ROMA

La città vista dal basso

Dall’assemblea contro lo sgombero di Esc e contro l’attacco alla città solidale, uno sguardo prospettico innovativo su Roma.

Assemblea affollata, sudata, attenta, densa, presente a se stessa. Centinaia di persone affollano un martedì straordinario in fondo a via dei Volsci, a ridosso dei capannoni dei marmisti, residuo artigiano di una San Lorenzo che non c’è più.

Al centro della sala, come porta di accesso virtuale a una cartografia plastica, la vicenda di Esc, atelier autogestito minacciato di sgombero, che ha scelto di trasformare l’agguato commissariale e neoliberale in un cantiere aperto di resistenza metropolitana. Una volta entrati e sintonizzati sulle parole dei racconti, emerge l’immagine di una metropoli talmente reale, che resta invisibile soltanto per gli occhi pigri di chi guarda alla politica come affare di Palazzo e non come spazio di lotta e di desiderio.

La prima casella che si accende è quella di Spinaceto, periferia sud sulla via Pontina poco oltre oltre il raccordo anulare, memoria storica dell’autogestione di primo pelo e frontiera sociale degli anni ’90. Quell’Auro e Marco nato sull’onda delle battaglie per l’accoglienza degna dei rom, avamposto dei laboratori digitali e della Rete, luogo di produzione musicale indipendente, motore – tra i tanti – della battaglia campale contro Gianfranco Fini nelle elezioni comunali del 1993. Poi si passa a Roma est, Casal de’ Pazzi, tra Nomentana e Tiburtina, dove “la guerriglia in cima a via Rousseau” per difendere La Torre, nel luglio 1995, diventa la Valle Giulia di una nuova generazione che decide di mollare gli ormeggi e affacciarsi, da pirati, sul proscenio della città. Su quella strada assediata da celerini ed elicotteri nasce la Delibera 26 sugli spazi sociali. E poi Lamaro e Tufello, Garbatella e Ostiense, Centocelle e Prenestino, le scuole e l’università, i quartieri gentrificati e la periferia più estrema.

Un susseguirsi di facce e storie di resistenze, fatica quotidiana, porte sempre aperte e spazi riconsegnati a un uso comune: le scuole e le palestre popolari, musica e teatro fuori mercato, servizi mutualistici e parchi riqualificati, osterie e sportelli di autodifesa del lavoro precario.

Ma se i centri sociali costituiscono l’hardcore di questa città dal basso, non sono da meno associazioni e comitati che hanno definito un nuovo campo di azione sui beni comuni, nell’epoca storica della privatizzazione dei servizi e della distruzione del welfare. A seguire è la volta di un sindaco anomalo del sud che chiama “liberazione” l’occupazione degli spazi abbandonati, di sindacalisti combattivi, amministratori locali, deputati delle sinistre disperse e pentastellati, candidati sindaco in pectore e rappresentanti vari, (questa volta) “costretti” a misurarsi con un ordine del discorso allergico alle tecniche di posizione e alle alchimie: stop alla gestione mercantile del patrimonio pubblico, abolizione della delibera 140, ma anche asili nido, acqua pubblica, diritto all’abitare, accoglienza degna e tutela del lavoro.

Pezzo dopo pezzo, si compone una mappa mutante della città, secondo un intreccio virtuoso tra spazio e tempo, intensità progettuali ed estensioni territoriali, flussi produttivi e forme di vita, volontariato e mutualismo, composizione di classee sviluppo urbano, rendita e cooperazione. Un puzzle, mai definito, che disegna il campo di contesa tra valore di scambio e valore d’uso. Non si tratta di un’espressione corale liscia, omogenea, ma la ricerca di una connessione avanzata, strategica, con la città esclusa, maltrattata, umiliata e saccheggiata dalla violenza del Patto di stabilità, l’esautorazione della politica e degli enti locali, che vorrebbe sancire il definitivo declino e marginalizzazione, nel campo europeo, della periferia italica.

Assemblea per niente scontata, matura nel rapporto con la politica, che tenta di uscire definitivamente da una concezione difensiva dell’autogestione come ammortizzatore sociale ed opzione volontaristica, alla ricerca perenne della tutela della rappresentanza. Un campo largo e plurale, che attorno alle sfide del diritto alla città e dell’organizzazione del lavoro precario potrebbe sperimentare un’inedita politicizzazione dei conflitti sociali, in grado di dare carattere costituente a nuove istituzioni del comune, a nuove pratiche di autogoverno. Il dado è tratto, ma la strada rimane in salita. Lo sgombero della casa occupate di via Prenestina di questa mattina è il messaggio nella bottiglia di Tronca e soci, il segno inequivocabile della fine della mediazione politica nella città commissariata. Non basta resistere, ma si parte da qui.