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MONDO

Siria, scontri a Deir ez-Zor segno che l’Isis è una minaccia reale

Il ritorno delle cellule del gruppo fondamentalista viene mascherato come rivolta della popolazione araba in una zona dell’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est. Mentre Erdogan e Assad tentano di approfittarne

Il 27 agosto le Forze della Siria Democratica (SDF) hanno lanciato nella regione di Deir ez-Zor, area a maggioranza araba che segna il confine tra l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est (AANES) e le aree sotto controllo del governo di Bashar Al-Assad, un’operazione denominata “Rafforzamento della sicurezza”. Gli avvenimenti hanno portato all’arresto, tra gli altri, di Ahmed al-Khabil, noto anche come Abu Khawla, ex-Comandante in capo del Consiglio Militare di Deir ez-Zor, organo militare locale inquadrato all’interno delle SDF.

Liberata nel 2019 nel corso dell’ultima offensiva che ha messo fine al controllo territoriale di ISIS, in cui, tra molti combattenti arabi, curdi e di altri popoli della regione, cadde anche Lorenzo Orsetti/Tekoşer Piling, Deir ez-Zor è probabilmente l’area più complessa dell’intera Siria. Dal 2011 al 2019 il controllo della regione è passato dall’esercito del regime di Damasco alle fazioni ribelli locali per un breve periodo, per poi divenire prima feudo di Jabhat al-Nusra e infine roccaforte di ISIS, fino alla liberazione avvenuta nel marzo 2019 da parte delle SDF. L’instabilità politica e i conflitti militari susseguitisi per anni hanno completamente devastato le infrastrutture locali, in parte ricostruite dall’AANES nel corso degli ultimi anni, occasionalmente in collaborazione con ONG locali e internazionali.

Alcuni dei clan locali più influenti, dall’inizio della guerra civile hanno spesso cambiato bandiera in base alle condizioni politiche e militari favorevoli, fino a sostenere quasi in blocco ISIS al momento della presa di potere di quest’ultimo. Si contano alcune eccezioni degne di nota, come la tribù ash-Shu’aytat, che nel 2014 si oppose all’appena proclamato califfato pagando con il massacro di centinaia dei suoi membri.

Queste condizioni hanno reso Deir ez-Zor una spina nel fianco per l’AANES e le SDF sin dalla sua liberazione. Parte della popolazione è rimasta fedele all’ISIS, che proprio nei villaggi e nelle vaste aree desertiche locali conta centinaia di cellule composte anche da elementi di alto livello, che da qui cercano di riorganizzarsi militarmente e di ricostruire una base solida in Siria.

Questi elementi tendono quotidianamente imboscate al personale delle SDF e fanno pressione sulla popolazione affinché non partecipi alla vita politica, assassinando funzionari o più spesso semplici impiegati dell’amministrazione civile locale. Il fallimento dei piani di riorganizzazione delle cellule di Isis è principalmente dovuto al lavoro costante delle Unità Anti Terrore (Yekîneyên Antî Teror, YAT) delle SDF, che compiono operazioni quasi ogni notte in coordinamento con la Coalizione Internazionale.

Deir ez-Zor è anche nelle mire del regime di Assad e del suo asse. La regione è divisa in due dal fiume Eufrate, la cui sponda ovest è controllata ufficialmente dal regime siriano, la cui presenza militare è in realtà molto limitata. La principale forza leale al regime di Damasco che opera nell’area è composta dai pasdaran iraniani del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC), supportati dalla Russia che, per mantenere uno stato di negabilità plausibile, si è servita fino a ora del gruppo Wagner. La ragione principale per cui questa regione è particolarmente importante per Iran e Russia è duplice: alla periferia della cittadina di Abu Kamal si trova la porta di confine con le aree dell’Iraq egemonizzate da forze filo iraniane, essenziale per trasportare uomini e approvvigionamenti dall’Iran alla Siria attraverso l’Iraq. La seconda ragione è la base della Coalizione Internazionale anti-ISIS tra le cittadine di Kasham e Al Tabiyeh. La struttura militare ospita diverse centinaia di soldati USA che operano come deterrente contro eventuali tentativi di invasione da parte del governo di Damasco, che a sua volta per ragioni analoghe conta sulla presenza, nel territorio da lui controllato, di personale militare russo e iraniano.

