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ROMA

Una filosofia di trasformazione della vita: conferenza curda a Roma

Sabato 10 Febbraio il Movimento delle donne curde in Europa TJK-E terrà presso l’aula magna del Dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Roma Tre una conferenza dal titolo JIN JIYAN AZADÎ – Una filosofia di trasformazione della vita, insieme a Jineolojî Center, Rete Jin Italia, Comitato italiano di Jineolojî, Non Una di Meno e al Collettivo Transfemminista Marielle di Roma Tre. Intervista a Zilan Diyar, giornalista e attivista del TJK-E

Nel corso della conferenza JIN JIYAN AZADÎ – Una filosofia di trasformazione della vita, le teorie e le pratiche del movimento delle donne curde verranno discusse da attiviste, giornaliste, giuriste e accademiche: un ruolo di primo piano nella discussione sarà riservato al rapporto tra il movimento delle donne curde e il leader curdo Abdullah Ocalan. Non a caso la conferenza si svolgerà a pochi giorni dal 15 febbraio, anniversario della cattura di quest’ultimo nel 1999, tema centrale anche della manifestazione nazionale del 17 febbraio convocata a Roma dalle organizzazioni curde in Italia.

Negli ultimi anni si è molto sentito parlare del motto jin Jiyan Azadî, traducibile in Donna, Vita, Libertà, soprattutto in seguito alle proteste sfociate in una vera e propria rivolta che ha coinvolto tutte le maggiori città iraniane e del Kurdistan dell’est, innescate dalla morte della ventiduenne curda Jina Amini, caduta in coma a seguito di un pestaggio subito dalla polizia morale iraniana. A spiegare l’importanza di questo motto per le donne curde è Zilan Diyar, giornalista e attivista del TJK-E.

La conferenza si intitola Jin Jiyan Azadi. Donna, Vita, libertà. Perché questo motto è così importante per il movimento delle donne curde?

Perché l’identità stessa del movimento delle donne curde è basata su questo slogan. In effetti sarebbe più appropriato considerarlo una filosofia di vita piuttosto che uno slogan. Jin in curdo significa donna. È molto importante definire correttamente il concetto di donna. Perché, secondo le parole di Reber Apo [  Abdullah Ocalan, dal curdo reber: Guida, nda] , la donna è una classe sociale la cui esistenza è stata offuscata da bugie e propaganda. Quando parliamo di donna, intendiamo infatti un’identità sociale, non solo biologica. Nonostante la distruzione causata da cinquemila anni di sistema maschilista, ci sono aspetti della sua identità che mantengono le caratteristiche del periodo della dea madre. In altre parole, la donna è un’identità olistica, completa di ciò che ha perso e guadagnato dal punto di vista biologico, sociale e storico. Con questa conferenza stiamo cercando di raccontare questa identità in tutti i suoi aspetti.

Anche la connessione tra le parole curde jin e jiyan è importante. Osserviamo infatti la presenza delle donne in ogni aspetto della vita. Anche se, secondo la prospettiva occidentale, le donne in Medio Oriente sono viste come estranee alla vita, ma si tratta di una prospettiva incompleta. Al contrario in Medio Oriente ci sono tracce di questa cultura della dea madre ovunque. Possiamo persino Osservare che nella lingua curda tutte le parole hanno radici femminili. Azadî, in fine, rappresenta la ricucitura di questi legami tra le donne e la vita attraverso la lotta e l’organizzazione.

Come donna curda, ho sentito questo slogan migliaia di volte in ogni manifestazione, marcia ed evento a cui ho partecipato. Ma questo non è solo uno slogan.

È una motivazione fondamentale per la ricerca della propria identità e della direzione della propria vita. In queste tre parole si nasconde la volontà di definirsi correttamente, di dare un giusto senso alla vita e di cambiarla. In altre parole, si tratta di una filosofia sviluppata con grandi costi e fatica, che non può essere vittima della cultura popolare.

La seconda sessione richiama chiaramente la situazione di Abdullah Ocalan, perché avete ritenuto importante discutere delle sue condizioni di detenzione in questa occasione?

Questo è uno dei problemi che ci impedisce di essere comprese in modo olistico. Perché il rafforzamento del movimento delle donne curde e la conoscenza e l’esperienza che ha acquisito nella lotta per la libertà sono direttamente collegati all’impegno di Reber Apo. Spiegare correttamente questo legame è innanzitutto un requisito fondamentale del nostro compagnerismo con Reber Apo.

