EUROPA

Uno sciopero in stile Gilets Jaunes: dopo il rond-point, il grande ponte

La Francia si prepara allo sciopero generale del 5 dicembre. L”effetto giallo”, oltre a prolungare lo sciopero per tutto il ponte e potenzialmente fino al ritiro della riforma delle pensioni, investirà il progetto complessivo del governo Macron. Tutti i maggiori settori dell’economia sono mobilitati per la battaglia, più di 250 manifestazioni sono previste in tutto il paese

La giornata di sciopero generale del 5 dicembre si sta già configurando come un successo dal punto di vista delle forze mobilitate. Un numero impressionante di basi sindacali si preparano alla battaglia, tutti i settori combinati, privati e pubblici. Ma l’esperienza recente di tali mobilitazioni – contro la Legge sul lavoro (Loi Travail I e II) nel 2016 e 2017, poi contro il taglio dei “rami secchi” nelle ferrovie e la selezione universitaria nel 2018 – ci incoraggia ad andare oltre le forme tradizionali di movimento sociale. E soprattutto, i Gilets Jaunes hanno attraversato questa fase e ora sembra impossibile tornare al formato classico di alternanza di manifestazioni inquadrate e trattative scadenti.

Ma che aspetto potrebbe avere uno sciopero in stile Gilets Jaunes (una grève gilet-jaunée )? Inanzitutto, sarebbe probabilmente uno sciopero in grado di fuoriuscire dall’agenda tradizionale e aperto a un’ampia gamma di questioni. Uno sciopero che continuerebbe il 6 dicembre, “riconducibile”, per informare le centrali sindacali che non siamo venuti per sfilare. Poi sabato 7 dicembre con i Gilets Jaunes per ricordare a Macron che “siamo qui” e sempre motivati a incalzarlo a casa sua. Domenica 8 dicembre, il collettivo delle madri di Mantois invita a prolungare lo slancio collettivo in nome dell’autodifesa dei quartieri popolari, sempre in prima linea nella repressione. Chi animerà lunedì 9? Martedì 10? E poi? E come?

 

Le pensioni: una questione di vita o di morte

L’annunciata “riforma” delle pensioni è una pura e semplice demolizione di un sistema già malconcio. Dal 1993 prosegue lo smantellamento, con un aumento del numero di trimestri necessari per andare in pensione e una continua diminuzione degli importi. Alla fine, è la vita quotidiana degli anziani che prenderà una bella botta ed è per questo che molti di loro hanno indossato il gilet giallo.

Per inghiottire la pillola neoliberale, ogni argomento è buono. In primo luogo, il governo sostiene che si tratta di una riforma “più egualitaria” perché elimina i buoni regimi pensionistici che alcune professioni avevano ottenuto combattendo. A parte il fatto che i regimi speciali rappresentano solo il 3% delle pensioni, quindi non è qui che si trova il vero problema, né per Macron né tantomeno per noi. Le vere poste in gioco sono questioni di vita e di morte, di buona o cattiva salute, con o senza grana. Oggi, un pensionato privato riceve in media il 75% del suo stipendio. Secondo le valutazioni molto esaurienti del collettivo Nos retraites, la riforma Macron potrebbe portare ad una riduzione del 15-25% di questo tasso, diverse centinaia di euro in meno. Per i ricchi nessun problema, potranno pagarsi le pensioni con le pensioni integrative private. La riforma andrà perfino a beneficio dei più ricchi, quelli che guadagnano più di 120.000 euro all’anno, poiché si prevede che i loro contributi – scandaloso! – scenderanno rispetto agli attuali livelli.

