cult

CULT

Unsane  – L’Io vacillante e i torti reali

Benvenuto anche Unsane di Soderbergh nell’Italia della percezione fasulla. Qui almeno si percepiscono angosce vere: la perdita del mondo e l’identità smarrita, il trauma dello stalking e delle molestie ordinarie…Tutto girato e distorto con un IPhone 7 plus potenziato

La storia è semplice e risaputa (ma con dettagli innovativi). Una donna in carriera, allontanatasi dalla città natale in seguito a una lunga vicenda di stalking, Sawyer Valentini (Claire Foy), non riesca a liberarsi dalle ossessioni conseguenti, finisce in una clinica riabilitativa e vi è internata a forza dopo aver incautamente sottoscritto un modulo in cui ammette fantasie suicidarie. In realtà la direzione amministrativa vuole sfruttare i periodi di ricovero pagati dall’assicurazione, incurante degli effetti terapeutici negativi della procedura segregante e degli psicofarmaci coatti. A complicare la situazione lo stalker (Joshua Leonard) si fa assumere come infermiere – o almeno così crede la donna. E qui ci fermiamo con lo spoiling, rilevando che la trama ricalca un genere non inedito, sia sugli orrori manicomiali che sulle allucinazioni paranoiche.

 

Nel film di Steven Soderbergh, girato con tre IPhone 7 Plus a 4k, rinforzati con un’app di ritocco gestionale e post-produttivo e obbiettivi addizionali (un 18mm, un 60mm e un decisivo grandangolare fisheye), l’apparato principe dell’identità aumentata (il selfie narciso) serve per dipingere la precarietà e lo sgretolamento visivo di ogni identità. Non è solo questione di budget al risparmio ma di democratizzazione virtuale: in realtà nessuno di noi potrebbe girare da solo quel film o un altro, ma ci rendiamo conto delle potenzialità di un mezzo così familiare. Familiare e irraggiungibile in quelle prestazioni, cioè perturbante. Tecnicamente l’IPhone smorza la profondità di campo, si insinua dappertutto, usabile senza danneggiarsi e senza intralciare gli altri, a mano in varie angolature di stanza, in macchina, montato su droni. L’irrealtà uniforme delle sue inquadrature e quel tanto di approssimazione che attenua l’alta fedeltà digitale mette a disagio e trasmette il disagio di una mente disturbata. Proprio perché lo facciamo con la stessa (oddio, non proprio la stessa) tecnica del filmino delle vacanze o del porno casalingo, figuriamoci quando l’avvolgente fisheye si incolla alla blue room imbottita dell’area isolamento o anticipa la corsa della protagonista negli interminabili corridoi male illuminati del nuovo Overlook Hotel. Parlare di un effetto claustrofobico appare riduttivo

Naturalmente lo smartphone diventa protagonista nella sua assenza (viene sequestrato alla povera internata riluttante separandola dalla famiglia e dai colleghi d’ufficio) e nella sua ritrovata presenza – quando Sawyer riesce a utilizzarlo prendendolo in prestito da un altro ricoverato nero (Jay Pharoah) per chiedere aiuto: il comprimario nero è di nuovo il tramite, tutto materiale, della “luccicanza” che in Kubrick era telepatica.

Non è una novità neppure l’uso dell’IPhone per girare un intero film – lo aveva fatto largamente con vari apparati digitali Brian De Palma in Redactede integralmente Sean Baker, l’autore del bellissimo The Florida Project (Un sogno chiamato Florida), per Tangerine (2015), girato con tre IPhone 5s modificati. Diventa però qualcos’altro se lo sperimentatore lo è da lunga data (Sex, lies, and videotapesè del 1989) e nel frattempo ha attraversato tutti i generi e i successi di cassetta (i tre Ocean’s), con lunghe pause e incursioni geniali nelle serie Tv (The Knick, Mosaic). Non disdegnando, per inciso, di tirar fuori sofisticati attori da corpi di modello/a (Channing Tatum in Magic Mike, Andie MacDowell in Sex, lies, and videotapes). Nel nostro film lancia in una vertiginosa carriera drammatica la diligente regina Elizabeth della serie Netflix The Crown, la citata Claire Foy, trasforma Juno Temple nell’aggressiva psicopatica Violet ed è ripagato da Matt Damon con un cameo  di agente Fbi che consiglia la completa astinenza da Facebook per chi vuole sottrarsi allo stalking…

In complesso si tratta di un articolato esperimento di sottrazione e riconfigurazione rispetto alle regole produttive hollywoodiane e al loro standard di confezionamento. Non convincente, forse, fino in fondo e però non avrebbe senso in Soderbergh (e in chi altro?) distinguere fra film “maggiori” e minori”.

Tutta l’originalità sta nella combinazione: smartphone come oggetto di scena e come macchina di ripresa, confini incerti tra follia e rivendicazione di sanità, stalker vero o proiezione immaginaria, pericoli e paranoie, segnali inquietanti che vengono dalla sfera “normale” (le attenzioni più che sospette del capo aziendale alla vigila di una convention a New Orleans, la possessiva premura della madre, Amy Irving, lo schizofrenico appuntamento al buio via Tinder bruscamente interrotto), l’oscillazione di Sawyer fra escalation vittimaria e brusco ritorno di aggressività. Quando l’infermiere-stalker taglia i suoi legami con l’esterno e la rinchiude materialmente nella bolla morbida dell’isolamento nel sottoscala, la vittima va a una resa dei conti violentissima con il persecutore, lo distrugge verbalmente prima di neutralizzarlo temporaneamente con l’uso perverso del corpo della nemica Violet, assetata d’amore.

A differenza dei film di Polanski e a somiglianza dei classici Usa (dalla Fossa dei serpenti al Corridoio della paura) la protagonista non è (del tutto) visionaria, i fatti sono reali, l’infermiere è veramente lo stalker di Boston, i cattivi sono cattivi, sangue e denaro scorrono  (e qui prende consistenza la denuncia sociale contro i meccanismi ospedalieri e assicurativi americani) e tuttavia la protagonista è intimamente lesa dalla stalking, chiusa nella solitudine (da libera prima ancora che da ricoverata) e per reazione estremamente violenta, al punto che lo spettro dello stalker ritorna in ogni uomo, sia per buone ragioni che per mera allucinazione. In questo senso Unsane è davvero, come qualcuno ha scritto, il primo film dell’èra #metoo, con tutte le ambiguità del caso. E del finale.