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“Salaam” di Lual Mayen. Il videogioco sulla vita dei rifugiati

Lual Mayen, ex-rifugiato sudsudanese, ingegnere informatico e game developer, ha creato “Salaam”, un videogioco che ha l’obiettivo di far rivivere al giocatore l’esperienza del rifugiato. Su Kickstarter fino al 18 luglio è possibile partecipare alla campagna di raccolta fondi per finanziare il progetto

Il Sudan del Sud è da decenni teatro di continui conflitti. Prima ci sono state due guerre civili per ottenere l’indipendenza dal vicino Sudan e, quando il Paese è finalmente diventato indipendente, è subito iniziata una nuova guerra civile per il suo controllo. Parliamo di almeno un milione e mezzo di morti, forse tre milioni, e della serie di conflitti più sanguinosa mai avvenuta dopo la Seconda Guerra Mondiale, con un totale di 4,3 milioni di profughi (tra cui 2,3 milioni tra rifugiati e richiedenti asilo).

Il 15 novembre del 1991, durante la Seconda guerra civile in Sudan, avvenne il massacro di Bor, città che è stata epicentro della guerra civile e dove è stato fondato nel 1983 il gruppo separatista Sudan People’s Liberation Movement (SPLM). Furono uccisi (secondo le stime di Amnesty) almeno duemila civili di etnia Dinka per mano di combattenti di etnia Nuer del Nuer White Army e della SPLA-Nasir, fazione della Sudan People’s Liberation Army (SPLA, braccio militare del SPLM) guidata da Riek Machar.

«A quel punto i miei genitori si trovarono soli e senza un posto dove stare», ci racconta via email Lual Mayen, un 24enne sudsudanese che ha passato i suoi primi venti anni di vita in campi profughi tra il Sudan del Sud e l’Uganda. Mayen ha deciso di provare a cambiare il Sud del Sudan e il mondo, educando alla pace e alla convivenza, con i videogiochi.

 

 

«Nel 1993 arrivarono in un posto vicino al confine dell’Uganda, chiamato Aswa» continua Mayen. «Sono nato lì nel campo profughi mentre i miei genitori cercavano un nuovo posto dove stare. Nel 1994 furono aperti i campi a Nimule e Mungali, dove si sono sistemati per circa 13 anni. Non era facile vivere lì perché la LRA [Lord’s Resistance Army, un gruppo militare che opera nella zona con il progetto di instaurare un governo guidato dai Dieci Comandamenti] iniziò ad attaccare e uccidere una grande quantità di persone. I miei genitori e io vivevamo nella paura di perdere le nostre vite ed era facile vedere amici e vicini picchiati a morte. Iniziarono a trasferirci nei campi profughi nel nord dell’Uganda nel 2004. Noi riuscimmo a farci strada sino all’accampamento dei rifugiati nel distretto di Arua. Nel 2010, dopo l’accordo di pace in Sudan [avvenuto a inizio del 2005], la gran parte dei rifugiati fu rimpatriata. Ma la mia famiglia e qualche altro rifugiato non tornò in Sudan del Sud a causa delle continue violenze e dell’instabilità. Pensavamo che le scuole nel campo profughi fossero comunque meglio di quelle che avremmo trovato in Sudan del Sud e non volevamo interrompere la nostra educazione. Nel 2011, il Sudan del Sud ottenne l’indipendenza dal Sudan e tutti erano molto emozionati. Ma, di nuovo, a dicembre del 2013 scoppiò la guerra».

Si tratta della guerra civile sudanese tra l’esercito ufficiale e forze ribelli guidate dall’ex-vicepresidente Riek Machar (sì, quello del massacro di Bor). Anche questo conflitto ha una forte componente etnica che vede nuovamente contrapposti i Nuer di Machar e i Dinka del presidente Salva Kiir Mayardit. Secondo le stime, 190 mila persone sono state uccise durante questo nuovo conflitto civile e altrettante sono morte come conseguenza della guerra. Un milione e mezzo di persone hanno abbandonato il Sudan del Sud, mentre più di due milioni di persone hanno abbandonato le loro case pur rimanendo nel Paese.

«La vita nel campo profughi in Uganda era difficile, ma sicuramente meglio di quella che avremmo vissuto in un paese devastato dalla guerra come il Sudan del Sud» racconta Mayen. «Crescere come un rifugiato non è una scelta ma qualcosa che ti capita. L’assistenza medica non bastava mai, soffocavamo da quanti eravamo. A causa della mancanza di acqua, le persone non avevano e non hanno abbastanza da bere, e ancora meno acqua poteva essere usata per farsi una doccia. Con il passare del tempo, i bambini affamati piangevano sempre più forte. Ma mi sento fortunato di aver potuto ricevere un’educazione in Uganda. Ho potuto studiare ingegneria informatica e lì ho trovato la passione e il mio futuro lavoro».

