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Una storia di provincia e di eroina

L/ivre 5# Il libro di Vanessa Roghi “Piccola città. Una storia comune di eroina” (Laterza 2018) offre una storia culturale della diffusione dell’eroina in Italia e della costruzione della figura del “drogato”. Il libro sarà presentato venerdì 21 dicembre alle ore 18.00 presso Esc Atelier (via dei Volsci 159, Roma), all’interno di L/ivre. Festival dei vini e dei libri indipendenti

Chat di facebook, 8 giugno 2018. Messaggio da Vanessa Roghi: «Ilenia, senti, ma secondo te è ragionevole pensare che nella rimozione della storiografia militante della questione dell’eroina ci sia la convinzione che i drogati fossero eterodiretti?».

Chat di facebook, 9 giugno 2018. Messaggio da Vanessa Roghi: «Ti va di leggere l’inizio di piccola città?».

 

Faccio mio l’invito di Gaetano Salvemini ad «avvertire i lettori dei pericoli verso i quali porta la nostra parzialità», dichiarando da subito che questa non è una recensione distaccata. È la recensione del libro di una persona amica, alla gestazione del quale ho assistito nel corso degli anni. È la recensione di un libro che vede figurare il mio nome tra i ringraziamenti. È la recensione di un libro bellissimo.

Partiamo da un dato: non esisteva, prima di Piccola città di Vanessa Roghi, una storia culturale dell’eroina in Italia. L’eroina è un rimosso, nella storiografia, nella memoria, ma anche nella cronaca. Di eroina non si parla, o si parla in modo tangente solo se la questione può essere strumentalizzata in qualche modo, sia esso la polemica antidegrado, la richiesta di “sicurezza” (cioè di militarizzazione) o la criminalizzazione dei migranti. Negli ultimi mesi, davanti a due giovanissime donne morte tragicamente – forse uccise – in circostanze associate al consumo di eroina (Pamela Mastropietro a Macerata e Desirée Mariottini a Roma), l’attenzione mediatica si è concentrata più sugli ultimi istanti della loro vita – cioè sulle responsabilità dei migranti che erano con loro – che sui mesi e sugli anni precedenti, quelli in cui due ragazze – come migliaia di altre e di altri – hanno cominciato a farsi.

Di eroina non si parla, dunque, nonostante sia stimato in 300mila il numero di eroinomani in Italia. Non si parla e, infatti, da ben nove anni non viene convocata la Conferenza nazionale sulle droghe che, per legge, andrebbe organizzata ogni tre. Nel frattempo, dal 1990 a oggi, il prezzo dell’eroinain Europa è sceso del 74 per cento. Dal 1° gennaio 2018 a oggi sono morte in Italia oltre 220 persone per overdosi, di cui il 65% per overdose di eroina e un po’ meno del 10% di cocaina: tra esse, sono 13 i morti di età compresa tra i 16 e i 18 anni, di cui 7 per overdose di eroina. Nel 2017 i morti in Italia per overdosi erano stati 197, tra i quali 6 di età compresa tra i 16 e i 18 anni. Dopo un decennio di calo costante, il numero di consumatori di eroina (soprattutto tra i giovani) e quello di morti per overdosi hanno ripreso a crescere, ma non si parli di un “ritorno” dell’eroina: l’eroina non se ne è mai andata.

Piccola città, dunque, rompe in qualche modo un tabù. E lo fa con una formula narrativa ibrida quanto efficace: da una parte ci sono i ricordi personali della Vanessa Roghi figlia di Mauro, che per una parte della sua vita, tra il 1982 e il 1987, è stato un eroinomane; dall’altra, c’è l’analisi della storica Vanessa Roghi del contesto culturale e politico dell’Italia del dopoguerra, in cui sorge il problema droga, e della definizione culturale della figura del “tossicodipendente”, del “drogato”, come deviante, come un «corpo estraneo, che si isola, e quindi da isolare» (p. 32). Soprattutto, nel libro, c’è Grosseto, la «piccola città» di Luciano Bianciardi – il cui insegnamento è ben presente nel libro. Ma anche una «piccola città» – un «bastardo posto» – come quella cantata da Francesco Guccini.