Un grande argomento rilanciato più e più volte su tutti i canali TV, semplice come una torta: «Quando si invecchia più a lungo, bisogna contribuire più a lungo». Tranne per il fatto che non si invecchia tutti allo stesso modo e che le disuguaglianze sono enormi: l’aspettativa di vita sana di un dirigente è di 10 anni più lunga di quella di un lavoratore. In altre parole: i proletari finanziano indirettamente il pensionamento di molti dirigenti che si divertono sui campi da golf, mentre gli altri riposano nel cimitero. E infine, se consideriamo l’effetto di tutte le riforme, non abbiamo guadagnato poi così tanto da quando gli anni di lavoro in più stanno aumentando rapidamente come l’aspettativa di vita! Per i nati dopo il 1955, è appena un anno di pensionamento guadagnato alla fine, quindi non molto considerando quello che ci hanno fatto passare sul lavoro. Inoltre, il “pensionamento a punti” implica che il livello del punto (e quindi il livello di pensionamento) è permanentemente rinegoziabile. Non sapremo più nemmeno più cosa aspettarci e la minima “crisi economica”, reale o inventata, potrebbe servire da pretesto per impoverire i futuri pensionati.

A questa riforma deve esserne associata un’altra: quella dell’indennità di disoccupazione, che il governo ha introdotto in ottobre. Il principio è lo stesso che per le pensioni: per guadagnare di meno bisogna lavorare di più. E le riforme addirittura si sommeranno: i/le disoccupat* saranno esclus* più rapidamente e contribuiranno meno, quindi con una doppia sanzione. Ciò che emerge da tutto questo non è solo un peggioramento delle nostre condizioni di vita, ma anche un forte peggioramento del sistema di disciplinamento che ci spinge a lavorare tutto il tempo e ad accettare lavori logoranti per poter mangiare. Lavori logoranti che alla fine ti fanno morire più velocemente… un cerchio infernale.

 

In definitiva, le riforme delle pensioni e della disoccupazione fanno parte della strategia del governo di “capitalizzazione” delle istituzioni del welfare e della riproduzione sociale. Questo è l’unico mandato imperativo che Macron rispetta fedelmente: quello del progetto neoliberale su scala europea.

 

Ecco perché nessuna trattativa su contenuti particolari della riforma può essere accettata, vista la portata dell’attacco e soprattutto alla luce di un anno di lotta senza precedenti, duro, entusiasmante e gioioso, da parte dei Gilets Jaunes. Come abbiamo visto dal 17 novembre 2018, tutte le risposte alla rivolta sono state date dal governo in linea con il suo progetto politico, senza cambiare rotta. Senza rimettere in discussione i fondamenti della sua visione del mondo sempre più individualistica, sempre più autoritaria, sempre più distruttiva in termini di relazioni umane, ma anche in termini di relazioni tra la società, la natura e gli altri esseri viventi. E amplificando, Atto dopo Atto, una repressione feroce che segnerà a lungo la coscienza collettiva. La fraternità, la solidarietà, la costruzione della vita in comune, la lotta per un mondo migliore: questi sono i veri nemici del governo. Queste sono le nostre risorse più preziose, i nostri punti di forza nel costruire uno sciopero storico.

 

 

L’effetto giallo: passaggio all’attacco, creatività e riproduzione

Dalla scorsa primavera, ci sono già stati molti segnali di un “effetto giallo” nelle mobilitazioni sociali, femministe ed ecologiche, delle scuole medie e superiori. Dobbiamo solo guardare indietro a un periodo molto recente per valutarlo dal punto di vista sindacale. A Châtillon, i/le ferrovier* hanno costruito una lotta vittoriosa contro la riorganizzazione dei loro servizi, senza dare preavviso, a livello locale, sulla base di assemblee generali e rimanendo fuori dal controllo delle centrali sindacali. A metà ottobre, i vigili del fuoco sono andati ben oltre la manifestazione tradizionale, scavalcando completamente il dispositivo poliziesco che cercava di controllare la loro rabbia. Più recentemente, i lavoratori specializzati nelle costruzioni nel pubblico hanno intrapreso azioni per bloccare le raffinerie e contestare gli aumenti di prezzo che dovrebbero subire. Anche nel settore ospedaliero la mobilitazione ha assunto una grande portata e lo slancio è riuscito a superare i consueti confini tra i servizi che troppo spesso limitano le lotte degli operatori sanitari.

