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Skam Italia. Storia di un corpo

Mentre su Netflix è arrivata la quinta stagione della serie teen italiana, pubblichiamo un estratto del libro “Vite parallele. Il racconto generazionale della serie televisiva ‘Skam Italia’” (Edizioni Estemporanee, 2022) che si concentra sul personaggio di Sana, tra femminismo e Islam, integrazione e interazioni

La natura del desiderio di Sana è al centro della quarta stagione di Skam Italia. Il suo personaggio è stato in ogni stagione fondamentale, vero e proprio punto di congiunzione tra i ragazzi e le ragazze e, nonostante non fosse specificatamente lei il focus della narrazione, la sua presenza risuonava sempre forte e chiara. Nel corso della serie, Sana ha conservato un’importantissima agency, ossia la capacità di decidere sulle cose del mondo e incidere attraverso le proprie azioni sulla realtà, tanto più quando quest’ultima risultava per una qualche ragione ostile. Il suo corpo è uno spazio di conflitto costante ed è proprio a partire dal corpo che la trasformazione dell’attrice Beatrice Bruschi in Sana ha avuto inizio.

Per l’attrice, non era sufficiente imparare a memoria il copione e andare in scena; come ha sottolineato in alcune interviste, Bruschi ha letto il Corano e si è rivolta a esponenti della comunità musulmana per entrare in contatto con il mondo del personaggio a cui stava per dare vita. In questo aspetto, c‘è molta fedeltà all’impostazione di partenza di Skam: bisogna radicarsi in una specifica realtà per entrare in relazione con essa e poterla rappresentare al meglio, ascoltando le esigenze e le difficoltà di chi la abita. Proprio per questo, Ludovico Bessegato si è avvalso, in fase di sceneggiatura, dell’aiuto di Sumaya Abdel Qader, sociologa, scrittrice e nota esponente della comunità musulmana femminista italiana, che ha supervisionato la sceneggiatura lavorando a stretto contatto non solo con il regista, ma con la stessa Bruschi. Una collaborazione che si è rivelata significativa per la riuscita del personaggio, tanto da indurre l’attrice a vestire i panni di Sana anche nella vita quotidiana, proprio per capire cosa si prova, ad esempio, a uscire di casa con il velo.

Gli avvenimenti della quarta stagione metteranno molto alla prova la durezza e la forza interiore di Sana. Sono tutti all’ultimo anno di liceo, la maturità si avvicina, l’ansia per il futuro comincia a farsi sentire. Le sue amiche – così come lei – sono cresciute molto, vogliono fare esperienze, divertirsi, non c’è più spazio solo per loro cinque nel gruppo. Le ragazze finiscono a poco a poco per dimenticare le esigenze di Sana, che possono sembrare stringenti e complicate per un’adolescente non musulmana, costringendola a chiudersi ancora di più in se stessa.

Sana dice le cose come stanno, anche se spesso non è quello che le sue amiche vorrebbero sentire: è schietta, diretta e senza filtri, tanto da sembrare, a volte, un po’ brusca e aggressiva. Un atteggiamento che si manifesta il più delle volte con Silvia, sicuramente la più ingenua, fragile e “bambina” del gruppo. Durante la prima stagione, Sana aveva escogitato un piano brillante per far sì che Silvia conoscesse Edoardo, senza pensare, però, a come lei si sarebbe intestardita nel cercare di conquistare il ragazzo, che, a differenza di Silvia, non aveva in mente nulla di serio. Sana prova a farla tornare con i piedi per terra, e non solo in riferimento alla sua storia col giovane, la rimprovera perché vorrebbe che ragionasse in maniera più matura e critica, senza lasciarsi trascinare da preconcetti e giudizi a priori, anche rispetto al tema della sua religione. Da un lato, sembra che Sana sia semplicemente irritata dalla mancanza di consapevolezza di Silvia, relazionandosi con lei con sarcasmo acido e pungente; dall’altro, la schiettezza di Sana nei confronti dell’amica è il suo modo, seppur abbastanza brusco e peculiare, di manifestare l’attenzione, o meglio, la cura nei confronti dell’amicizia con Silvia. Cura e dedizione sono due aspetti che definiscono Sana e il suo modo di relazionarsi con le amiche.

