo dell’EZLN. Alle 10.30 la fila umana pronta ad entrare ha già raggiunto i 200 metri di lunghezza, con persone che sono lì dalle 8. Il freddo pungente lascia presto il posto a un caldo soffocante, e le miti giornate di San Cristóbal sono un lontano ricordo che si perde nel riverbero dell’aria sull’asfalto. L’euforia per la convocazione non si lascia tuttavia scalfire, e chiunque rimane in attesa del segnale per l’ingresso, che arriva solamente intorno alle 14.

“Prima le compagne!Prima le donne con i bambini!” è l’urlo di tante basi di appoggio dell’EZLN che si occupano della logistica all’esterno del Caracol. “I compagni restino in fila in attesa”. Così facciamo per un’altra mezz’ora prima che la fila si muova. I passi maschili della Sexta nazionale e internazionale iniziano ad entrare a Oventic, accompagnati da due ali di passamontagna neri e bavagli rossi dai motivi floreali. La platea del grande spazio coperto che ospita la convocatoria è già gremita, con i posti a sedere occupati dalle delegate e dai delegati del CNI – che si riuniva in concomitanza con il ConCiencias -, dalla comandancia dell’EZLN e dalle donne e bambini aderenti alla Sexta. Per tutti gli altri non rimaneva che disporsi in piedi nei pochi spazi liberi.

Un gesto simbolico come tanti altri, forte nella sua semplicità. Come tante altre parole e gesti riconducibili all’universo zapatista, rimarca l’importanza della questione di genere e che questa va coltivata a partire dal quotidiano, perché il sessismo, il machismo e il patriarcato sono sistemici e non possono essere superati senza un approccio organico. Un gesto simbolico che accompagna la scelta di una portavoce indigena, che sappia ascoltare gli incubi, le resistenze e le ribellioni che attraversano il Messico e che sappia parlare alle sue pluralità. Un gesto simbolico che, a partire dalla restituzione pubblica della proposta, vuole tutelare il ruolo femminile e chiarire che niente sarà lasciato al caso sotto questo aspetto, a partire dalla disponibilità dell’EZLN a prendersi cura della famiglia della portavoce quando percorrerà il Messico per ascoltarlo. In una geografia in cui è stato coniato il termine “femminicidio”, in cui nella sola Ciudad Juárez sono più di 600 le uccisioni e più di 600 le sparizioni di donne tra il 1993 e il 2016, e dove per le stesse donne zapatiste il riconoscimento dei diritti e di un ruolo attivo nella società che verrà non è scontato nonostante la Legge Rivoluzionaria delle Donne in vigore dal 1993, il gesto da simbolo vuole farsi consuetudine.

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“Quel che noi non possiamo”

Alle 16, un’ora e mezza prima dell’inizio della sessione finale, la fila di attesa per l’ingresso all’auditorio del CIDECI – Universidad de la Tierra di San Cristóbal arriva fino al cancello di ingresso, incurante della pioggia nebulizzata che lenta pero avanza. Le persone più pigre o ritardatarie ripiegano sull’aula 2, fornita di televisore e amplificatori per seguire in tranquillità la chiusura della prima parte del ConCiencias prima di riprendere il 2 gennaio. La giornata è topica, ci si aspetta qualche riferimento alla proposta o alla possibilità di passare la notte successiva, quella di capodanno, al Caracol di Oventic, per festeggiare intorno al fuoco il ventitreesimo anniversario dell’insurrezione del 1994, quando l’EZLN si manifestò al mondo di sopra.

Prende la parola il Subcomandante Moisés, spetta a lui restituire il punto di vista della comandancia dell’EZLN sul festival a conclusione di questa giornata. “Compagne, compagni, compagnei, poche informazioni logistiche prima di passare la parola a una compagna e un compagno appartenenti al popolo Wixárika: a causa dei preparativi volti all’ospitalità delle delegate e dei delegati del CNI, vi invitiamo a non recarvi a Oventic prima del 1 gennaio”. Fine. Occhi spalancati, mani che sbattono sulla coscia, imprecazioni a mezza bocca, braccia allargate. Che intervento è mai questo? E soprattutto, niente notte di capodanno a Oventic? I volti di tante e tanti sono disperati come se avessero appena sentito che l’EZLN chiude i battenti a favore del capitalismo.