Sul versante universitario, l’immolazione di uno studente di Lione ha provocato un importante risveglio e ha orientato le parole d’ordine verso il tema della precarietà studentesca. In varie assemblee generali, gli interventi hanno evidenziato la durezza delle condizioni di vita e l’evidente accostamento alle parole dei Gilets Jaunes ascoltate nell’ultimo anno. Le azioni condotte dagli studenti, come le autoriduzioni nelle mense universitarie, ricordano molto ciò che i Gilets Jaunes hanno realizzato con i pedaggi gratuiti. In questa forma, le mobilitazioni studentesche attaccano il campo della riproduzione, sollevano la questione del reddito e danno la possibilità di aprirsi a un movimento sociale che non resta chiuso nelle facoltà ma è aperto e globale. Il movimento vittorioso del CPE (Contratto di primo impiego), con la sua proliferazione di iniziative e le sue manifestazioni di massa non è così lontano e se ne possono certamente trarre spunti di riflessione.

Anche nelle scuole superiori è in corso una dinamica offensiva, come dimostra il livello di repressione degli studenti di Massy o Bordeaux, i cui tentativi di blocco sono stati soffocati sotto i gas lacrimogeni, LBD (lancia pallottole di caucciù) e granate di désencerclement il 25 e 26 novembre. Fin dalle prime settimane della rivolta gialla, nel dicembre 2018, i/le liceali dei quartieri popolari avevano già dimostrato la loro disponibilità a partecipare attivamente con azioni offensive davanti alle loro scuole superiori. La repressione che ne è seguita ha segnato una svolta, con immagini di adolescenti inginocchiati a terra, mani sulla testa, producendo l’effetto di un elettroshock sia sui giovani che sui loro genitori. È proprio per ricordarci la necessità di autodifesa dei quartieri popolari, contro l’oppressione e il razzismo di Stato, che questa domenica 8 dicembre si svolgerà una grande marcia.

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Ecologia e femminismo: onde impetuose in corso

Dalla ripresa del 2019, le lotte ambientali puntano a uscire da un quadro troppo ristretto che limiterebbe questa questione fondamentale ai falsi negoziati della COP21 e agli altri vertici dell’antidemocrazia, o alla questione dei nostri rubinetti aperti o chiusi mentre ci laviamo i denti. La mobilitazione del 21 settembre e le convergenze che si sono registrate con i Gilets Jaunes – sia nella sostanza che nella forma – e le azioni di blocco della città, dei centri commerciali e dei loro rami logistici, mostrano chiaramente che è in corso una dinamica radicale. Questa dinamica rende possibile includere la battaglia per le pensioni in quella ecologica – e viceversa – cosa impossibile da immaginare fino a qualche tempo fa. Il legame d’ora in poi appare chiaro: una riforma che propone di lavorare di più e produrre di più per finanziare la nostra vecchiaia è un rafforzamento del modello produttivistico e delle sue logiche mortificanti. Il movimento ambientalista deve quindi considerare questa mobilitazione come un impegno importante nella costituzione di forze in grado di fermare il rullo compressore del neoliberismo e quindi la distruzione dei viventi. È in questo tipo di articolazione che si giocherà lo sviluppo di contropotere, questione così cruciale per l’ecologia.

Più recentemente, l’ondata femminista del 23 novembre contro la violenza di genere ha rilanciato attraverso la lotta i temi dei movimenti che attualmente attraversano molti paesi del mondo. L’enorme manifestazione e gli slogan creativi emersi fanno appello chiaramente ad un’estensione (della lotta). Lo sciopero del 5 dicembre è stato più volte evocato nei cortei, con l’obiettivo dello sciopero femminista dell’8 marzo, che promette di essere una tappa importante. Riappropriandosi dello strumento dello sciopero, come già fatto altrove, il movimento femminista vuole estendere il quadro della sua azione e portare la lotta anti-patriarcale in tutti gli spazi. A questo proposito, la riforma delle pensioni è un problema importante, poiché le donne stanno già vivendo le diseguaglianze del sistema. Le retribuzioni delle donne in pensione sono attualmente inferiori del 38% rispetto agli uomini, a causa della diseguaglianza salariale, delle interruzioni di carriera e del lavoro a tempo parziale imposto. Il 37% delle donne in pensione percepisce meno di 1000 € di pensione lorda, contro il 15% per gli uomini. Nell’attuale sistema, le diseguaglianze nella precarietà vengono leggermente attenuate prendendo in considerazione i migliori 25 anni, quindi sarà ancora peggio se si tiene conto dell’intera carriera.