Sana è quasi sempre arrabbiata perché crede che nessuno riesca a venirle incontro. Tuttavia, come poi vedremo dal confronto che avrà con Martino, le cose sono sempre molto complesse quando si parla di relazioni. Non è detto che i suoi amici e le sue amiche conoscano a fondo la religione islamica e tutta una serie di regole che Sana rispetta – per sua scelta e non di altri. Sana è sempre sulla difensiva. È perennemente tesa. Non si vuole mettere nei panni di chi non è “come lei” e per questo, come le farà notare Martino, commette non pochi errori. Sana è fedele alla sua religione: fa il Ramadan, prega, porta il velo, non beve, ha intenzione di rimanere vergine fino al matrimonio. In questo senso, Skam Italia riesce perfettamente a raccontare il divario culturale tra lei e le sue amiche, anche quando si troveranno a fare amicizia con altre ragazze della scuola, molto più libere, disinvolte e spregiudicate di loro, ma piene di pregiudizi e antipatie nei confronti di tutto ciò che incarna Sana.

Alle feste, Sana beve gli analcolici, porta sempre il velo, balla con le sue amiche, e prega, anche se si trova in uno stanzino di un seminterrato dove arriva all’improvviso una coppia per fare sesso. Durante una delle prime feste a cui va con le sue amiche, all’inizio della quarta stagione, tra il frastuono delle casse e i ragazzi che danzano e si divertono, Sana chiede dove sia un lavandino e si sposta in un luogo più riparato. I suoni della festa si fanno più ovattati e l’attenzione si sposta esclusivamente su di lei: è il momento della preghiera e la ragazza si passa i polpastrelli intinti nell’acqua sulla fronte e sui polsi, recupera un tappetino e inizia il suo rito. In un certo modo, si può dire sia riuscita a trovare un equilibrio tra le sue due vite.

In lei, però, alberga una duplice pulsione. Da un lato, sente di voler essere un’adolescente musulmana praticante ed è perfettamente convinta della sua scelta. La regia, in questo caso di Ludovico Di Martino, ne evidenzia tutta l’agency, il potere, seguendola con primissimi piani nei suoi riti e nelle sue attività preparatorie, mettendola sempre al centro dell’inquadratura. Dall’altro, però, Sana vorrebbe anche liberarsi di alcune sovrastrutture, di determinate inibizioni che le impediscono di lasciarsi andare all’amore, anche se ciò comporterebbe distaccarsi da quello che prevede la sua religione.

I due mondi che Sana quotidianamente attraversa rischiano di confondersi nel momento in cui suo fratello Rami invita le sue amiche a una festa (S04E1). Le ragazze sono entusiaste, Sana molto meno, ma alla fine accetta. Lì, Eva stringe amicizia con Malik, un amico della famiglia di Sana da cui la giovane è molto attratta. Malik è il primo ragazzo davanti a cui Sana riesce a rilassarsi. Quando i due si incontrano e parlano, il volto perennemente corrugato di Sana si distende in un sorriso calmo e sereno; ascolta quello che Malik ha da dire con la curiosità genuina di chi è realmente interessato a entrare nel mondo dell’altra persona. Tra i due c’è complicità e sintonia. Sana lo spia dall’uscio della porta del soggiorno di casa sua mentre il ragazzo gioca con la realtà virtuale. Ha gli occhi coperti, non può vederla. Sana è sul punto di andare in sala per sgridare suo fratello per il volume troppo alto della televisione, ma alla vista di Malik cambia espressione. Lo guarda divertita, quasi intenerita, gli occhi lucidi e pieni di amore.

