ROMA

Cinque cerchi per soffocare Roma

Dopo mezzo secolo, Roma s’immagina di nuovo città olimpica. Lo fa, ora come allora, offrendo il proprio territorio a chi ne vuole estrarre rendita. La mappa degli interventi coincide con “gli affari sospesi”, ma è anche aperta ad integrazioni. Come 50 anni fa l’evento olimpiadi rappresenta l’occasione per utilizzare Roma come riserva di caccia per la rendita.

Quando Roma, per i giochi del 1960, pensò se stessa come città olimpica aveva un bilancio in rosso per 270 miliardi di lire! Un debito pesantissimo dovuto soprattutto al progetto edilizio con cui stava accompagnando l’abitare dell’enorme crescita della popolazione. Nel decennio 1950-1960 Roma è passata da 1,5 milioni di abitanti a 2,2 milioni. Dove metterli?

Si scelse di farlo secondo un modello duale. Assicurare la rendita a chi lottizzava i propri terreni per costruire le case. Caricare dei costi per le urbanizzazioni necessarie le casse comunali. Così, furono bruciati interi brani territoriali di assoluto valore, mutilata pressoché irrimediabilmente la via Appia, mutato per sempre il quadro ambientale intorno cui nei secoli la città si era andata costruendo. Un consumo di suolo esasperato che, a fronte di neppure un decennio in cui la popolazione è cresciuta del 25%, ha visto aumentare il territorio urbanizzato di oltre il 110%!

Come si abitava a Roma alla fine degli anni 50? Decine di migliaia le famiglie costrette ad alloggi di fortuna. Baracche tirate su dappertutto. Addossate alle arcate degli acquedotti romani, fondando ovunque una miriade di “borghetti”, gli agglomerati di casupole senza alcun servizio tirate su con materiali di risulta e lamiere.

La città era attraversata, ma non in tutti i suoi punti, da un trasporto pubblico assolutamente deficitario. Conseguenza: il crescere del trasporto privato che si andava innestando su un reticolo infrastrutturale inadeguato. La mancanza assoluta. Servizi assolutamente carenti. Scuole insufficienti, costrette ai doppi e perfino tripli turni. Aree verdi inesistenti per lo più soggette ad essere inghiottite dagli appetiti degli immobiliaristi. Case tante, ma non per tutti. Servizi pochi e scalcinati per tutti.

La Roma dei sindaci democristiani (Rebecchini, Tupini, Cioccetti) era questa. L’occasione delle Olimpiadi apparve subito ghiotta. Da non perdere. Per continuare a far rendita urbana al riparo di un sogno: quello olimpico. Così lo stanziamento statale della “legge Pella” (dal nome del pluri ministro e Presidente del Consiglio del 1953) pensato per quelle opere strutturali di cui la città avrebbe avuto bisogno, venne “forzato” per rendere in cemento questo sogno. Un sogno accompagnato da una nuova narrazione: quella televisiva.

La Rai, infatti, ancor prima di seguire in diretta tutti gli avvenimenti ha iniziato a costruirli per tempo con i servizi, nel suo telegiornale a canale unico, dedicati al “grande ingegno costruttivo italico”. Il paese segui così passo passo, fotogramma per fotogramma, le architetture aeree dello stadio Flaminio, palpitò ascoltando il rumore delle benne pronte a far uscire l’acqua dal laghetto dell’Eur, si mise a testa in su vedendo le travi della copertura del Palazzetto dello Sport intrecciarsi tra loro come un’onda marina.

Intanto Roma. La città veniva consegnata in modo spietato ai proprietari terrieri e ai nuovi immobiliaristi fissando, fuori da ogni atto riconducibile ad un qualsiasi progetto di pianificazione, gli atti che l’avrebbero segnata per sempre. L’immediato sviluppo a nord ovest al posto del “recupero” della zona est da allora piegata al fenomeno dell’abusivismo; la creazione di un sistema automobilistico ubriaco costruito sull’attraversamento urbano da “nord” (la via Olimpica) e al tempo stesso contraddetto da una penetrazione verso il centro storico da un sistema di raggi stradali; un forte sistema stradale a incoraggiare lo sviluppo edilizio sui terreni “vaticani” a nord ovest e intorno l’Aniene e soprattutto il grande evento dell’aeroporto di Fiumicino e le sue “piste d’oro”. Un esempio da allora preso in prestito per ogni speculazione pubblica intorno ad una nuova opera. Con buona pace del sogno olimpico. Una città consegnata alla rendita immobiliare.

Oggi è Renzi ad entrare in fibrillazione per la fiaccola olimpica. Per noi – dice – “conta vincere”. Non guarda allo stato della città ed al suo debito (13,6 miliardi copyright Silvia Scorzese commissaria al debito capitolino). Tra i soldi da pagare, ironia della sorte, gli espropri fatti per realizzare alcuni interventi “olimpici” del 1960 (copyright ex sindaco Marino). Renzi, forse, guarda con più attenzione alla “nuova mappa per Roma 2024”. Se da Losanna (sede del CIO chiamata a decidere sulle candidature) arriverà il via libera quella data si ravvicinerà davvero molto.

