MONDO

Israele, dopo la vittoria della destra

Israele, i liberal-sionisti di Herzog sconfitti alle elezioni dalla destra di Netanyahu nonostante il supporto, politico ed economico, degli Stati Uniti. Vince la linea discriminatoria e anti-araba del Likud.

In Israele andare alle elezioni e’ una pratica ricorrente in cui difficilmente si vedono nette affermazioni. Alla frammentazione del sistema politico corrisponde una societa’ ancora piu’ ricca di contraddizioni ed incapace di venire a capo alle sue irriducibili divisioni interne. La netta vittoria della destra nelle elezioni fortemente volute dal suo leader significa l’affermazione della paura e del bisogno di sicurezza indotto dalla campagna del regime. Una vittoria ancora piu’ netta se si considera che l’amministrazione Obama si era schierata con forza per far cadere il premier uscente. Appare ora evidente quanto la societa’ israeliana sia impermeabile alle deboli critiche avanzate sino ad ora dagli occidentali, tanto sui massacri contro Gaza quanto sull’espansione degli insediamenti illegali, e quanto queste vadano a battare contro la percezione diffusa tra gli ebrei d’Israele di essere le uniche vittime della storia e con la “sindrome di accerchiamento” tanto agitata dalla destra in questa campagna elettorale.

Hanno perso i liberal-sionisti, che hanno cercato di ripulirsi le mani ancora sporche del sangue di Piombo Fuso, accreditandosi come partito di centro-sinistra e guardando ai giovani che nel 2011 erano scesi in piazza in Israele contro l’austerity. Non sono bastati gli oltre 300 milioni di dollari che gli USA hanno speso per sostenerne la loro campagna elettorale, speranzosi di tornare ad avere un partner dialognte, almeno di facciata, in un momento in cui in Medio Oriente sembrano crollare una dopo l’altra tutte le opzioni di una pax romana a stelle e strisce sull’area.

Hanno vinto i continui appelli agli ebrei sparsi nel mondo a migrare in Israele, l’unico Paese che, secondo la retorica abilmente agitata dal Premier durante la manifestazione di Parigi, e’ in grado di garantirgli sicurezza. Ha vinto la continua istigazione all’odio razziale, quel “morte agli arabi” che appare di continuo sui muri di Gerusalemme ad ogni manifestazione in citta’ contro i palestinesi, rei di essere complici di ogni formazione terroristica esistente. Per la prima volta inoltre per tutta una campagna elettorale un premier si e’ esposto pubblicamente contro la creazione di uno stato palestinese. Netanyahu ha cosi’ mostrato al mondo la cruda natura del sionismo: terra agli ebrei e negazione dei diritti ai non ebrei. Nulla piu’ di questo.

Ottiene un buon risultato la coalizione dei partiti dei palestinesi del ’48. Questa, formatasi per superare la soglia di sbarramento, avra’ probabilmente pero’ breve durata date le enormi differenze ideologiche al suo interno. Per tutti gli altri palestinesi, quelli di Gerusalemme Est, di Gaza, della West Bank e della diaspora, queste elezioni democratiche non significano nulla perche’ per il sionismo semplicemente non esistono, se non come manodopera a basso costo e nemico contro cui unirsi a fondamento dell’identita’ nazionale. Per i palestinesi, d’altronde una vittoria dei liberal-sionisti avrebbe significato ben poco: oltre 20 anni di processo di pace hanno gia’ dimostrato che il sionismo non e’ riformabile dal suo interno e che al contrario e’ necessario un cambiamento radicale del sistema incentrato su giustizia e dignita’, senza diritti di cittadinanza escludenti.

Paradossalmente, per gli attivisti palestinesi l’ennesima vittoria della destra puo’ rafforzare la lotta di smascheramento del sionismo. Puo’ cosi’ continuare a crescere ulteriormente il movimento BDS mondiale e cercare di passare dall’appoggio delle componenti piu’ progressiste dell’opinione pubblica all’embargo dei prodotti israeliani praticato dai governi. I movimenti riuniti attorno al Coordinamento dei Comitati di Resistenza Popolare, che da anni si batte contro la costruzione del muro e delle colonie, si potranno rafforzare perche’ quella che offrono e’ l’unica opzione percorribile per il futuro della Palestina. Ai partiti, dall’FPLP fino ad Hamas, passando per Mahmud Abbas, il compito di sostenere un movimento di resistenza, popolare e determinato, sul modello della Prima Intifada. Se non lo faranno saranno’ anche loro spazzati via dai tumulti di una societa’ che ha nella resistenza l’unica strada per affermare la propria esistenza.

Lo storico israeliano Ilan Pappe, fondatore della “nuova storiografia israeliana”, lo scorso anno dava non piu’ di dieci anni di vita al sionismo. Un nonnulla se si pensa alla storia dell’umanita’, smisurato se immaginiamo a quanti massacri e colpi di coda i palestinesi dovranno ancora subire. A noi il compito di non lasciare soli i palestinesi nella lotta per la giustizia la libertà