Il microfono passa a una donna e poi a un giovane, entrambi delegati del popolo Wixárika presso il CNI, che raccontano della ruberia di terre nelle aree del Jalisco, Nayarit e Durango, della profanazione dei luoghi sacri della loro cosmogonia, della privatizzazione delle fonti d’acqua. Il tono del giovane è posato, cadenzato, circolare. Gli occhi che fissano un punto imprecisato della platea per guardare tutte e tutti. Si passa dalle privazioni alla resistenza, citando i comitati in difesa della vita e dell’acqua autorganizzati in 7 municipi nel territorio sacro e cerimoniale di Wirikuta a San Luis Potosí. L’intervento si chiude e il pubblico si disperde.

Nella giornata che precede il ventitreesimo anniversario dell’insurrezione del 1994, quando l’EZLN si manifestò al mondo di sopra, quando sulla bocca di chiunque c’è la proposta che vuole far tremare nei suoi centri la terra sulla, l’EZLN sceglie di non parlare e di lasciare la parola al CNI: questo è accaduto.

Un gesto simbolico come tanti altri, forte nella sua semplicità. Nonostante i passamontagna siano il simbolo di un’identità collettiva che superi ogni protagonismo e idolatria, è inutile nascondere che l’immaginario zapatista sia sempre stato straripante, così come il carisma del defunto Subcomandante Marcos, ora Galeano. Chiunque, in quel pomeriggio dicembre, non voleva altro che sentire un commento dell’EZLN sulla proposta lanciata al CNI, e chi se ne frega del CNI stesso: i meccanismi della proiezione di sé sul reale soggetto della discussione sono spesso difficili da scalfire. Quindi parola al CNI. È il CNI il soggetto della discussione, l’entità che ha ereditato la proposta dell’EZLN e la sta dibattendo al suo interno da giorni. In questa scelta si possono ritrovare tante delle considerazioni emerse dai comunicati dell’EZLN in merito al suo ruolo e a quello del CNI.

Mai come tra ottobre 2016 e gennaio 2017 l’EZLN ha fatto pubblica ammenda dei limiti della sua lotta, e l’argomento in questione non era dei più marginali, anzi: la lotta armata e la sua capacità inclusiva. Senza mettere in discussione le ragioni che hanno portato al levantamiento del 1994, riconosciute giuste dal CNI e da chiunque non appartenga al mondo di sopra, le parole di Moisés e Galeano descrivono una realtà sempre più circoscritta all’EZLN e a questo solo. Nonostante la solidarietà della Sexta e La Otra Campaña del 2006, all’interno della geografia messicana l’immaginario dell’EZLN sta esaurendo la sua capacità di fare breccia. L’idra neoliberista ha iniziato a colpire anche quei soggetti individuali e collettivi che pensavano di esserne al riparo, e le orecchie per ascoltare gli incubi altrui sono venute meno. A ciò si aggiunge la costante repressione armata dello Stato – e dallo Stato – verso i municipi autonomi zapatisti e il suo contraltare disarmato fatto di consumismo e richiami urbani, capace di porre il seme del dubbio nelle giovani basi di appoggio zapatiste, interrompendo così sul più bello un ricambio generazionale che altrimenti è sempre in potenza. La congiuntura storico-politica ha manifestato le qualità e i limiti dell’odierno percorso politico zapatista: l’autonomia si rafforza ma non riesce ad estendersi. Ed è qui che subentra il CNI. Forte di un percorso ventennale, stimolato ai suoi albori dallo stesso EZLN grazie al lavoro della Comandanta Ramona, il CNI è una realtà ormai affermata nei 43 popoli, nazioni, etnie che rappresenta. Non sono rappresentati tutti i popoli, nazioni ed etnie della geografia messicana, ma sul piano politico non c’è niente di paragonabile per ampiezza e capacità di farsi carico delle istanze indigene, le più esposte alla voracità dell’idra neoliberista, costrette a subire contemporaneamente tutti gli incubi di cui questa è capace, per questa ragione naturalmente affine a tutto quel mondo non-indigeno sommerso che si ribella e resiste all’idra.