È un vero e proprio viaggio all’interno della sua storia personale e culturale quello che Sana compie nel suo ultimo anno di liceo. Il più travagliato e nello stesso tempo più importante di tutti. Nel suo libro Eroine (Edizioni Tlon, 2020), la critica televisiva e scrittrice Marina Pierri definisce Sana una “Cercatrice-Ombra”: l’ombra rappresenta tutto ciò che si fa fatica a portare alla luce per paura delle aspettative e dei giudizi degli altri. Per Sana, c’è l’ombra della madre, che si aspetta vada al campo dei giovani musulmani, che sua figlia sia, quindi, una giovane musulmana perfettamente integrata e consapevole di quello che può fare o non può fare; ma c’è anche l’ombra delle sue amiche, che per un momento hanno desiderato fosse diversa, senza costrizioni, dogmi e regole da cui dipendere. Per Pierri, nella fisionomia del personaggio di Sana, l’ombra funziona a livello sociale. Chi guarda Sana con sospetto la considera altro da sé, perché porta il velo, non fuma, non intende fare l’amore prima del matrimonio, scelte incomprensibili per degli adolescenti. La conseguenza di questa “differenza” è, quindi, la paura, l’essere spaventati da essa, piuttosto che accoglierla.

Il corpo di Sana è lo spazio in cui questi conflitti si consumano. Il tentativo di far collimare l’esigenza di fede dettata dalla religione e dalla cultura di cui si sente parte con il mondo iperconnesso, fluido e disinibito della Generazione Z a cui lei stessa appartiene sfocia spesso in uno stato di agitazione e inquietudine. Tanto più quando si rende conto che, per la maggior parte delle volte, la realtà a cui cerca di conformarsi è sospettosa, non c’è interesse a stabilire un vero contatto con la sua cultura e questa è la ragione per cui Sana è perennemente arrabbiata. Gli sforzi che compie per emergere nella società sono doppi rispetto a quelli dei suoi compagni e delle sue compagne da cui si senta costantemente giudicata.

Sana è una figura difficile, vulnerabile e imperfetta e in Skam Italia emerge in tutta la sua complessità. È uno di quei personaggi invisibili del nostro tempo a cui non viene quasi mai data voce: una giovane musulmana di seconda generazione che deve confrontarsi con una società e una cultura non ancora pronte per lei. Skam Italia enfatizza il valore simbolico del personaggio: pur essendo abbastanza circoscritta, la sua storia ha il potere di arrivare contemporaneamente a centinaia di migliaia di giovani, provocando coinvolgimento emotivo e identificazione. Il racconto e la trattazione non ordinaria, immediata e diretta di temi e situazioni specifiche dell’adolescenza sono i caratteri attraverso cui oggi Skam si è distinto nel panorama della serialità teen. La scrittura dei personaggi e delle trame è attenta a non lasciare mai niente in sospeso e si colloca nel fulcro degli avvenimenti. Insieme al testo visivo è dunque in grado ditraslare questioni dense di implicazioni politiche e sociali come l’integrazione, la religione e i gap culturali in un linguaggio universale.

Hijab e femminismo

Le donne devono sempre confrontarsi con lo sguardo che viene rivolto loro, devono guardare sé stesse quasi fossero continuamente accompagnate dalla propria immagine. Secondo il critico d’arte e scrittore inglese John Berger, l’aspetto con cui una donna si presenta, principalmente davanti a un uomo, determina il modo in cui quest’ultimo la tratterà. L’occhio maschile, infatti, esplora e analizza i corpi femminili emettendo giudizi insindacabili su di essi. Questo vale – anche e soprattutto – per la donna musulmana, che di solito è coperta dal velo: il burqa e l’immagine della donna “velata” sono l’esemplificazione dell’idea che il nostro modo di percepire le cose è sempre filtrato e condizionato da una cultura, da un modo preordinato di vedere e, quindi, da dispositivi e protocolli di visione determinati da un preciso momento storico e culturale. In altre parole, diamo per scontato che la figura della donna coperta dal velo sia disorientante, intendendo come universale e assoluto il nostro parziale punto di vista.