 

 

Piccola città contiene una storia di provincia, ma non per questo una storia marginale o collaterale. In parte perché, come scriveva Bianciardi nel Lavoro culturale, «la provincia è un campo d’osservazione di prim’ordine. I fenomeni, sociali, umani e di costume, che altrove sono dispersi, lontani, spesso alterati, indecifrabili, qui li hai sottomano, compatti, vicini, esatti, reali»: e questo è ancor più vero per Grosseto che, con la sua costa frastagliata ideale per sbarchi e traffici clandestini, divenne fra le prime città d’Italia per consumo d’eroina (p. 164). Ma soprattutto perché Vanessa Roghi, come ripete spesso, ha deciso di fare la storica leggendo Il formaggio e i vermidi Carlo Ginzburg e sa benissimo che anche la microstoria di un mugnaio friulano del ‘500 accusato di eresia può essere un’occasione per affrontare grandi questioni (in quel caso, il rapporto tra cultura ufficiale e cultura popolare). Una storia di provincia può così diventare un “correlativo oggettivo” della storia di tanti, perché in fondo «ogni storia di eroina si assomiglia in qualche modo» (p. 191).

Il racconto è inoltre corale e i capitoli sono intervallati da pagine di Voci: Vanessa Roghi ha ascoltato sua madre Irma, gli amici e le amiche del tempo dei suoi genitori, ma anche i suoi “amici” su facebook, proponendo discussioni pubbliche che ha poi inserito nel volume.

Si parte dunque, almeno simbolicamente, dalla storia di provincia di Mauro Roghi, anche se, scorrendo il libro senza aver letto prima l’articolo scritto da Vanessa Roghi nel maggio 2017 per il sito minimaetmoralia, i suoi contorni si definiscono con nettezza solo nella seconda metà. Ma si parla soprattutto della diffusione dell’eroina in Italia, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, e del contesto in cui ciò è avvenuto, del prima, del dopoguerra, della prima legge sulle tossicodipendenze del 1954 – quella che considera le anfetamine innocue e l’hashish pericoloso quanto l’eroina – e sulle prime inchieste coeve.

Tre sono gli snodi fondamentali per la diffusione dell’eroina in Italia. Il primo è il 1970, anno della falsa notizia sul sequestro di un ingente quantitativo di droga in un barcone sul Tevere utilizzato per feste della borghesia romana. Da allora “la droga”, e in particolare l’eroina, diventa nei media un’emergenza nazionale e inizia una vera e propria campagna contro i consumatori di droga, sempre più identificati nei giovani e, in particolare, nei “capelloni”, cioè nei militanti dei movimenti e della sinistra extraparlamentare. Il consumatore di droghe viene così sempre più guardato attraverso una lente moralistica e criminalizzante, come il portatore di un virus, di una malattia – si parla, non a caso, di «epidemia di droga» – da tenere lontano per non infettare la società.

 

 

Il secondo snodo è il 1975, l’anno del boom dell’eroina in Italia, quando in pochi mesi i consumatori passano da essere poche migliaia a ventimila, e della nuova legge sulle tossicodipendenze. E infine, il terzo, negli anni ’80, quando esplodono i casi di contagio da Hiv e il terrore provocato dall’Aids, mentre in Italia gli eroinomani sono ormai 300mila. È del 1985 la prima morte in Italia di un eroinomane per Aids.

Due sono gli aspetti cruciali, secondo me, di Piccola città. Il primo è il discorso sulla continuità tra il consumo quotidiano e la dipendenza da farmaci e sostanze legali, vendute in farmacia e prescritte dai medici, e l’eroina. Pensiamo alle anfetamine, ai barbiturici (declassati dalla legge del 1975 a sostanza meno pericolosa della cannabis), agli oppiacei (la morfina), agli anti-depressivi, agli psicofarmaci, a benzodiazepine come il Valium. Una serie di sostanzeprescrivibili, a lungo considerate “innocue” e che “abituano” gli organismi e la psiche al consumo di sostanze e oppiacei, aprendo di fatto le porte al consumo di eroina quando si restringono le fonti di approvvigionamento legale. La storia dei farmaci considerati innocui e poi vietati potrebbe sembrare appartenere al passato ma non è così: ad esempio, l’aumento del consumo di eroina negli ultimi venti anni negli Stati Uniti – dove nel 2017 i morti per overdose sono stati più di 72mila – è strettamente legato alla disinvoltura con le quali i medici prescrivono oppiacei per il dolore (primo tra tutti l’Oxycontin), che ha creato una grande massa di dipendenti da oppio. O al numero crescente, anche in Italia, di persone dipendenti dagli psicofarmaci, quello che lo psichiatra Piero Cipriano ha definito «manicomio chimico».