Ora che il CNI ha fatto sua la proposta lanciata dall’EZLN, non rimane altro che nominare un Consiglio Indigeno di Governo che nomini a sua volta una portavoce indigena, candidata indipendente alla elezioni del 2018. Se il ruolo del CNI è ancora da scoprire, quello dell’EZLN è di più facile intuizione, ovvero la presa in carico di quello che il CNI a sua volta non può fare: proteggerne le comunità e facilitare il processo di estensione delle autonomie territoriali durante la guerra che verrà.

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L’arte della guerra, la scienza della guerra

Sempre 30 dicembre 2017, stessa sessione di chiusura della prima parte del ConCiencias. La parola è del giovane delegato del popolo Wixárika. Il tono del giovane è sempre posato, cadenzato, circolare. Gli occhi continuano a fissare un punto imprecisato della platea per guardare tutte e tutti. Dal presente si passa al futuro in relazione a un contesto sempre più asfissiante. Nell’auditorio e nell’aula 2 l’aria è ferma, un silenzio che fa presenza a sé. Al termine dell’intervento, tante e tanti dei presenti hanno confermato di aver condiviso la stessa impressione: distaccata determinazione. La scelta di chi ha deciso di morire per vivere.

Già negli anni ’70 la parola “terrorismo” era divenuta un tappeto sotto il quale spazzare anche le forme di resistenza al colonialismo, al capitalismo e allo Stato. Dopo il 2001, la cosiddetta “guerra al terrore” ha posto gli ultimi chiodi sulla bara. La fragilità della contemporaneità, dove il mondo di sopra non accenna a sollevare il suo piede dal mondo di sotto, porta in grembo nuove schiere di martiri che non hanno più niente da perdere. Nell’estetica di quel discorso c’era tutta la geneologia del martirio.

Lo Stato messicano farà di tutto per accelerare questo processo, ed già pronto a strumentalizzare ogni resistenza armata per schiacciare in maniera ancora più forte il mondo di sotto, per privarlo definitivamente di ogni slancio vitale. L’EZLN trova il suo ruolo proprio in questa congiuntura. Nonostante la svolta civile attuata con con i Caracoles e le Giunte di Buon Governo, l’EZLN rimane per l’appunto un esercito e la cornice rimane quella di una guerra. In due occasioni la cornice è stata evidenziata dalla comandancia: durante l’apertura del ConCiencias e il 1 gennaio 2017 a Oventic, entrambe con simboli e risultati diversi. Durante la sessione di apertura del ConCiencias, la comandancia dell’EZLN ha affermato la necessità delle scienze e delle arti per il rafforzamento dell’autonomia zapatista; uno scambio di battute tra il Subcomandante Moisés e il Subcomandante Galeano ne ha descritto le specifiche: “l’arte della guerra, la scienza della guerra”. Pochi giorno dopo, in seguito alla restituzione pubblica della proposta a Oventic, ha trovato spazio una coreografia che voleva essere esercitazione e parata militare. Se lo scambio di battute tra Moisés e Galeano era stato efficace nella sua ironia, la coreografia del 1 gennaio può essere descritta come un triste teatrino a uso e consumo dei presenti. C’era davvero l’urgenza di questa espressione muscolare e macho? Per di più dopo l’inaugurazione di un percorso non-armato? Non si mette in dubbio che, al possibile fallimento della proposta civile, possa trovare spazio un altro levantamiento armato, ma se il simbolismo è una chiave di lettura, allora la chiave di lettura di questo simbolo è la debolezza. Nonostante questo passaggio a vuoto, lo stato di guerra in Messico è evidente, e l’EZLN può difendere il CNI con molteplici strumenti – anche armati -, può far ricadere su di sé la responsabilità di ogni possibile resistenza armata e, in ultimo, può estendere ad altri gruppi l’esperienza dialettica e operativa maturata in questi 23 anni, anche nell’ottica di evitare le strumentalizzazioni da parte dei media mainstream dello Stato.

