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MONDO

«Siamo la generazione dell’eterna primavera»: voci dalla rivolta in Colombia

Ci siamo dovuti coprire il volto per poter essere visti, abbiamo dovuto gridare per poter essere ascoltati, eppure eravamo sempre lì. Tuttə unitə e tuttə insieme, sempre lì, sull’autobus, in centro, nel parco, in piazza, inventandoci modalità diverse per sopravvivere arrangiandoci, seminascostə nei vicoli. Abbiamo sentito dire tante volte che “el pueblo unido jamás será vencido”, ma solo adesso ne comprendiamo il significato

Ci vedono e ci ascoltano perché abbiamo tenuto duro nel quartiere, perché abbiamo costruito barricate, cortei, assemblee, concerti, feste, murales, balli, conversazioni, opere teatrali, discussioni e perché abbiamo bloccato le città, centri di potere, e lo abbiamo fatto con gioia, con rabbia e con speranza.

Il Paro Nacional ha riacquisito il proprio significato perché ha bloccato tutto, in particolar modo l’economia, per cui i padroni delle aziende e delle fabbriche, abituati ad avere il controllo non solo dei propri lavoratori ma dell’intera società, hanno cominciato a preoccuparsi…

Che tremino! gridavamo dal basso. Ora che ci vedono, alcunə con preoccupazione e altrə con speranza, è tempo che ci ascoltino con attenzione, perché siamo un’ondata di gioventù avida di cambiamento, che cerca di costruire un nuovo territorio in cui ci sia posto per tuttə, che gli piaccia oppure no.

Bloccare le riforme, ottenere le dimissioni di due ministri, il riconoscimento dei diversi settori riuniti al tavolo delle trattative… Molte sono le conquiste ottenute dallo sciopero e per noi il trionfo più grande e duraturo di tutti è la valorizzazione dei giovani in particolare, e del popolo in generale. I giovani erano considerati soltanto come consumatori per il mercato e la pubblicità, ma non come motore di cambiamento e di proposte.

Adesso i giovanissimi e le giovanissime vogliono stare “in prima linea“, vogliono lottare per i diritti di tuttə: gli adulti guardano con rispetto e ammirazione, prima essere giovane era sinonimo di vigore ed energia, ma oggi lo è di essere ribelle e rivoluzionario.

A quanto pare, non esiste prima linea senza giovani. Però, prima ancora della prima linea ci sono le madri che difendono e proteggono, madri che vedono per la prima volta i propri figli rischiare la vita per qualcosa di superiore, collettivo, comunitario; non è più solo amore filiale, è l’orgoglio che li unisce.

La prima linea non è un luogo da difendere, non è un concetto associato unicamente alla difesa, è un movimento che anima il popolo.

Per questo non è concepibile senza la cucina comunitaria che accoglie e nutre; senza la brigata medica e sanitaria che protegge; senza comunicatorə indipendenti che trasmettono e condividono dal popolo e per il popolo informazioni e notizie che lo Stato continua a censurare; senza artistə o creatorə che modificano l’estetica, il concetto, il colore; senza difensorə dei diritti umani che sono statə dichiaratə obiettivi militari e che, nonostante tutto, hanno continuato la loro presenza; e infine senza il supporto spontaneo di chi porta bevande, cibo, “scudi“, forniture mediche e di primo soccorso.

C’è una linea zero, invisibile e potente, si chiama popolo: è il quartiere, la comunità che simpatizza, che appoggia e protesta, che cura e mantiene, che da sostegno e aiuto, che protegge e innalza, e che mantiene accesa la scintilla del cambiamento.

Il Paro Nacional compie un mese, è sostenuto dall’appoggio sociale perché è giusto, resiste perché è diverso, ha successo perché è comune, perché appartiene alla maggioranza, non ha volti né leader perché è di tuttə.

La lotta popolare è una scuola che applica la pedagogia dell’oppresso, quella relazione orizzontale che si dà tra uguali e nella quale la creatività è un’esplosione quotidiana di idee e invenzioni.

In un mese, i quartieri hanno realizzato biblioteche popolari dove prima c’erano centri di tortura di stato, presidi sanitari collettivi e gratuiti con personale medico specializzato in umanità, mense comunitarie che fornivano tre pasti al giorno (privilegio solo per alcunə nel paese), orti urbani per salvaguardare il principio fondamentale di “sotto il cemento l’alimento”, murales che illustrano verità e creano ricordi, rituali che rinfrancano lo spirito, che puliscono e rischiarano.

È bastato un mese per avere presentazioni culturali gratuite ogni giorno nel quartiere, perché l’università uscisse in strada, perché le persone autogestissero il cibo collettivamente, perché si mettesse in discussione l’autorità e si scoprisse il potere della parola nelle assemblee popolari.

Il popolo unito ottiene in un mese quello che lo Stato nega da decenni: salute, istruzione, coscienza, unità, indipendenza, appartenenza, territorio, che i settori popolari siano trattati con dignità. Ma c’è qualcosa che abbiamo scoperto e dimostrato, ed è che tra popoli si può creare la giusta vita che meritiamo.

Il popolo ha decenni di esperienza di scontri e lotte popolari, in particolare sconfitte e delusioni prodotto di tradimenti o inganni da parte dello Stato e delle élites al potere.