Permetterà la costruzione di una nuova variante urbana, a partire dalle ceneri del modello Roma. Questo attraverso i passaggi illustrati nella “mappa” presentata dal giulivo Montezemolo, Presidente del Comitato Olimpico.

Si parte da una doppia considerazione: avere un’impiantistica sportiva pronta per il 70% e che molti eventi si svolgeranno in strutture “temporanee” dal costo contenuto di 3,2 miliardi di euro, tutti ricoperti dalle entrate che si otterranno dalla vendita dei biglietti. Nella mappa degli interventi (costo complessivo 5,3 miliardi, non proprio low come spacciato, rappresentano oltre un terzo dell’attuale debito della città) non sono preventivati i costi delle infrastrutture. Da mettere nel conto del Comune e dello Stato. In realtà è molto di più di una decisone contabile o di un artificio di un ragioniere avvezzo a giocare tra le righe e le colonne di differenti bilanci.

La mappa sancisce la scelta di replicare lo schema Expo milanese: pensare ad un avvenimento al di là dell’evento stesso. Indifferentemente da quello che accadrà l’importante è pensarlo al di fuori del disegno della città. In un’area da valorizzare e dopo rimettere nel mercato. Non un luogo, esistente o da realizzare legato ad un’ipotesi di sviluppo, ma quale “offerta” da liberare ora, da tenere latente per i futuri investitori, che sapranno cosa farci dopo.

Non è più la città con le proprie funzioni a costruire il territorio, ma è il mercato a trovare le proprie convenienze scegliendo tra le offerte e, in base a queste, a portare le proprie funzioni. Roma deve essere privata del proprio territorio. Come sta accadendo con la consegna alla Cassa Depositi e Prestiti del Patrimonio pubblico, come si vuole che continui.

Per questo il piano olimpico decide di recuperare a costi altissimi veri e propri fossili edilizi, come le cosiddette Vele (il cadavere sportivo a Tor Vergata voluto da Veltroni) che, preventivato al costo di 60 milioni, viene ora resuscitato dal progetto olimpico con 800 milioni (400 quelli fin qui spesi, altrettanti per completarlo). O, ancora, i padiglioni in abbandono della Nuova (sic) Fiera sul Tevere che, seppure rianimati dal voto in zona Cesarini di Marino che copre di cemento la vecchia sede centrale all’Eur per salvare l’Ente Fiera dal fallimento, potrà riprendersi solo trovando una nuova funzione redditizia per quei terreni una volta sbaraccati da quelle incongrue strutture che nel 2024 dovrebbero ospitare… il tennis da tavolo.

Roma ha deciso, infatti, di togliere alla città mettendolo sul mercato il proprio patrimonio immobiliare pubblico e privato. Lo fa con il commissario Tronca accompagnandolo con dosi massicce di consumo di suolo. Il piano olimpico azzanna due vaste aree: Saxa Rubra e Torvergata. Per i terreni a sud ipotizza la localizzazione del Villaggio Olimpico fatto di case da riconvertire, poi, in residenze (perché non pensarle all’interno delle caserme dismesse?). Sull’ansa del Tevere a nord, allarga la struttura della RAI per un media center che, come tutte le manifestazioni del mondo dimostrano, grazie alle nuove tecnologie potrebbe essere ospitato ovunque in spazi già esistenti.

Roma decide di cucinare con i resti di operazioni mai concluse ma che non vuole perdere, per continuare a fare i conti con i “signori della rendita” che alternativamente sono stati accontentati dalle varie stagioni politiche.

Roma con le Olimpiadi si candida al ruolo di advisor per chiunque in futuro voglia investire presentando un’offerta variegata di luoghi “predisposti” a realizzare qualsiasi cosa e soprattutto a permettergli di decidere che fare. Una sorta di catalogo per l’acquisto di spazi senza funzione, ma pronti ad assumere quella che si vuole assegnar loro. Il progetto delle Olimpiadi segna anche visivamente il processo di impedire per sempre che intorno ai luoghi si crei territorio, relazioni, cooperazione. Roma come deserto sociale, dove le case debbono servire solo quale oggetto da usare come volano per l’indebitamento di chi le abita che, sempre più schiacciato dalle forme della crisi economica, sarà costretto a giocarsi la propria abitazione secondo le tempistiche e i paradigmi capestro del debito bancario. Suo e dei propri figli, secondo quanto prevede la recente proposta del mutuo e/o del leasing immobiliare all’interno della legge di stabilità. Una vita dove i tempi di vita saranno scanditi dal debito per abitare una città dove, chi investe, potrà, al riparo della propria rendita finanziaria, decidere di fare o non fare a seconda delle proprie convenienze.

Non è questione da decidere dichiarandosi pro o contro lo spettacolo olimpico, o facendo soltanto il conto dei costi da sostenere e quelli sostenuti da chi le olimpiadi le ha ospitate accelerando anche così la propria bancarotta. Stiamo parlando di saccheggio del territorio, di decisioni prese senza democrazia, di rendita che distrugge l’abitare le nostre città.