Sana deve fare i conti tutti i giorni con l’immagine distorta e superficiale che gli altri hanno di lei. A scuola, sull’autobus, alle feste con le compagne e i compagni, quasi mai le è concesso di allentare la tensione, dal momento che si tratta di situazioni sociali in cui è il suo corpo a venire ispezionato dallo sguardo altrui in un modo che la rende inevitabilmente più suscettibile, agitata, sempre pronta a scattare per difendersi. L’atteggiamento di Sana è, da un lato, più che dovuto e necessario, dovendo spesso confrontarsi con persone che non hanno intenzione di esplorare la differenza, ciò che è altro da sé, tendendo, di conseguenza, al disprezzo; dall’altro, però, come emerge dalla brillante conversazione che ha con Martino, ci sono dei momenti in cui le sue reazioni ad alcune domande o a dei dubbi esposti dai suoi amici e dalle sue amiche risultano eccessive.

Non è un bel momento per Sana (S04E5). I genitori vogliono che vada al campo dei giovani musulmani, sospetta che Malik abbia una relazione con Eva e, come se non bastasse, le UFB hanno inglobato le sue amiche, lasciandola sola. Le ragazze, però, provano a cercarla, ma inutilmente; Sana non risponde a nessuno, non va più a Mykonos e non vuole più avere nulla a che fare con loro, definendole razziste. Dopo l’ennesima lite con il fratello, va da Filippo, e lì trova anche Martino, malinconico e triste per la relazione finita con Niccolò. Guardano un film horror e mangiano pizza, finché Martino non inserisce nella conversazione i problemi che Sana sta incontrando con le ragazze. Sana è abbastanza infastidita e non intende parlarne. Martino sostiene che è proprio questa sua estrema suscettibilità ad aver causato l’allontanamento delle sue amiche. Sana comincia ad ascoltarlo.

Nonostante lei abbia tutto il diritto di arrabbiarsi e infuriarsi con la società per il modo in cui è costretta a vivere, sempre all’erta, preoccupata che da un momento all’altro per la strada qualcuno possa offenderla o farle qualcosa di male, non è così scontato che anche gli altri sappiano come lei si sente realmente. Ad esempio, molte volte Martino non sa come comportarsi con lei per paura di offenderla, non sa se poter baciare Niccolò davanti a lei, se salutarla con un bacio sulla guancia può urtare la sua sensibilità, proprio perché a lui come ai suoi amici non viene detto né insegnato nulla a riguardo. Devono provvedere a informarsi da soli, aiutandosi vicendevolmente in un percorso di crescita collettivo che non deve essere unilaterale ma abitato da entrambe le parti.

Per convincere l’amica, Martino fa proprio il suo esempio: un ragazzo gay agli albori della scoperta della propria identità di genere e orientamento sessuale che deve quotidianamente avere a che fare con i dubbi e le perplessità delle altre persone, che si trova a rispondere alle domande sciocche che gli vengono poste anche dai suoi amici, come nel caso di Luchino, che non riesce a raccapezzarsi tra il significato di omosessualità e transessualità. «Se vogliamo far capire le nostre differenze – le dice Martino – dobbiamo dare risposte intelligenti alle loro domande stupide». Il ragazzo vuole dire a Sana che dovrebbe provare a liberarsi dalle catene in cui si è stretta lei stessa, abbattendo quei muri che ha innalzato per difendersi dagli altri. Soltanto così sarebbe riuscita ad accompagnare in un percorso di maturazione e consapevolezza chi non la pensa come lei o chi non ha la minima idea dei suoi tormenti interiori. Sana porta il velo, prega, rispetta il Ramadan e la religione islamica e una delle cose che più la fa infuriare è che gli altri lo ritengano un obbligo cui lei deve adempiere, non una scelta. Quando, in realtà, erano stati proprio i suoi genitori a consigliarle di non indossare il velo a scuola per paura che sarebbe stata oggetto di derisione.