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Il processo è tutto: rappresentanza elettorale e autonomie

In questo contesto di guerra, la sfida civile che l’EZLN ha posto al CNI sarà il punto nodale degli ultimi mesi, e quella sulla quale si è consumato gran parte del dibattito nelle ultime settimane, ovvero la questione della rappresentanza elettorale. A questo proposito, è bene precisare che l’approccio dell’EZLN al voto è sempre stato politico e mai ideologico. Cosa significa?

L’EZLN ha sempre affermato di non voler prendere il potere, e la proposta fatta al CNI si inserisce in questa presa di posizione. La proposta nasce in seno all’EZLN ma è stata rimessa nelle mani del CNI. Quindi il CNI può prendere il potere? Siamo nel terreno della fiducia e della scommessa. Nonostante l’autoritarismo insito nella rappresentanza elettorale e nella democrazia rappresentativa, l’EZLN ha alle spalle un progetto politico genuinamente altro rispetto allo Stato, e il CNI ha in potenza una conflittualità fortissima con ogni apparato istituzionale. Considerazione rafforzata dalle parole pronunciate il 1 gennaio dallo stesso CNI, affermando la volontà di far tremare nei suoi centri la terra. In quel momento il CNI ha fatto suoi i sette principi zapatisti del “Comandare obbedendo”, riconoscendosi in maniera definitiva nel progetto politico inaugurato dall’EZLN nel 1994, ovvero la creazione di autonomie territoriali che sappiano porsi in maniera conflittuale con lo Stato ed essere altre rispetto a questo. Nonostante esistano già comunità afferenti al CNI che abbiano maturato pratiche autonome, poche lo fanno in maniera organica come avviene nei municipi autonomi zapatisti. La sfida civile si sposta quindi dalla raccolta delle firme necessarie per l’iscrizione alla competizione elettorale alla capacità del CNI di essere portatore e moltiplicatore di percorsi territoriali autonomi.

Come questo debba avvenire non è ancora dato saperlo, ed è questa mancanza ad aver alimentato tanta speculazione sulla proposta. L’EZLN e il CNI non vogliono prendere il potere ma utilizzare gli strumenti del sistema per acuirne i limiti e trasformarlo, ben lungi dalle esperienze europee di movimenti sociali con velleità politiche istituzionali e che utilizzano gli strumenti del sistema per accedervi, prendere il potere ed esercitarlo in continuità con l’esperienza statale. Quel che è certo è che tra i principali terreni di confronto/scontro vi sarà la relazione tra realtà rurali e realtà urbane, sulla quale l’EZLN ha perso numerosi consensi proprio durante La Otra Campaña del 2006 con l’accusa di “dividere la sinistra”, e senza tralasciare i percorsi politici non sempre efficaci che hanno visto coinvolti i referenti dell’EZLN nelle principali metropoli messicane. Le possibilità di instaurare autonomie territoriali in contesti rurali sono sicuramente maggiori rispetto a quelli urbani – e ancor di più rispetto alle grandi metropoli – dove le teste burocratiche dell’idra arrivano con maggiore facilità. Questo è solo uno degli aspetti di cui si discuterà da ora in poi, ma anche uno dei più rilevanti per le geografie urbane di questa parte di mondo, dove l’EZLN e il CNI continuano a essere fonte di ispirazione per le lotte che vogliono proporre altruità rispetto allo Stato e al Capitale. Si dovrà però aspettare qualche settimana prima di comprendere meglio il processo che porterà la proposta nel resto delle geografie messicane, e come il CNI vuole costruire autonomie nei suoi popoli, nazioni e comunità per poi estenderle agli ambienti non-indigeni. Non rimane che attendere per comprendere se la fiducia posta in questo ennesimo atto di fantasia dell’EZLN e del CNI sia stata ben riposta o se si corromperà lungo le strade messicane.