Durante l’invasione di Afrin da parte dell’esercito turco, le forze russe, siriane e iraniane tentarono di approfittare della situazione per realizzare un’invasione da sud, impegnando così le SDF su due fronti. L’offensiva fu stroncata dopo quattro ore di resistenza da parte dei combattenti SDF sostenuti dall’artiglieria della Coalizione Internazionale.

Ancora oggi non è chiaro il bilancio degli scontri che hanno preso il nome di Battaglia di Khasham, ma secondo diverse fonti tra cui le confessioni di uno degli allora comandanti di Wagner sul campo, il gruppo subì circa duecento perdite tra morti e feriti, a cui vanno sommati una cinquantina di miliziani sciiti e soldati di Assad, contro un solo ferito tra le fila delle SDF.

Questi eventi sono fondamentali per comprendere l’operazione delle SDF e l’arresto di Abu Khawla, avvenuto, secondo quanto riportato nel comunicato ufficiale, in seguito a una decisione del Consiglio Civile di Deir ez-Zor. Abu Khawla è da tempo sospettato di corruzione, in particolare rispetto al favoreggiamento del traffico di droga proveniente dalle aree del regime, il che si aggiunge alle molte accuse di sfruttare la sua posizione per ottenere guadagni personali e familiari, pratica in estremo contrasto con il sistema interno delle SDF.

Secondo diverse fonti locali, cosciente della possibilità di essere presto deposto, Abu Khawla aveva da tempo stretto rapporti con elementi del regime e preparava una rivolta per assicurare al suo clan e alle tribù a lui vicine il controllo sull’area, in particolare con l’aiuto di Nawaf Al-Bashir.

Al-Bashir è uno sceicco della tribù Bakara fedele al regime. Già membro del parlamento baathista, nelle prime fasi della guerra passò all’opposizione come leader di un agglomerato di milizie vicine a Jabhat al-Nusra, con cui partecipò agli attacchi del 2012-2013 contro le città appena liberate del Rojava. Quando gli sviluppi sul campo, primo tra tutti l’ingresso della Russia nel conflitto, hanno iniziato a favorire il regime, Al-Bashir è volato in Iran per riappacificarsi con Damasco e da allora è leader di una milizia filo-iraniana con base a Deir ez-Zor, la quale ha partecipato alla sfortunata Battaglia di Khasham.

Per questo, l’arresto di Abu Khawla ha scoperchiato il vaso di pandora di Deir ez-Zor e alcune tribù vicine al deposto ex-comandante del consiglio militare hanno risposto all’operazione incitando alla rivolta contro le SDF.

Nonostante gli inviti al dialogo da parte dell’AANES e dello stesso Consiglio Civile di Deir ez-Zor, gruppi armati hanno iniziato a ingaggiare schermaglie contro le postazioni delle forze di sicurezza in tutta la regione. Il comando SDF ha quindi ordinato ai combattenti situati nelle postazioni più interne di ritirarsi per evitare inutili spargimenti di sangue, lasciando così momentaneamente alcune aree, mentre l’operazione di controffensiva continuava ad andare avanti gradualmente.

Ovviamente le forze ostili alla rivoluzione del Rojava hanno immediatamente sfruttato gli eventi per montare una narrazione secondo cui il conflitto sarebbe una sollevazione su base etnica della popolazione araba contro la presunta oppressione esercitata dai curdi.

Questa narrazione, ripresa sia dagli organi di stampa del regime siriano che dal governo turco, viene ora usata per legittimare una nuova ondata di attacchi militari da parte dell’esercito turco e le sue milizie affiliate da nord, e da parte delle milizie fedeli ad Assad e all’Iran da Sud.