Con questo sciopero, il popolo come immaginario collettivo recupera il potere fondamentale che aveva sempre avuto. Adesso, con il ruolo preponderante delle donne e con le loro organizzazioni come sostegno e progresso, non c’è nessuno che possa fermarlo. Donne con la rabbia degna che lottano per un mondo migliore nel quale possiamo stare tuttə.

Ci hanno colpito duramente, lo Stato ha calato la maschera dal volto dittatoriale e tutta la sua forza militare contro il popolo.

In ogni rivolta c’è fumo e si bruciano pneumatici, si ritinteggiano le pareti e si infrangono vetrine: è la rabbia contenuta che diventa manifesta, la rabbia degna che ha ben chiaro quali banche e quali magazzini distruggere.

Rispondere con i proiettili, con armi da fuoco e sparizioni, attaccare con odio e manganellate a sangue, fino alla morte, fino al più volgare degli occultamenti … non può essere la risposta. Esigiamo il cessate il fuoco da parte dello Stato.

Giovani valorosi hanno messo in gioco il proprio corpo, le proprie idee e le proprie forze; anche la voce e il sasso, anche la magia e la proposta. Giovani valorosi hanno messo in gioco la loro pelle, la loro stessa vita e li rivogliamo: la Colombia richiede le persone desaparecide, elenca i loro nomi, ne segue le tracce, la Colombia ha bisogno di loro, li piange e li cercherà finché non li troverà.

Non ci stancheremo di ripetere che nell’aprile-maggio 2021nel nostro paese c’è stato un massacro: 69 sono i morti causati dalla repressione dello Stato in questo grande Paro Nacional, 55 di Cali (12 di Puerto Madera, punto di resistenza nel Distretto di Aguablanca [quartiere di Cali, terza città più popolosa della Colombia e capoluogo del Dipartimento della Valle del Cauca, sulla costa pacifica – ndt]). 379 desaparecidəs, di cui 100 di Cali… non ci stancheremo mai di chiedere mille e una volta: DOVE SONO?

La risposta statale e paramilitare è sempre più pericolosa e manifesta, meno subdola e più aperta e comincia a perdere l’abitudine di nascondersi.

Assistiamo quindi a formazioni paramilitari dello strato 6 [in Colombia, gli immobili e i sussidi sociali sono classificati in “strati” crescenti, dall’1 al 6 – ndt] colluse con l’esercito e la polizia dietro il nome di “gente per bene”, uomini che sparano a morte contro la gioventù più bella, la gioventù che lotta.

Lo Stato ci risponde con repressione e morte, sangue e brutalità: il disprezzo per la vita è la morte vestita con maschere malvagie. Eppure, il popolo ha dato un volto alla protesta, perché è forte e coraggioso, perché è composto da persone con la forza della Minga, della cucina comunitaria e delle aree rurali.

Se questa rivolta sociale, potente e inedita, si svilupperà in un altro paese, si chiamerà Rivoluzione di Primavera comparata al “Maggio Francese”, oppure diranno che si tratta di un movimento sociale “open source”, alludendo al fatto che non ha leader visibili.

Però questa rivoluzione primaverile è il nostro “maggio colombiano” e la nostra protesta senza leader passerà alla storia come la rivoluzione di quellə che non avevano nulla da perdere.

In questo mese la Colombia ha resistito in ogni isolato, casa, angolo e strada, dalle grandi città ai piccoli paesini, dal novembre ribelle di qualche anno fafino al maggio bellicoso che ci lascia con una storia nuova e promettente.

Il nostro impegno è per la vita, la nostra essenza è fare festa con forza, amore e fuoco di cambiamento, con sogni profondi di costruzione collettiva della società. Ecco perché siamo scesi di nuovo in piazza, questa volta con immense mobilitazioni di massa, blocchi stradali, manifestazioni oceaniche, laboratori creativi, azioni cittadine realizzate da centinaia di migliaia di persone.

Le strade della Colombia si sono riempite di arte, vita e gioiosa ribellione. Un mese di sciopero nazionale, una festa che la Colombia è scesa in piazza a celebrare, una data storica che abbiamo costruito tuttə insieme e che hanno voluto far tacere con le pallottole.

Tantə mortə in questo paese nel giorno in cui eravamo usciti a festeggiare: 13 sono i morti nella città di Cali per questa notte di protesta, e 13 sono i morti che questa città piange, che illumina e ricorda. Tremi chi tortura, chi uccide e rapisce. Tremi lo Stato, perché adesso siamo tuttə insieme e andremo fino in fondo.

Per i nostri morti e per i nostri desaparecidos lottiamo e continueremo a lottare sulle strade e non c’è nessuno che ci farà tornare indietro; puntiamo a tutte le riforme, a tutti ə ministrə, a tutto l’uribismo; andiamo avanti e non ce ne andremo finché colui che dà gli ordini da anni non cadrà per sempre.

Non abbiamo più nulla da perdere, non abbiamo paura; in cambio, abbiamo creatività e resistenza, impulso e rabbia degna, madri e gioventù impegnate, organizzazione e sogni che rendiamo possibili perché continuano ad essere più potenti anche se ci mettono a tacere con il piombo.

Pubblicato da Medios Libres Cali. Traduzione a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress

Tutte le foto a cura di Medios Libres Cali