«Mia madre ha supportato il mio interesse nella programmazione anche se non c’erano computer e internet», ricorda Mayen. «Risparmiò denaro, guadagnato facendo la sarta e cucendo coperte per i letti, per due anni. E con quel denaro riuscì a comprarmi il mio primo computer. Ho imparato a sviluppare videogiochi da tutorial che scaricavo nell’internet café fuori dal mio campo profughi in Uganda. Dovevo camminare tre ore, ogni giorno, per arrivare a un posto con l’elettricità e poter caricare il mio laptop e usare internet per scaricare tutorial che mi insegnassero a programmare in linguaggi come C, C++, C#, Java e Python. Ho creato il mio primo gioco, Salaam [“pace” in arabo], proprio nel campo profughi nel nord dell’Uganda».

«La prima versione di Salaam era pensata per dare una qualche forma di intrattenimento ai rifugiati», continua Mayen. «La prossima versione sarà distribuita su Facebook Instant Games, che ha 700 milioni di giocatori in tutto il mondo [per la precisione, sono 700 milioni gli utenti di Facebook che almeno una volta al mese giocano a un videogioco sulla piattaforma, guardano video di videogiochi o partecipano a discussioni su videogiochi in gruppi specializzati]. L’obiettivo di questa nuova versione di Salaam è mettere le persone nei panni di un profugo per insegnare loro quali sfide incontrano i profughi ogni giorno. I rifugiati mancano di beni base come cibo, acqua e medicine e il gioco mostrerà quanto questa vita sia dura».

Questa versione di Salaam è attualmente in cerca di fondi su Kickstarter, e la sua campagna di finanziamento terminerà il 18 luglio. «È dura trovare denaro quando sei una giovane azienda e, anche se abbiamo altre possibilità di finanziamento, proveremo a spingere ulteriormente la campagna nella sua ultima settimana per raggiungere il suo obiettivo» spiega Mayen.

 

 

Salaam, come ha raccontato Mayen, sarà distribuito tramite Facebook Instant Games, cioè farà parte di quei videogiochi accessibili direttamente dalla chat di Facebook cliccando sull’icona a forma di gamepad. Si tratta di un “running game” come il celebre Temple Run disponibile per smartphone: un personaggio, inquadrato di spalle, corre lungo un percorso e il giocatore deve aiutarlo a evitare gli ostacoli che si trova davanti. In Salaam, i protagonisti sono profughi in fuga dalla guerra, e le risorse che il giocatore acquisterà nel gioco (con denaro reale) per sostenere la loro fuga contribuiranno al sostentamento dei rifugiati nei campi profughi del mondo reale. Acquistando cibo, acqua e medicinali e Salaam, quindi, acquisteremo cibo, acqua e medicinali anche nella realtà, grazie a una serie di accordi con associazioni no profit e non governative.

«Dopo aver lasciato il mio campo profughi il 3 luglio 2017 mi son trasferito a Washington DC per partecipare a un programma di accelerazione chiamato Peace Tech Labs», racconta Mayen. «Da lì ho viaggiato per il Paese e ho parlato a conferenze di come si possano usare i giochi per discutere di pace e ottenere un impatto sociale». Mayen ha fondato Junub Games, che ha già rilasciato un gioco da tavolo intitolato Wahda, cioè “unità”.

«Una delle prime cose di cui mi son reso conto dopo aver creato il mio primo videogioco era che non tutti avrebbero potuto giocarlo semplicemente perché non avevano alcun dispositivo per farlo girare. Quindi creai Wahda, un gioco da tavolo incentrato sulla pace e la risoluzione dei conflitti». Non si parla solamente di conflitti bellici, ma più in generale di qualsiasi conflitto che possa accadere nella vita delle persone (tra gli Stati, nella società, nella comunità, in famiglia), e il gioco è pensato per esplorare le possibili risposte a questi eventi.

 

 

Nel 2018, durante i The Game Awards, Mayen è stato premiato come “Global Gaming Citizen”, un riconoscimento per chi con i videogiochi cerca di cambiare il mondo. Avete tempo sino al 18 luglio per contribuire alla campagna Kickstarter di Salaam e aiutare concretamente un ex-rifugiato del Sudan del Sud a creare videogiochi per una terra che da più di sessanta anni conosce solo la guerra. «Per cambiare la mentalità delle persone ci vorranno generazioni e generazioni di cambiamenti», conclude Mayen. «L’obiettivo di Salaam è cambiare il modo di pensare dei più giovani mostrando loro che le loro azioni hanno conseguenze. I risultati delle loro azioni possono essere sia positivi sia negativi in base alle decisioni che prendono. Il mio sogno è che un giorno i giovani preferiscano i giochi alle pistole»·