Il primo settembre le milizie controllate dalla Turchia e guidate da Ahrar al-Sharqiya, milizia jihadista responsabile dell’assassinio della politica curda Hevrin Khalef nel 2019, hanno iniziato un attacco combinato su tre fronti contro la città di Minbij, uno degli obiettivi dichiarati del piano di invasione di Erdogan. I media controllati dal governo turco hanno propagandato l’attacco come una rivolta dei clan arabi locali contro l’oppressione dei curdi a sostegno dei fratelli in rivolta a Deir ez-Zor.  A smascherare questa narrazione è stata inavvertitamente la stessa Ahrar al-Sharqiya, facendo circolare sui social media diversi video che ritraevano i miliziani del gruppo durante l’assalto, , che si è concluso con il massacro di quattro bambini nel villaggio di al-Muhsinli. È ancora più interessante notare che nonostante nell’assalto siano stati uccisi anche diversi soldati del regime di Damasco, che occupano alcune postazioni nella campagna intorno a Minbij, i media governativi siriani hanno inizialmente rilanciato la versione turca dei fatti. Il 3 settembre è iniziato un attacco anche sulla linea di contatto tra AANES e le città di Serekaniye e Gire Spi, occupate dalla Turchia nel 2019. Le milizie controllate dalla Turchia sono avanzate fino all’ambita autostrada M4, annunciandone la conquista dopo una giornata di scontri. Ma sono poi state respinte nelle città occupate, abbandonando sul campo, tra l’altro, un mezzo corazzato fornito dall’esercito turco, equipaggiamento che, evidentemente, non può essere in possesso di gruppi tribali spontaneamente in rivolta, come la propaganda vorrebbe far pensare.

La stessa strategia è stata adottata dal governo di Assad, mentre i media statali continuano a proporre la narrazione del conflitto etnico contro l’oppressore. I miliziani di Nawaf Al-Bashir hanno girato un video in cui attraversano l’Eufrate su imbarcazioni cariche di armi annunciando il proposito di attaccare il nemico curdo sull’altra sponda.

La narrazione del conflitto etnico, ripresa in modo più o meno diretto anche da diversi media internazionali tra cui alcuni giornalisti italiani, non può che lasciare perplesso chiunque conosca da vicino l’AANES e le sue forze di autodifesa. Le SDF sono ormai da molto tempo una forza militare a maggioranza araba che già dalla sua fondazione includeva diverse componenti arabe, politicamente e storicamente diverse tra loro: il Battaglione del Sole del Nord, fondato dal comandante arabo-curdo Faysal Abu Leyla, la Forza Al-Sanadid, diretta espressione della tribù Shammar e così molte altre, tra cui lo stesso Consiglio Militare di Deir ez Zor.

Dopotutto, basterebbe guardare il bilancio degli scontri di questi giorni per accorgersi che i primi move caduti tra le fila delle SDF di cui è stata confermata l’identità erano tutti arabi, tra cui seimembri delle Forze Democratiche del Nord, battaglione inquadrato nelle SDF e formato da rivoluzionari arabi provenienti dalla provincia di Idlib. Altri 11 combattenti arabi sono caduti nell’ottavo giorno di operazione, erano appartenenti alle forze speciali Kommando ealle forze di autodifesa Hêzên Xweparastınê.

L’operazione è stata dichiarata conclusa l’8 settembre quando le SDF hanno preso nuovamente il controllo di tutti i centri abitati principali, inclusa Diban, città dove hanno avuto inizio gli scontri. Il 7 settembre, dopo un lungo incontro tra funzionari civili dell’AANES, SDF e rappresentanti dei clan e della società civile di Deir ez-Zor, il comandante generale delle SDF Mazlum Abdi ha annunciato che le parti stanno lavorando insieme per una soluzione diplomatica al conflitto e valutano un’amnistia per i miliziani coinvolti negli scontri.  A nord invece è in corso una violenta escalation di attacchi da parte delle milizie controllate dalla Turchia, fino a ora respinti con successo dal Consiglio militare di Minbij, e dalle altre componenti delle SDF sul resto del fronte. La Coalizione Internazionale ha rilasciato una nota in cui invita tutti gli attori coinvolti a cessare le ostilità, rimarcando che l’unico attore a guadagnare da questo conflitto sarà l’ISIS.

Immagine di copertina da SDFpress