Invece, per Sana, scegliere di indossare il hijab altro non è che una scelta femminista, come afferma fiera e sicura a Martino. E il fatto che le persone la credano subordinata, sottomessa e repressa è il prisma deformante di una visione essenzialistica delle cose, che attiene alla relazione assai problematica, ambivalente e controversa con ciò che è percepito e rappresentato come “altro”. Nel discorso pubblico, ad esempio, non di rado si dimenticano le differenze tra i vari tipi di veli, così come i molteplici e polivalenti significati attribuiti al suo uso nei vari Paesi. L’opinione più comune è che dietro al velo si celerebbe la condizione di soggiogamento e oppressione della donna musulmana. In realtà, molte donne rivendicano l’uso del velo come un mezzo per esprimere il proprio riferimento identitario e culturale: le donne lo indossano come segno di appartenenza comunitaria e a partire da questa prospettiva appare più una libera scelta che un’imposizione. Un aspetto particolarmente centrale per chi ha scelto di lasciare il proprio Paese d’origine per andare a vivere altrove, diventando, quindi, un modo per ridefinire la propria identità e il proprio ruolo in un determinato contesto sociale e culturale.

Per Sana il velo è un emblema attraverso cui riesce a rendersi visibile nello spazio pubblico, dal quale si sente solitamente esclusa o invisibilizzata. Affida al suo corpo il compito di mostrare la propria individualità e identità, rivendicando, inoltre, pratiche sociali e definizioni del corpo femminile che si presentano diverse da quelle dei modelli occidentali che vengono ritenuti emancipati. Emancipazione, d’altra parte, non significa accettazione incondizionata dei valori occidentali. Emancipazione, per Sana, significa portare il velo a scuola anche quando tutti hanno paura “nasconda una bomba”, come spesso lei dice scherzando con i suoi amici; significa pregare tutti i giorni, perfino in una stanza buia di un seminterrato durante una festa, dove all’improvviso arrivano un ragazzo e una ragazza in cerca di intimità; significa rivendicare la propria “diversità” da una cultura che la vorrebbe uniformata a tutti gli altri.

Quello di Sana è un corpo che esiste e si muove. I suoi abiti per lei non sono un peso né una limitazione. Con il suo corpo, Sana fa quello che vuole: lo copre, lo scopre, lo usa come scudo. Un po’ come Qahera,la supereroina musulmana del web comic creato dall’illustratrice Deena Mohammed qualche anno fa: strenua oppositrice del patriarcato e dei pregiudizi che da sempre accompagnano la religione musulmana, che Qahera combatte scegliendo di indossare non un costume né un travestimento, ma l’hijab quale parte integrante della propria identità. Come ha scritto Valentina De Brasi su Nido Magazine, Qahera parla alle donne e agli uomini d’Egitto «ma si rivolge soprattutto al resto del mondo per smontare la retorica coloniale dell’Occidente dalla splendente armatura, che salva le donne dei Paesi arretrati dalla loro condizione di oblio e ignoranza». Proprio come Sana, seppure con modalità differenti, Qahera rifiuta sia la posizione di donna sottomessa proposta dai musulmani più integralisti, sia l’idea occidentale per cui le donne musulmane sono sempre in cerca di aiuto. Qahera rappresenta un’alternativa a questi due discorsi. Sana sa che molte persone la commiserano perché credono sia obbligata a indossare il velo e a rispettare delle regole asfissianti e stringenti imposte dalla sua religione. Ma l’essere guardata con sospetto o compassione è ciò che più la svilisce, quegli sguardi neutralizzano la sua agency, perché non c’è nulla che lei faccia che non rifletta una sua scelta, una propria autonomia decisionale e la sua indipendenza.

Nel testo e in copertina, immagini della serie TV Skam Italia (Netflix 2018-2022)