ROMA

Lisa Capasso

Tdov. Le persone trans* oltre la vittimizzazione

Il Transgender Day Of Visibility (TDOV) è un’occasione per superare la narrazione imperante riguardo le persone trans*, descritte unicamente come sofferenti, intrappolate in corpi sbagliati, afflitte da disforia, bisognose solo di interventi chirurgici e terapie ormonali. Da questa retorica del dolore si può però uscire solamente con uno sguardo di genere, intersezionale e transfemminista lasciando la parola alla comunità T

Nel 2009 Rachel Crandall – Crocker, psicoterapeuta e attivista trans, istituì la Giornata Internazionale della Visibilità Transgender, scegliendo come data il 31 Marzo per essere alla giusta distanza temporale dal TDOR (Transgender Day Of Remembrance, 20 Novembre) e dal Pride Month (Giugno). Partendo dalla sua esperienza di discriminazione come donna trans che si era dichiarata negli anni ’90 e che aveva visto morire tante persone trans* intorno a lei, voleva che almeno per un giorno le persone transgender di tutto il mondo potessero parlare di sé come vive, visibili e possibilmente padrone delle proprie vite. Oggi Crandall – Crocker guida l’associazione americana Transgender Michigan, fondata nel 1997, e quella pazza idea di celebrare l’empowerment della comunità T è arrivata davvero in tutto il mondo, Italia compresa.

Se negli anni passati nel nostro Paese abbiamo parlato per lo più di TDOR, questo 2023 sarà sicuramente ricordato negli annali della storia LGBTQIA+ italiana come quello in cui la comunità transgender – forse proprio perché sotto attacco come non mai – ha deciso di alzare la testa e di onorare le vite perdute rendendo visibile con forza, sfrontato coraggio e completezza la propria esistenza, al di là di una narrazione viziata dallo sguardo pietistico cisgender che ancora fatica ad andare oltre il love is love e i corpi sbagliati.

Un cambio di passo c’era già stato quando nel 2021 il Transgender Day of Remebrance, dedicato al ricordo delle vittime dell’odio transfobico in tutto il mondo, invece di essere celebrato come ogni anno con eventi sparsi nelle singole città divenne una mobilitazione unitaria nazionale: la Trans Freedom March invase a suo modo la Capitale ricordando sì le persone transgender scomparse, ma diventando anche un’occasione per rimettere al centro le vite e le rivendicazioni di una comunità intera che era stata umiliata, insultata e diffamata per due anni nel corso del dibattito riguardo al ddl Zan e alla definizione di identità di genere, inserita nel testo al fine di tutelare anche le persone trans dai crimini di odio. L’applauso infame con cui il Senato accolse l’approvazione della tagliola che rimandava il testo in Commissione Giustizia, di fatto bocciando la possibilità di avere finalmente anche in Italia una legge contro i crimini di odio verso le persone LGBTQIA+ fu la goccia che fece traboccare il vaso e che da allora ha spinto sempre più persone transgender e non binarie a prendere posizione, a essere visibili politicamente e a portare il proprio sguardo di genere e intersezionale sulle discriminazioni e sui diritti mancanti, a raccontarsi anziché essere raccontate.

Oggi che siamo finalmente noi – anche se in ancora poche occasioni, come questa offerta da Dinamo Press – a dire come stanno le cose, possiamo parlare non solo delle discriminazioni che subiamo ma anche di come pensiamo sia possibile superarle. Partendo dai nostri corpi, dal nostro personale (perché «il personale è politico») per arrivare alle vertenze che dobbiamo affrontare sui territori.

Ecco che allora ci riprendiamo prima di tutto i nostri corpi, che non sono sbagliati ma trans* e dei quali rivendichiamo la pienezza sovvertendo stereotipi di genere e binarismo proprio perché essere trans* non è qualcosa che si può racchiudere in una monolitica lista di caratteristiche che decretano la nostra disforia, alla quale sempre più affianchiamo e sovrapponiamo l’euforia di genere riconoscendo che quella disforia per il corpo, che pure esiste e non neghiamo, può e deve essere alleviata rispettando il principio di autodeterminazione, affrancandoci da protocolli cis etero patriarcali che, anche laddove la persona sa cosa vuole per sé – chirurgia e/o terapia ormonale oppure solamente la rettifica anagrafica, magari con il genere X invece che con M o F – impongono di stare o di qua o di là per non scombussolare l’ordine costituito. Parlare di #funeraledella164 (uno degli hashtag lanciato per il TDOV dal Tavolo Autodeterminazione di Genere di Stati Genderali LGBTQIA+ & Disability) è più che mai necessario, oggi, mettendosi a tavolino per scrivere finalmente una Ley Trans anche in Italia.