In secondo luogo, non abbiamo notizie di Reber Apo da 35 mesi. Questa è di per sé una valida ragione per lottare. Nessun prigioniero è mai stato tenuto in un isolamento così profondo, senza poter comunicare con la sua famiglia e i suoi avvocati. Attualmente siamo preoccupate per la sua salute e la sua sicurezza. Come donne curde, vogliamo condividere questa profonda preoccupazione del nostro popolo e consideriamo la creazione di una sensibilità contro l’isolamento e la sua eliminazione come un terreno fondamentale di lotta.

Inoltre, Reber Apo ci ha sempre detto «accettatemi come simpatizzante», mentre ci coinvolgeva nella lotta per la libertà. Vorremmo dare una risposta chiara a coloro che considerano Reber Apo, che ha pagato tanto per la libertà delle donne e che ha colto ogni occasione per analizzare la questione della libertà delle donne anche dal carcere di İmralı, come separato dalla nostra lotta. In breve, abbiamo intenzione di spiegare con la massima chiarezza il nostro legame con Reber Apo.

Perché avete deciso di tenere questa conferenza proprio in questo momento e perché proprio a Roma?

Le ragioni sono due. La prima ragione è legata a connessioni simboliche e storiche. Reber Apo è venuto in Italia per cercare una soluzione alla questione curda. All’epoca, l’intera società italiana fu testimone del suo legame con il popolo curdo. Tuttavia, questi sforzi non riuscirono a impedire la cospirazione e la conseguente cattura di Ocalan. Ripartire da qui significa completare una solidarietà incompiuta.

La seconda ragione è strettamente legata alla prima. La solidarietà e il legame dei nostri amici in Italia ci hanno incoraggiato a compiere questo passo. In Italia, da circa 7 anni, il 15 febbraio viene organizzata un’azione di protesta che riscuote grande partecipazione. Queste marce e azioni sono ampiamente sostenute da sindacati, partiti politici, ONG e vari collettivi italiani. Poiché riteniamo che questa partecipazione e sensibilità siano un ottimo punto di partenza e aprano la strada a discussioni più approfondite, abbiamo voluto tenere la conferenza qui. Durante i nostri preparativi, abbiamo constatato che tutti i nostri amici sono molto sensibili a questo tema e posso quindi affermare che abbiamo preso la decisione giusta.

Nella sessione conclusiva si parla di “completare un progetto incompiuto”, quanta strada credi sia stata fatta nel “cammino verso la rivoluzione delle donne” e che prospettive vedi per il completamento di questo progetto?

Nel primo incontro con i suoi avvocati, quando fu fatto prigioniero, Reber Apo disse: «L’unica cosa che mi rende triste è che i miei progetti sulla liberazione delle donne rimangono incompiuti». Il nostro titolo si riferisce a questo. Perché, a prescindere dalle difficoltà che incontreremo, siamo determinate a portare a termine questo progetto incompiuto. Tutti i nostri sforzi sono andati in questa direzione nel corso del quarto di secolo in cui siamo state fisicamente separate dal Reber Apo.

Sarebbe sbagliato raccontare questa situazione solo come una reazione alle sue aspettative. Come donne curde abbiamo capito quanto sia insaziabile il gusto delle opportunità di vita libera e della soggettività femminile in tutti gli ambiti della vita. Grazie al sistema creato da Reber Apo, abbiamo avuto l’opportunità di vivere in aree in cui la dominazione maschile (anche se non del tutto eliminata) è stata limitata. Così, abbiamo assaporato queste condizioni.

Per completare questo progetto, è necessario sfruttare tutte le opportunità disponibili a favore della libertà delle donne. I nostri sforzi sono sempre andati in questa direzione. Abbiamo certamente delle carenze e delle insufficienze. Tuttavia, abbiamo visto quotidianamente quanto sia appropriata e necessaria la determinazione secondo cui «la società non può essere liberata senza la liberazione delle donne» Non comprendere a sufficienza questa determinazione è alla base delle difficoltà che stiamo vivendo. Comprendere correttamente questa determinazione è alla base di ogni successo che abbiamo ottenuto come movimento.

In altre parole, non vediamo la liberazione delle donne come un obiettivo che solo le donne dovrebbero raggiungere. Al contrario, abbiamo visto chiaramente che la soluzione dei problemi sociali e del blocco da essi causato è legato anche alla non corretta comprensione di questa questione. Pertanto, è necessario ampliare le aree che offrono opportunità di libertà alle donne e perpetuare quelle esistenti. Considerando che il dominio maschile si è istituzionalizzato in tutti i settori della vita, abbiamo ancora molta strada da fare.

Per noi percorrere questo cammino è di per sé una rivoluzione. Dal più piccolo al più grande, da uno sviluppo che riguarda l’intera società a una sfida che cambierà la vita di una singola donna, ogni cambiamento è un passo su questo cammino. Tutti sono preziosi e importanti. Camminare su questo sentiero è la vita stessa.

Immagine di copertina di Francesco Martella