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OPINIONI

Vittorio Agnoletto: «Non sospendere i brevetti sui vaccini è un atto di guerra»

India e Sudafrica hanno chiesto da ormai più di anno di mettere in discussione la proprietà intellettuale sui farmaci anti-Covid affinché si possa garantire un accesso equo ai vaccini in tutto il mondo. Ma i paesi europei sono conniventi con Big Pharma

Al summit internazionale del G20 di questo fine settimana a Roma si parlerà anche di accesso ai vaccini per tutti i paesi del mondo. La situazione non è certo rosea: nelle zone ricche del pianeta ci sono dosi in eccesso e in via di scadenza, mentre in contesti come quello africano alcuni stati sono sotto al 5% di popolazione vaccinata. In più, gli accordi stretti fra case farmaceutiche e Commissione Europea ostacolano una ripartizione equa degli antigenici. Proprio per questo, ormai un anno fa, India e Sudafrica hanno presentato una proposta di moratoria per sospendere i brevetti sui farmaci anti-Covid e chiedere maggiore trasparenza sui metodi e sulle ricerche nell’ambito della loro produzione. Abbiamo parlato con Vittorio Agnoletto, fra i promotori della campagna “Nessun profitto sulla pandemia” che fa pressioni su governi e istituzioni europee per accettare la richiesta dei paesi a medio e basso reddito.

Qual è il punto della situazione?

Siamo di fronte a un mese decisivo per il futuro prossimo dell’umanità. Ci sono due importanti scadenze in successione: il G20, in cui i paesi più ricchi del pianeta arriveranno a determinare la loro posizione in merito alla distribuzione dei vaccini, mentre dal 30 novembre al 3 dicembre si svolgerà la riunione interministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio, che in qualche modo rappresenta la “battaglia finale”. In quell’occasione si arriverà per forza di cose a una decisione finale: o i brevetti vengono messi in discussione sulla scorta della moratoria proposta da Sudafrica e India oppure non cambia niente.

È dall’ottobre del 2020 che questa discussione è sul tavolo di tutte le più importanti organizzazioni internazionali e sul tavolo di tutti i governi, compreso il nostro. Perché è esattamente dall’ottobre del 2020 che Sudafrica e India chiedono una fast track, vale a dire un percorso veloce dentro le organizzazioni del commercio per arrivare a dibattere e ad approvare la proposta di moratoria. La situazione non si è sbloccata e adesso arriviamo al tavolo interministeriale col tema all’ordine del giorno ma dopo aver perso un anno.

Quanto conta dunque il summit di questo fine settimana?

Nel G20 si dovrà decidere qual è il comportamento dei paesi più ricchi. Teniamo presente che dentro il g20 ci sono i paesi che si stanno opponendo a questa scelta (ovvero Ue, Gran Bretagna, Norvegia). Quindi le due tappe sono conseguenti l’una all’altra ed è importantissimo quello che avverrà o non avverrà nel corso del vertice all’Eur. Il nostro paese ha una responsabilità enorme perché ha la presidenza del g20 e quindi le eventuali proposte per l’approvazione della moratoria sono in mano al governo italiano e agli sherpa italiani.


Purtroppo, se lasciamo da parte qualche fumosa dichiarazione rilasciata giusto per essere data in pasto all’opinione pubblica grazie all’aiuto di qualche media compiacente, andando al nocciolo della questione notiamo che da parte del nostro governo non emerge nessuna volontà di modificare la propria posizione e tanto meno di contribuire a modificare la posizione del Consiglio Europeo.

Come mai questa reticenza?

Nella vicenda dei vaccini, la Commissione Europea ha delle colpe enormi ma è chiaro che può permettersi di comportarsi così perché i governi che contano di più avvallano la sua posizione. La Commissione non può decidere per conto proprio, quindi la responsabilità di aver fino a ora chiuso la porta a una sospensione dei brevetti è condivisa fra Commissione e governi europei e in particolare con quelli tedesco, francese e italiano. Questo perché da sempre i governi europei sono i massimi alleati di Big Pharma. Ma questa è una storia che va avanti da decine di anni, almeno dall’autunno del 2001 quando ci fu la dichiarazione di Doha. Allora ci fu uno scontro molto acceso col Sudafrica di Mandela, attraverso cui si arrivò alla dichiarazione per cui «la tutela dei brevetti non dovrà mai impedire ai governi di fornire la miglior cura disponibile ai propri cittadini».

Si tratta di un principio che stabilisce la prevalenza del diritto alla salute sugli interessi commerciali. Dal momento in cui quella dichiarazione venne approvata, l’Unione Europea iniziò a mettersi di traverso. Cominciò subito a ostacolarne l’applicazione pratica. Si tratta di qualcosa di cui va tenuto conto in tutta la vicenda dei vaccini: come possono essere giustificati gli accordi presi con le aziende farmaceutiche?