 

Sia nei suoi slogan sia nelle sue pratiche di lotta, il movimento contro la riforma delle pensioni deve essere pensato nell’articolazione di tutte queste dimensioni, che insieme formano un programma di attacco globale a Macron e al suo mondo.

 

Da un punto di vista strategico, le pensioni sono una posta in gioco fondamentale tuttavia troppo limitata per innescare una proliferazione all’altezza del momento che stiamo attraversando. Nella continuità dell’effetto giallo, allarghiamo i nostri obiettivi al di là di quelli negoziabili.

 

 

Un orizzonte all’altezza delle nostre intuizioni

 L’immaginario del conflitto sociale è sempre più in debito con la rivolta dei Gilets Jaunes, tanto dal punto di vista delle rivendicazioni quanto da quello delle pratiche di lotta e delle forme di organizzazione. Per quanto riguarda il primo punto, abbiamo imparato oramai da un anno la logica di base del sollevamento, che ora è ripresa e praticata un po’ in tutto il mondo: nessuna rimessa in discussione della distribuzione della ricchezza senza sconvolgimento delle istituzioni politiche dominanti; nessuna giustizia fiscale ed ecologica senza mettere in crisi l’ordine della proprietà. In breve, nessuna rivoluzione sociale senza una rivoluzione democratica. Ciò che qui in Francia significa una cosa molto semplice: per far accadere le cose, bisogna prima far cadere Macron, il suo governo e il mondo che rappresenta. E per farlo cadere, è necessario – in modo sincronizzato – destabilizzare il suo dominio sui territori, bloccare l’economia nel suo intero ciclo (produzione, circolazione, consumo e riproduzione), inventare altre forme di vita e organizzarsi in comune, praticando ogni giorno l’autonomia locale e la democrazia diretta.

Queste intuizioni sono oramai fatte proprie da una composizione sociale che si estende ben oltre quella che è iniziata dal 17 novembre 2018. Chi pensa che i Gilets Jaunes siano solamente una semplice interruzione temporanea dei principi tradizionali del dialogo sociale e delle regole della militanza dovrebbe guardare più attentamente alle rivendicazioni e alle pratiche delle lotte che si stanno diffondendo con velocità selvaggia a tutta la società.

 

Uno sciopero in stile Gilets Jaunes non è un semplice sciopero che si prolunga nel tempo e, nei giorni di manifestazione, va oltre la stessa forma del corteo. Uno sciopero in stile Gilets Jaunes è anche uno sciopero che si estende nello spazio dell’economia e della logistica per influenzare tutte le relazioni sociali e attaccare direttamente il potere costituito.

 

Dal 5 dicembre, la riattivazione della potenza dei ronds-points e le azioni di blocco sparse in tutta la Francia, potrebbero essere una buona leva per rinnovare e rafforzare le forme di scioperi praticate dalle Centrali sindacali. Bisognerà ricominciare sicuramente a cantare, come abbiamo fatto negli ultimi anni, «sciopero, blocco, manif selvaggia». Ma questa volta, con un orizzonte e ambizioni che vanno ben oltre la dialettica fissa tra l’autonomia delle basi sindacali e la burocrazia delle centrali dirigenti, perché un anno di rivolta gialla deve influenzare profondamente ogni pratica di lotta, specialmente quando finalmente arriva la convocazione allo sciopero.

 

Articolo apparso in francese sul sito della Plateforme d’Enquêtes Militantes

Traduzione italiana a cura di DINAMOpress