Il secondo aspetto è quello del confutare la “teoria del complotto”, che vede nell’eroina un mezzo dello Stato/della Cia/dei servizi segreti/del capitale per distruggere i Movimenti e negli eroinomani delle vittime del sistema eterodirette dall’alto, appiattendone le storie individuali e le scelte che li hanno condotti alla dipendenza da eroina. Ricordo che già durante i miei anni di università, quando seguivo i suoi corsi e la frequentavo in altri contesti, Vanessa Roghi criticava radicalmente questa interpretazione, considerandola fuorviante e mettendo in luce come l’eroina fosse una droga “democratica”, diffusa tra persone di strati sociali e appartenenze politiche variegati. Piuttosto, anzi, nella scelta di provare l’eroina si trovava il retaggio delle controculture degli anni ’60 e ’70, della loro irrefrenabile pulsione a «sperimentare», che si sommava alla mancata consapevolezza degli effetti di quelle sostanze: «Tanto poi si poteva tornare indietro. Uscirne», si pensava (p. 120). Tuttavia, spiega bene Roghi, anche la consapevolezza non ha fatto calare il consumo, come dimostra la vicenda di Carlo Rivolta, tra i primi giornalisti a parlare dalle colonne di “Repubblica”della diffusione di eroina in Italia negli anni ’70 e poi diventato anch’egli eroinomane. O al fatto che il picco dei morti di overdosi è in Italia è nel 1996.

 

 

Non so quanto di “catartico” o di “terapeutico” ci sia in questo libro. Fare della facile psicologia non è il mio lavoro, ma credo poco. C’è un punto in cui Vanessa Roghi cita una frase cantata da Francesco De Gregori in Le storie di ieri, in cui si dice che «mio padre ha una storia comune, condivisa dalla sua generazione». E in questo mi sembra che Roghi si ponga nella prospettiva non di far i conti con suo padre – che è «quello che veramente ama» – quanto in quella di raccontare la sua generazione. Lo dichiara esplicitamente, scrivendo che «èqui, in questa intersezione temporale, nel passaggio da vizio di pochi a “flagello” per tanti, che inizia la mia storia, che non è proprio la mia ma della generazione da cui sono nata e con la quale continuo a confrontarmi, come storica e come figlia» (p. 45).

Con tale approccio Vanessa Roghi mi sembra porsi in una corrente di produzione letteraria che – dal saggio, al romanzo, alla memoria, al pamphlet, a un ibrido di questi generi – si sta definendo sempre meglio. Penso alle opere di altri due autori legati strettamente alla provincia di Grosseto: soprattutto ad Amianto. Una storia operaia di Alberto Prunetti, ma anche a La più amata di Teresa Ciabatti, che pure non ho letto ancora.

Concludo con una nota personale. Io l’eroina non la conosco. Non l’ho mai provata. Anzi, non ho mai provato alcuna sostanza stupefacente, nonostante io abbia superato il quindicennio di frequentazione di quelli che i “benpensanti” considerano stupidamente “luoghi di perdizione”, cioè occupazioni, centri sociali e concerti punk. Non guardo però con moralismo o biasimo al consumo altrui. Ho una certa familiarità con il consumo altrui di cocaina, che ho visto crescere negli anni intorno a me. Con quello di eroina no. L’eroina è per me quella di Trainspotting e quella di Christiane F. e dei suoi Ragazzi dello zoo di Berlino. Qualcuno intorno a me l’ha provata, ma nessuno tra le persone che frequento afferma di esserne consumatore abituale. Non escludo che qualcuno possa comunque esserlo, ma di eroina – dicevamo – non si parla. Sono forse la persona meno adatta a parlare di questo libro. Ma proprio per questo sono a Vanessa tanto grata di averlo scritto.

 

Le foto sono state prese dal sito di minima&moralia

 

Presentazione

Il libro verrà presentato venerdì  21 dicembre alle ore 18  a Esc Atelier (via dei volsci 159) con l’autrice Vanessa Roghi, Claudio Cippitelli, Ilenia Rossini