E mentre affrontiamo quel tema che – vista la nefasta congiuntura politica – è un obiettivo di lungo termine, nel presente poniamo anche altre sfide che riguardano il diritto alla salute, allo studio, al lavoro e all’abitare. Il riconoscimento della carriera alias è uno strumento minimo di tutela per chi studia ma anche per chi lavora, perché poter vivere, affermare il nostro genere reale significa anche salvaguardare la nostra salute mentale e fa sorridere amaramente che ci siano così tante resistenze a utilizzare i giusti pronomi e i nomi di elezione in un Paese che, fino all’altro ieri, ci imponeva il cosiddetto real life test costringendoci a fare coming out e vivere il genere di affermazione ovviamente in maniera stereotipata e binaria, per dimostrare di essere davvero trans.

Oggi che il nostro vero nome lo gridiamo con tutte le forze, quello stesso sistema si arrocca su sé stesso, mettendoci ancora una volta a rischio e inventando pericolose bugie, utilizzando un linguaggio violento che fomenta violenze: l’Italia negli ultimi anni si è sempre atrocemente confermata tra gli Stati Europei con il più alto numero di transcidi, nei quali conteggiamo anche i suicidi dei quali riteniamo responsabile lo Stato Italiano.

La richiesta di inserire la carriera alias nei CCNL è il minimo sindacale in questo momento ed è finalmente una realtà in alcuni contratti recentemente rinnovati, ma non basta perché le nostre esistenze sono ancora invisibilizzate: mancano rilevazioni sulle discriminazioni subite dalle persone trans sui luoghi di lavoro perché le norme anti discriminazioni non ci prevedono, poiché non si va oltre l’orientamento sessuale, e dunque l’identità di genere non è nemmeno tra i criteri del DVR (Documento Valutazione Rischi) cioè il documento che il Datore di Lavoro, ai sensi del D. Lgs. 81/08, il cosiddetto Testo Unico Sicurezza sul Lavoro, deve redigere per valutare tutti i rischi a cui sono soggetti i lavoratori che operano nella sua azienda. Anche da questa mancanza derivano poi le difficoltà per provare di aver subito mobbing, la possibilità di avere i giusti strumenti a livello sindacale per evitare licenziamenti contro i quali si può sperare di aver ragione solo dopo lunghe cause in Tribunale, come accaduto per esempio a Giovanna Cristina Vivinetto, un’insegnante licenziata perché trans e che solo dopo tre lunghi anni ha visto riconosciuta la realtà dei fatti.

Sono solo alcune delle rivendicazioni che porteremo in tutta Italia il 31 Marzo perché il TdoV quest’anno sia un altro spartiacque nella storia della nostra comunità che attraverso diverse iniziative in tante città si racconterà prendendosi le luci della ribalta. Di forte impatto politico saranno sicuramente gli eventi che si svolgeranno a Firenze e a Roma.

In Toscana il Collettivo di Fabbrica GKN metterà di nuovo a disposizione come spazio culturale la fabbrica occupata per il Festival della Letteratura Working Class: alle 20.30 durante l’evento “La Working class è queer” si rinsalderà la convergenza tra il Collettivo e Stati Genderali attraverso il dialogo tra Filo Sottile, autrice del libro “Senza titolo di viaggio” (Alegre, 2021), e Marte Manca, operaio e attivista trans che fa parte del Tavolo Lavoro di SG.

La Capitale invece sarà teatro di ben tre giorni di eventi:

giovedì 30 alle 18.30 a SCUP andrà in scena la performance “Non sono una signora: l’euforia non binaria” cui seguirà una laboratoria;

venerdì 31 dalle 19.30 a ESC Atelier si terrà il Festival della Visibilità Transgender con talk, performance, dj set, banchetti infopoint e servizi dedicati alle persone trans, per una serata totalmente creata e auto gestita da singolә attivistә e associazioni transgender;

e infine sabato 1° Aprile ci sarà il corteo “Protect Trans Youth” con appuntamento alle 14 a Piazzale dell’Esquilino e partenza di questa sorta di Trans Pride alle 15 in direzione Piazza Madonna di Loreto.

Tenetevi liberә  al #TDOV2023! Per questo. Per altro. Per tuttә.

Immagine di copertina di Lisa Capasso