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Verso future rivoluzioni di classe?

In occasione della presentazione congiunta di “Operazioni del capitale” di Mezzadra e Neilson e di “Capitalismo 4.0” a cura di Into the Black Box (Bologna, 16 giugno alle 18, Il Giardino del Guasto), ripubblichiamo un estratto tratto dall’articolo di Into the Black Box “Per una critica del capitalismo 4.0” in cui gli autor+ esplorano quali siano le forme di resistenza possibili nel capitalismo 4.0

[…] Il lavoro digitalizzato mette di fronte a un’ecologia complessa in cui l’interazione umano-macchina-ambiente è da intendere come un processo senza un centro predefinito. In questo scenario di industrializzazione dell’umano e di un sistema sempre più macchinico guardiamo alla tecnologia come condensazione dei rapporti di potere sociale (contenente, dunque, sia dominio che forme di cattura della cooperazione). Quali scenari si aprono nel conflitto lavoro/capitale rispetto al capitale fisso? Quali potenziali di liberazione e di dominazione si dischiudono nel divenire-cyborg dell’umano e quali lenti adottare per leggere oggi l’ecologia umano-macchina-ambiente?

Foto di Jaime Wilson da Flickr

A differenza di altre conformazioni macchiniche, il digitale è contraddistinto dalle crescenti capacità razionali e relazionali espresse nella forma degli algoritmi, dell’intelligenza artificiale, dell’Internet of Things rispetto alle meccaniche del capitale fisso, ad esempio, della prima rivoluzione industriale. Le macchine digitali fanno del divenire-cyborg della forza-lavoro una realtà concreta, ben diversa da quel carattere di estraneità/esternità che invece avevano le prime macchine industriali – quei “mostri” che rubavano il lavoro agli artigiani e rispetto ai quali non c’era dialogo possibile (se non quello del sabotaggio), ma solo movimenti standardizzati da eseguire a tempo per farli funzionare. Le odierne macchine digitali si integrano perfettamente con la forza-lavoro, assorbendo, integrando, potenziando le sue capacità. Da un lato, le nostre vite diventano macchiniche, non potendo fare a meno di una serie di supporti che ne rendono possibili le attività quotidiane (pensiamo alle tecnologie radicali di cui parla Greenfield[1]); dall’altro le macchine diventano viventi, si appropriano di una serie di capacità e prerogative che finora erano esercitate dalla forza-lavoro. Le piattaforme, per esempio, più che segnare la fine del lavoro tout-court segnano la fine dei cosiddetti colletti bianchi e delle loro prerogative manageriali e disciplinari.

Oggi sono gli algoritmi a gestire su scala planetaria i processi produttivi e a controllare il corretto comportamento della forza-lavoro.

Allo stesso tempo, le macchine digitali – con la loro capacità linguistica di trasformare ogni oggetto o azione in segni – si pongono in un rapporto di dialogo continuo con l’ambiente circostante. La stessa distinzione fra reale e virtuale perde di senso davanti all’ibridazione degli spazi. Il Gps, le mappe online, le valutazioni dei clienti diventano, per esempio, tutti aspetti integrati, sovrapposti e inscindibili dal tessuto urbano in cui operano le piattaforme. Possiamo parlare di una convergenza di varietà tecnologiche (IoT, big data, realtà virtuale, intelligenza artificiale, cloud, robotica evoluta ecc.) che forma l’esoscheletro che avvolge e penetra le forme sociali del presente (in forme evidentemente differenziali a seconda del contesto geografico): produzione, consumi, socialità, riproduzione. Questi “oggetti” concorrono a formare ambienti che hanno in comune l’incorporamento di istruzioni digitali (algoritmi) e punti di connessione abilitanti il dialogo tra mondo fisico, umani, macchine, ridefinendo logiche organizzative e pratiche individuali e collettive, nel lavoro come nella più generale sfera sociale[2].

Questo sembra dunque essere un campo di battaglia strategico all’interno del quale si collocano le tendenze di sviluppo e rispetto al quale possono prendere forma possibili alternative non piegate sul fronte capitalistico.

