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Un laboratorio politico per il XXI secolo

Hans-Jürgen Krahl è un maestro della teoria critica contemporanea. Allievo prediletto di Adorno, tra i leader del movimento studentesco in Germania, nella sua breve vita ha prodotto una serie di scritti teorico-politici che ne fanno un esponente di punta della Scuola di Francoforte. Rispetto alla linea maggiore di questa tradizione – rappresentata da Adorno e Horkheimer e poi riformata e proseguita da Habermas – Krahl traccia però una sorta di linea minore che rompe con l’apocalittica impotente dei primi e con l’algido neo-kantismo del secondo, piantandosi marxianamente nel cuore dei processi produttivi e della prassi rivoluzionaria. In Italia il suo pensiero ha suscitato da subito l’interesse dell’operaismo, che ha fatto di questo anomalo francofortese, come anche di Alfred Sohn-Rethel, un punto di riferimento imprescindibile.

Questo libro, a cinquant’anni dalla scomparsa dell’autore, raccoglie una selezione essenziale dei suoi scritti più importanti – tratti da Konstitution und Klassenkampf –, da tempo non più disponibili in italiano, rendendo così di nuovo accessibile un laboratorio teorico-politico di straordinaria attualità: è proprio in questi ultimi anni, infatti, che le intuizioni e le previsioni di Krahl – dalla fine della separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale alla diffusione di una intellettualità di massa come nuova forza-lavoro, fino al linguaggio e alla vita della mente come risorse immediatamente produttive – si sono dispiegate in tutta la loro complessità, trasformando radicalmente il mondo in cui viviamo. La scelta operata sui testi privilegia ovviamente questi temi. Quello che avete tra le mani è di fatto un piccolo classico del pensiero critico contemporaneo, indispensabile a chiunque intenda non solo interpretare il mondo, ma anche cambiarlo.

 

Il Robespierre di Bockenheim

Krahl nasce il 17 gennaio del 1943 in un piccolo paese della Bassa Sassonia. Proveniente da una famiglia di impiegati commerciali, nel 1961 aderisce alla cdu e alla sua ideologia cristiana e conservatrice. Nel 1963 inizia i suoi studi universitari a Göttingen e qui si consuma anche la sua svolta teorica e politica con l’adesione, nel 1964, alla sds, la Federazione socialista tedesca degli studenti, un’associazione studentesca espulsa dalla spd nel 1961. Nel 1965 si trasferisce all’Università di Francoforte e qui prosegue i suoi studi seguendo i corsi di Adorno e i seminari dei suoi assistenti, Alfred Schmidt e Oskar Negt, Jürgen Habermas, Karl-Heinz Haag. Con Adorno inizia a scrivere la sua dissertazione intitolata Naturgesetz der kapitalistischen Bewegung bei Marx (La legge naturale del movimento di capitale in Marx), confrontandosi direttamente con la teoria critica della Scuola di Francoforte e con la filosofia classica tedesca, e discutendo, da pari a pari, con i suoi professori, che ne riconoscono le doti particolari e le eccezionali capacità intellettuali.

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Ed è qui, a Francoforte, nel giro di pochi mesi e nel vivo delle lotte che iniziano a svilupparsi nelle metropoli occidentali, che Krahl si trasforma, da studente timido e inizialmente incapace di parlare in pubblico, in un brillante oratore politico che i suoi compagni soprannominano il Robespierre di Bockenheim. Nel 1966, insieme a Rudi Dutschke, che vive a Berlino, diventa uno dei portavoce della sds, e da questo momento il suo nome si lega indissolubilmente al Sessantotto tedesco.

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L’intelligenza in lotta

Quasi tutti i testi qui pubblicati sono stati scritti dall’autore in un arco di tempo compreso tra il Congresso di Hannover suindicato e la sua morte improvvisa, e quindi tra il 1968 e il 1970. Krahl perde la vita all’età di 27 anni la sera del 13 febbraio del 1970, in un incidente d’auto su una strada ghiacciata nei pressi del villaggio di Wrexen. Pochi mesi prima, il 6 agosto del 1969 era morto il suo maestro Adorno, lo stesso maestro che, pur riconoscendo le straordinarie capacità del suo allievo, in quello stesso anno aveva chiamato la polizia affinché sgomberasse un’aula dell’Istituto per la ricerca sociale che il 31 gennaio gli studenti avevano deciso di occupare. Vengono arrestati 76 studenti e tra questi anche Krahl. È probabilmente in questo momento, quando si consuma una rottura violenta con il maestro e con tutta una forma di vita ormai al tramonto, che Krahl diventa uno dei rappresentati più significativi di quella seconda generazione minore della Scuola di Francoforte, misconosciuta da Habermas – come ricorda anche Detlev Claussen nel suo Profilo politico-filosofico qui pubblicato come Postfazione – e che segue un percorso alternativo rispetto alla riduzione della teoria critica a progetto accademico.