Accordi in larga parte secretati…

Hanno stretto degli accordi che non sono stati resi pubblici, hanno accettato in pratica tutto quello che gli è stato chiesto dalle case farmaceutiche. Tra l’altro, fra Canada, Unione Europea e Stati Uniti, sono stati impiegati almeno 8 miliardi di dollari per finanziare la ricerca sui vaccini. Se prendiamo il caso di AstraZeneca, sappiamo che il 97,2% delle spese sostenute dall’azienda per produrre il suo vaccino derivano da fondi pubblici o da soldi di fondazioni caritatevoli. Nonostante questo, la Commissione Europea ha lasciato i brevetti in mano a istituti che sono completamente privati. Quindi, per riassumere: abbiamo finanziato la ricerca ma abbiamo lasciato alle case farmaceutiche il brevetto, ovvero il profitto. Poi abbiamo acquistato da loro un farmaco che abbiamo contribuito a produrre e infine abbiamo accettato che fossero loro a stabilirne i prezzi che, tra l’altro, non sono stabili. È stato dichiarato che, appena passata la fase pandemica, questi prezzi potrebbero aumentare anche di sette o otto volte.

Non solo: abbiamo pure accettato di inserire nei contratti delle clausole per cui se volessimo donare gratuitamente dei vaccini ai paesi poveri occorre avere un’autorizzazione. Allora, per firmare un contratto di questo tipo è chiaro bisogna essere ubriachi oppure conniventi degli interessi delle azienda farmaceutiche. Non c’è altra opzione. E tutto questo al netto di ciò che non sappiamo per via dei contenuti degli accordi che rimangono secretati: mi chiedo se anche gli accordi con l’Unione Europea contengano delle clausole, che le multinazionali hanno in passato imposto ad alcuni paesi, per cui nel caso di cause collettive devono essere gli stati a pagare, sollevando così l’azienda da ogni responsabilità. Sarebbe la prima volta che capiterebbe in campo sanitario una roba del genere.

Nel frattempo però alcune dosi di vaccino vengono donate ai paesi più poveri…

È inaccettabile. L’elemosina e la carità non possono mai sostituire i diritti. Al massimo possono essere qualcosa di complementare ai diritti, che però devono venire per primi. Il nostro governo e l’Unione Europea si riempiono la bocca di donazioni, che comunque a oggi sono pochissime. In parte, sono stati donati vaccini che erano a un passo dalla scadenza e anche adesso si parla di donare vaccini che scadono a dicembre. Tra l’altro si sta discutendo di donare le dosi di AstraZeneca in eccesso, farmaco che però è stato dimostrato che non va utilizzato con persone giovani e nel sud del mondo l’età media è chiaramente inferiore alla nostra. Insomma, questa non è neanche carità.

È abbastanza scioccante che l’Europa con la sua storia, cultura e con i suoi principi (dei quali si erge a difensore in tutto il mondo) decide di farsi corresponsabile della morte di milioni di persone. Perché è quello che sta succedendo: la guerra non si fa solo con le armi, si fa anche negando i farmaci e negando i vaccini. Non dimentichiamo che Big Pharma – dunque il settore farmaceutico – è al secondo posto a livello mondiale per distribuzione dei dividendi ai propri azionisti, solo dopo l’industria delle armi. C’è quindi un peso enorme di questi settore industriale sulle istituzioni politiche europee, che genera probabilmente anche degli intrecci che rimangono ai più sconosciuti.

Come agirete da qui in avanti?

Il coordinamento europeo “Nessun profitto sulla pandemia” si sta organizzando per una serie di iniziative che costelleranno il mese di novembre in tutto il mondo e in particolare in Europa: movimenti, associazioni e fondazioni hanno gli occhi puntati su di noi, perché siamo noi europei che stiamo bloccando tutto. Cercheremo di spingere insegnanti di medie superiori e università affinché da qui al 30 novembre venga dedicato del tempo a spiegare l’importanza di far arrivare vaccino anche nel sud del mondo.

Qualora non si volessero seguire i principi di solidarietà e giustizia, si tratta di un’azione fondamentale pure sulla base di un “sano egoismo”: se il virus continuerà a diffondersi è molto probabile che si sviluppino varianti maggiormente aggressive, che arriveranno anche da noi e nessuno oggi può dire se i vaccini di cui disporremo saranno efficaci o meno e in che misura. Se non vogliamo tornare indietro e non vogliamo tornare in lockdown dobbiamo rendere i vaccini disponibili per tutti. Il nostro è un obiettivo molto concreto: appoggiare la proposta di India e Sudafrica per una moratoria di tre anni sui brevetti dei vaccini e per consentire la socializzazione delle conoscenze.