EUROPA

Crisi di regime in Gran Bretagna

Il voto per la Brexit e il trambusto politico che è seguito sono solo gli ultimi segnali di un’Europa in crisi.
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Lunedì scorso la sterlina inglese è crollata al livello più basso di scambio con il dollaro degli ultimi 31 anni. Goldman Sachs ha dovuto rivedere le sue previsioni di crescita per la Gran Bretagna dall’1,7% allo 0,5% dopo che duemila e quattrocento miliardi di dollari (2,4 trillioni) sono stati spazzati via dalla borsa. Illustri economisti hanno comparato le turbolenze dei mercati seguite alla Brexit al collasso di Lehman Brothers di settembre 2008.

Mentre non è ancora chiaro come la cancelliera tedesca Angela Merkel punirà i britannici, le élite europee nel frattempo stanno facendo parlare i mercati. Niente di nuovo. Si tratta di un replay di quello che è successo dopo l’OXI in Grecia [il no al referendum, ndr] quasi un anno fa. Tagli di riserve di denaro e fuga di capitali.

Dal momento che la Gran Bretagna non è parte dell’Eurozona i mezzi sono differenti ma il messaggio è lo stesso: se votate nel modo sbagliato vi puniremo! Questi ultimi giorni sono solo l’inizio di un nuovo ciclo di crisi economica che ha travolto la Gran Bretagna negli ultimi 8 anni. Da quando è andato al governo nel 2010, il partito conservatore ha distrutto la sua strada con una crisi politica dopo l’altra: la rivolta contro l’aumento delle tasse universitarie nel 2010, lo scandalo dello spionaggio telefonico, diverse dimissioni di ministri e ultimamente l’indagine riguardo una frode elettorale durante le elezioni generali del 2015. Il referendum sull’UE è stato un cinico tentativo di lasciar decidere al pubblico quale ala del partito conservatore avrebbe continuato a governare la Gran Bretagna nel futuro. Stavolta Cameron non ne è uscito con il naso sanguinante, ma è stato ferito mortalmente. Con un nuovo referendum scozzese all’orizzonte,in Irlanda del Nord e Cameron che rifiuta di attivare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, la crisi interna al partito conservatore si è trasformata in una vera e propria crisi di sistema.

Questa crisi di sistema è la prova che il destino della Gran Bretagna è legato a quello dell’Europa e dell’Unione Europea, che le piaccia o meno. Le stesse dinamiche di ingovernabiità che hanno scosso Portogallo, Grecia e Spagna nelle loro fondamenta si stanno ora dispiegando in Gran Bretagna. Il voto per la Brexit è semplicemente il parafulmine per fare emergere tutte queste contraddizioni nel modo più brutale e nel più breve tempo possibile. Il fatto che 12 ministri ombra del partito laburista si siano dimezzati, che Jeremy Corbin abbia tenuto a bada, almeno per ora, un tentativo di golpe [interno al partito, ndr] e che più di 10.000 persone abbiano manifestato fuori dalla “Camera dei Comuni” (House of Commons) in sua difesa dimostra la misura in cui la politica di Westminster si sia europeizzata sulla scia della crisi.

Il numero preoccupante di attacchi razzisti dopo il voto [durante la campagna] del referendum, con ristoranti turchi e spagnoli che hanno avuto le finestre distrutte e alunni neri e musulmani delle scuole invitati a tornare da dove sono venuti, sono una continuazione del tipo di politica che ha dominato in Gran Bretagna dall’inizio della crisi. Nel 2009, i lavoratori di una raffineria hanno scioperato chiedendo “lavoro britannico ai lavoratori britannici”. Nel 2010, l’euro-fascista British National Party (BNP) ha preso più di 2 milioni di voti alle elezioni generali. Ci sono state innumerevoli manifestazioni dell’estrema destra organizzate dalla islamofobica English Defence League, mentre durante le elezioni generali del 2015 tutti i partiti ripetevano lo stesso dannato ritornello chiedendo maggiore controllo dell’immigrazione e tagli al welfare dei migranti UE.

Il campo liberale ha rapidamente dato la colpa ai chavs [tamarri, ndt] e ai supporter del Leave per l’aumento degli episodi razzisti, è utile ricordare che lo stesso Cameron ha parlato di “frotte” di rifugiati alle porte della Gran Bretagna, rinegoziato l’adesione del paese all’UE sulla base della limitazione dei diritti dei migranti UE ed enfatizzato che l’appartenenza alla UE facilitava il coordinamento contro la minaccia dei terroristi islamici. Dunque, il campo del Leave che si è nascosto dietro l’Union Jack è colpevole quanto tutti gli altri per l’aperto razzismo di questi giorni.

Citare la frase di Mao “grande è il disordine sotto il cielo, la situazione è quindi eccellente”, come alcune persone della sinistra sembra vogliano fare, non afferra il punto. I movimenti sociali e la sinistra più ampia hanno giocato un piccolo ruolo nel dare forma al referendum sull’UE e difficilmente muoveranno le masse verso una posizione contraria al neoliberalismo e favorevole ai migranti nelle prossime settimane. La classe dirigente potrebbe non essere in grado di governare come hanno fatto in passato, ma non sembra esserci nessuna coalizione sociale capace di rimpiazzarla e di cambiare il suo corso disastroso che è responsabile per il disastro in cui la Gran Bretagna si trova.

*Mark Bergfeld è un attivista e ricercatore. Al momento lavora come dottorando alla Queen Mary University di Londra. È stato portavoce dei movimenti studenteschi e dei movimenti contro l’austerity tra il 2010 e il 2012. Questo articolo è una versione abbreviata di un suo intervento per il collettivo Tadamon! di Montreal, del 27 giugno 2016. Twitter: @mdbergfeld

Traduzione dall’inglese a cura di DINAMOpress.

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