Non è certamente compito del presente scritto entrare nel merito di questo discorso, ma vorremmo provare a indicare alcune direzioni che ci paiono essere in movimento. In primo luogo infatti gli ambienti di vita e di lavoro sinora discussi sono altrettanti terreni di contesa, rispetto ai quali si delineano vecchie e nuove strategie di azione e di lotta. Dalle pratiche di boicottaggio all’hacking, per arrivare alla sperimentazione di forme di riappropriazione e condivisione del sapere algoritmico, le tecnologie digitali non si stagliano di fronte alla forza-lavoro come un semplice Moloch da abbattere.

Foto da Flickr

Esistono certamente tattiche di luddismo 4.0 (per esempio all’interno della grande industria di fronte ai processi di automazione che riducono il numero dei posti di lavoro), ma sono i rapporti di potere condensati negli strumenti tecnologici a venir sempre più messi in questione. Un tema emergente nel dibattito politico su tale questione riconduce al cosiddetto socialismo digitale, ossia la possibilità di un utilizzo alternativo delle infrastrutture tecnologiche attraverso un controllo operaio delle stesse, che proietti verso nuove forme di pianificazione e allocazione della ricchezza prodotta in senso egualitario proprio grazie al potenziale tecnologico che esse consentono. A queste due strategie se ne può aggiungere una terza, che al momento è forse possibile considerare più che altro come un immenso campo di ricerca e sperimentazione.

Facciamo riferimento a percorsi e potenzialità che si aprono sul piano delle forme di soggettivazione di tipo antagonista che configurano quella che in via preliminare potremmo definire una “(contro)soggettività algoritmica”3. L’algoritmo, infatti, se considerato non come un semplice artificio matematico o un oggetto autonomo, ma come la configurazione dinamica di forze sociali che lo plasmano, non si definisce come un’astrazione tecnica. Piuttosto, esso emana una soggettività “fisica” ben oltre se stesso, interagendo e mutando di continuo a partire dalle interazioni sociali che costruisce e nelle quali è inserito.

Chiaramente software e codici digitali funzionano oggi principalmente come macchine per aumentare e accumulare il plusvalore, ma ci pare che oltre alle dimensioni del sabotaggio e del “controllo operaio” dell’algoritmo sia necessario considerare anche un’ipotesi contro-algoritmica, appunto di formazione di soggettività algoritmiche di rottura all’interno della metropoli planetaria integrata che sta emergendo. Tutte tracce di ricerca che chiaramente richiedono uno sforzo collettivo di inchiesta sul lavoratore 4.0 e sui conflitti che oggi si producono. Insomma, si tratta evidentemente solo di spunti, per chiudere una trattazione critica sulla “rivoluzione del capitalismo 4.0”, che ci sembrava impossibile terminare senza rovesciarne la prospettiva.

La presentazione di Operazioni del capitale e di Capitalismo 4.0. si terrà a Bologna nel Giardino del Guasto, mercoledì 16 giugno alle ore 18. Clicca qui per sapere di più sull’evento.

[1] A. Greenfield, Tecnologie radicali. Il progetto della vita quotidiana, Torino, Einaudi, 2017.
[2] Vedi M. Pasquinelli, Capitalismo macchinico e plusvalore di rete: note sull’economia politica della macchina di Turing, 2011, http://www.uninomade.org/capitalismo-macchinico/. Ultimo accesso: 25-07-2020.
[3] Chiaramente la prospettiva che qui discutiamo è assolutamente parziale. Ci stiamo infatti concentrando su conflitti che muovono in primo luogo a partire dall’interazione più diretta e ravvicinata con l’apparato macchinico emergente nel 4.0. Per un’analisi più completa dei conflitti di classe emersi nell’ultimo ventennio sarebbe evidentemente necessario tenere in considerazione come minimo anche le lotte che si sono giocate sull’interruzione di grandi progetti per plasmare alla circolazione logistica i territori (si pensi alla questione No Tav o alla Zad in Francia, alle lotte indigene di Standing Rock negli Stati Uniti o a quelle più recenti in Canada), alla dimensione dei movimenti urbani (le insurrezioni del 2011-2013 e il nuovo ciclo apertosi nel 2019 fino all’ondata di maggio-giugno 2020 negli Usa), ai movimenti globali femministi e ambientalisti, alle nuove forme di conflitto emerse ad esempio coi gilet jaunes francesi e in tantissime aree del mondo.

Foto di copertina da Flickr