ROMA

Esc: non temere il proprio tempo è un problema di spazio

Quando, lo scorso 30 dicembre, il Comune di Roma ci ha recapitato la disposizione di sgombero nei confronti di ESC, l’Atelier Autogestito che da più di undici anni anima di vita, di lotte, di politica il quartiere di San Lorenzo e la città di Roma, la prima reazione è stata: non siamo soli, non ci sentiamo soli.

Non era certo un modo per incoraggiarci, ma una constatazione di estremo realismo politico. Perché la nostra vita – meglio – le molteplici forme di vita che all’interno di ESC hanno trovato un particolare spazio di sperimentazione, sono in primo luogo il frutto di una lotta quotidiana, costante, contro la solitudine.

Ma è anche grazie al nemico che non siamo soli, nella misura in cui la portata dell’attacco amministrativo ha assunto una vastità stupefacente. A rischio di sgombero, infatti, sono circa ottocento realtà in tutta la città, tra loro diversissime per natura, storia, prospettive, ambiti: ma tutte segnate dalla stessa attitudine di praticare ogni giorno l’uso comune degli spazi pubblici, contribuendo a vario titolo a creare quel prezioso patrimonio che fa di Roma la capitale europea dell’autogestione e del mutualismo.

Ancora, non siamo soli perché ESC è un collettivo, ma insieme molto di più di un collettivo. Con l’umiltà che sempre contraddistingue i rivoluzionari, crediamo di essere l’incubatore di un modo altro di pensare e di agire la politica del cambiamento radicale, di praticare mutualismo e solidarietà, di promuovere cultura indipendente. A ESC i migranti trovano assistenza legale e imparano gratuitamente l’italiano; lavoratori autonomi, freelance, intermittenti e precari organizzano nuovi strumenti sindacali e di autotutela (Camere del Lavoro Autonomo e Precario); la Libera Università Metropolitana alimenta il pensiero critico, nazionale e internazionale, con seminari, pubblicazioni, presentazioni di libri; ogni anno L/ivre, la fiera degli editori e dei vignaioli indipendenti, è attraversata da migliaia di persone; i giovani sperimentano nuove tendenze musicali e stili culturali. Di più: l’attitudine a tessere reti, a stabilire connessioni, la pratica della relazione come pratica politica strategica ci è sempre sembrata fondamentale, e tale ci sembra soprattutto oggi, che con orgoglio e commozione osserviamo la gara di appassionata solidarietà che l’appello per la nostra difesa ha avviato.

Difficile definire in maniera compiuta e lineare chi sia il nemico, il responsabile di questo attacco, inedito nella sua violenza e nella sua portata, contro l’intera scena dell’autogestione romana. Di sicuro la giunta Marino aveva fatto il suo inaugurando, in molti ambiti, una stagione di governo neoliberale della città: in quest’ottica, e solo in questa, va letto il dispositivo del bando pubblico come unica forma di gestione di quel patrimonio pubblico che miracolosamente viene sottratto alla svendita immediata. La definizione dei criteri di valutazione non sono mai una scelta tecnica, o neutrale: sono l’esito di rapporti di forza. Da qui, la disastrosa delibera 140 del 2014.

Ma c’è di più: nella costruzione del mostro che è l’odierna amministrazione di Roma, al disegno neoliberale si sono andate via via sommando le faide interne a un partito ormai in via di dissoluzione a livello territoriale e interamente «verticalizzato» attorno alla figura di Renzi. Ecco dunque che entra in gioco un doppio commissariamento, il primo – quello del prefetto di Roma – che avrebbe dovuto «affiancare» Marino; il secondo – quello del prefetto chiamato da Milano – che lo ha, molto più efficacemente, destituito. Da qui in poi l’attacco agli spazi sociali si intensifica, e si dispiega su più livelli: minacce di sgombero, procedimenti amministrativi, accuse spropositate di morosità.

Il nemico si spersonalizza, assume il volto anonimo dell’Amministrazione. Per comprendere le fattezze del mostro dovremmo forse rivolgerci, più che ai raffinati – e talvolta troppo edulcorati – studi sulla governance urbana, al capolavoro di Kafka, Il Castello, cogliendo il lato comico, e non solo quello tragico, della presunta neutralità e imparzialità dell’Amministrazione.

Qualcuno potrà dire che la battaglia per la difesa degli spazi sociali va collocata all’interno di una cornice più ampia, capace di connettere differenti vertenze. Sicuramente questo è vero, e l’assemblea che abbiamo convocato per il 26 gennaio avrà anche questo compito. Ma sarebbe un profondo errore leggere la questione degli spazi sociali come una questione «settoriale», «parziale» o «specifica». L’attacco agli spazi ci parla di un’enorme partita di saccheggio del patrimonio pubblico e dei beni comuni. Il particolare e il generale in questo caso coincidono, sono indistinguibili.

L’attacco agli spazi sociali ci porta così al nocciolo duro del progetto neoliberale. Una nuova accumulazione originaria, un vero e proprio processo di enclosure, di recinzione di ciò che è comune, delle risorse, dei beni e dei servizi comuni, viene annunciata attraverso questo attacco. Ancora più emblematico che ciò accada nell’anno giubilare, e alla luce dell’Enciclica Laudato Si di Bergoglio a difesa dei commons.

Mai come in questo caso la dicotomia pubblico-privato mostra tutta la sua inadeguatezza. La delibera 140 pone proprio questo problema: il patrimonio pubblico viene definito come bene comune, ma le modalità di accesso, gestione e uso del bene vengono definite dall’alto, dall’amministrazione pubblica, concepita non come luogo dove sperimentare spazi di autonomia, di invenzione giuridica e di autogoverno, ma come pura emanazione dell’apparato statale. Come a dire che il patrimonio pubblico è bene comune, ma il suo uso, la sua gestione, devono essere definite da procedure e criteri di valutazione sottratti alla sfera della partecipazione e della decisione democratica.

Al contrario, parlare di uso comune degli spazi comuni significa sganciare l’uso dalla proprietà. Nel caso degli spazi autogestiti, non importa se la proprietà di un bene sia pubblica o privata, importa l’uso che di quel bene si fa. Cogliendo nell’emergenza della difesa di ESC e di tutti gli spazi sociali romani un’occasione, è esattamente a questa altezza che poniamo la nostra sfida, la sfida per il riconoscimento della legittimità dell’uso che facciamo degli spazi che abitiamo, trasformiamo, difendiamo.

*pubblicato su Alfabeta2