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Nelle sue Tesi Krahl individua l’avvenuta integrazione del lavoro intellettuale nel processo complessivo di produzione, il che significa che non ha più senso riferirsi politicamente al proletariato industriale classico, visto che – all’interno di un diverso rapporto tra lavoro manuale e intellettuale e di una produzione che si è fatta tendenzialmente immateriale – questo ormai è solo un momento dell’intera classe lavoratrice e non la rappresenta nella sua totalità.

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L’integrazione del lavoro intellettuale nel processo produttivo ha quindi, come sua conseguenza, da un lato l’emergere di una nuova forza-lavoro cognitiva, e dall’altro il tramonto del ceto intellettuale borghese in senso classico, quello nato in epoca moderna dalla separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Questa trasformazione non è però prova di contraddizioni, tanto che «mentre l’intellighenzia tecnica assume forme di coscienza del tutto astoriche, l’intellighenzia umanistica piange la perdita della sua fittizia proprietà della cultura borghese, di cui – pur senza volere ammetterlo – conosce l’irrevocabile tramonto».

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La nuova specie

Cruccio decisivo di Krahl, cruccio del Sessantotto tedesco tutto, è il rapporto tra movimento studentesco e organizzazione politica rivoluzionaria. La tensione critica nei confronti di Lukács, che pure viene ritenuto maestro, va intesa in questo senso. Storia e coscienza di classe, riferimento continuo di Krahl, nel proporre una lettura di Marx attraverso Hegel ha illuminato di luce nuova il capitolo del Capitale dedicato alla merce e al feticismo, indicando nella reificazione il fenomeno decisivo della società capitalistica. Nel 1923, quando pubblica la sua opera giovanile più importante, Lukács non aveva ancora avuto modo di leggere i Manoscritti economico-filosofici, disponili in Russia nel 1927 e in Germania nel 1932, ma il suo affondo attraverso lenti hegeliane sulla nozione di «cosa sensibilmente sovrasensibile», ovvero di merce, aveva già reso possibile uno sguardo nuovo sulla dialettica e sul soggetto rivoluzionari. Da problema meramente gnoseologico, la coscienza diviene campo di battaglia politica. Sempre reificata, ovvero fatta cosa al pari dei rapporti sociali di produzione, è pure punto d’osservazione parziale capace di cogliere la totalità del processo storico. Nulla da spartire con la coscienza individuale e psicologica, la coscienza di classe è «il senso divenuto cosciente della situazione storica della classe». Solo nell’incedere tortuoso e sincopato della rivoluzione proletaria, «eterno ritorno al punto iniziale» e «autocritica permanente», la coscienza conquista la maturità necessaria per accelerare la crisi e orientare la storia. Assumendo che il proletariato non si batte semplicemente contro il nemico di classe, ma anche contro se stesso, contro «gli effetti distruttivi e degradanti del sistema capitalistico sulla sua coscienza di classe».

Fin qui il maestro, e la sua lezione irrinunciabile. Ma il confronto con la proposta organizzativa, dunque col partito inteso come «volontà complessiva cosciente», esibisce gli attriti. L’idea di Krahl è netta: la nuova composizione di classe, segnata dal protagonismo del lavoro tecnico-scientifico, pretende forme di lotta e processi organizzativi inediti. Dietro la questione dello spontaneismo, a più riprese ribadita nelle Tesi, si cela l’emergenza irriducibile della singolarità. Gioco facile, per i partiti del movimento operaio, descrivere il fenomeno studentesco attraverso lo stigma della coscienza piccolo-borghese. Facile quanto sbagliato, sostiene Krahl, perché incapace di fare i conti con la trasformazione radicale del modo di produzione capitalistico, con la moltiplicazione di figure produttive che usano linguaggio e conoscenza per lavorare. Il carattere antiautoritario del movimento studentesco rivela piuttosto il peso sempre più rilevante, nella battaglia politica, delle condotte individuali, delle forme di vita. È l’individuo sociale di cui parla Marx nei Grundrisse, «grande pilastro» della produzione di valore, che irrompe nella lotta di classe, estendendo irreversibilmente la stessa nozione di classe operaia. Fare i conti con la singolarità di ciascuno, integrando lo spontaneismo nei dispositivi organizzativi, non è un cedimento alla coscienza piccolo-borghese e alla sua crisi, ma il passaggio irrinunciabile per essere all’altezza della rinnovata coscienza proletaria.