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Perché una casa editrice neofascista pubblica un libro sul videogioco nell’URSS?

Insert Kopeyki, i videogiochi nell’universo comunista di Stelio Fergola è un breve saggio sulla storia del videogioco nel blocco orientale durante la Guerra Fredda. Dai cabinati sino a Dendy, passando per Tetris, creato nel 1984 da Aleksej Leonidovič Pažitnov all’Accademia delle Scienze di Mosca. Un’iniziativa apparentemente interessante che ha però diversi problemi. Tra cui quello, non insignificante, di essere ospitata all’interno della casa editrice neofascista Passaggio al bosco

Insert Kopeyki, i videogiochi nell’universo comunista di Stelio Fergola è un breve saggio sulla storia del videogioco nel blocco orientale durante la Guerra Fredda. Dai cabinati (le macchine da sala giochi che funzionano infilandoci dentro monetine) oggi conservati nei Musei delle macchine da gioco sovietiche a Mosca e San Pietroburgo alle prime macchine domestiche sovietiche, come la Palestra-02 del 1978, all’azienda ungherese Novotrade, che realizzava videogiochi pensati per il mercato occidentale, sino al Dendy, versione non autorizzata della prima console Nintendo a 8 bit lanciata in Russia appena dopo la fine dell’URSS. Passando, naturalmente, attraverso Tetris, creato nel 1984 da Aleksej Leonidovič Pažitnov all’Accademia delle Scienze di Mosca. Un’iniziativa apparentemente interessante che ha però diversi problemi. Tra cui quello, non insignificante, di essere ospitata all’interno della casa editrice neofascista Passaggio al bosco.

 

Passaggio al bosco, la casa editrice di Insert Kopeyki

Passaggio al bosco nasce dentro il centro ricreativo culturale fiorentino Casaggì, spazio legato prima ai gruppi giovanili di Alleanza Nazionale e poi a quelli di Fratelli d’Italia, ha il suo appuntamento annuale, come le altre realtà editoriali della destra estrema, nel festival Libropolis ed è distribuita anche da Altaforte, casa editrice legata invece a CasaPound.

 

A scanso di equivoci, Casaggì ha dichiarato che «il nostro percorso, la nostra storia e la nostra formazione provengono dal Fascismo e dalla sua immensa eredità ideale».

 

Nello stesso intervento, Casaggì attacca la Resistenza antifascista durante la Seconda Guerra Mondiale («quella che in Italia ha piazzato le bombe a tradimento, ha sparato alle spalle») e afferma che il fascismo è stato «la giustizia sociale, la socializzazione delle imprese, le corporazioni, la casa per tutti, il lavoro per tutti, il prestigio internazionale, il perfetto funzionamento delle infrastrutture e dei servizi, la capacità di rilanciare in senso nazionale e totale le possibilità culturali, identitarie e vitali di un intero Popolo». Rispetto alle posizioni più (diciamo così) innovative delle nuove destre, Casaggì si distingue quindi per una franca e dichiarata nostalgia fascista, a cui aggiunge volentieri richiami espliciti al nazismo. A questo proposito, la testata dell’ANPI Patria Indipendente ha pubblicato un approfondito articolo su Casaggì e i suoi legami con partiti politici, organizzazioni di estrema destra e nazifascismo.

 

 

Stelio Fergola, l’autore di Insert Kopeyki

Fergola stesso non è un giornalista capitato per caso in questo ambiente, ma è autore di saggi come La cultura della morte. Aborto, eutanasia e nuovo vangelo progressista (per Edizioni La Vela) e L’inganno antirazzista. Come il progressismo uccide identità e popoli (sempre per Passaggio al bosco).

Fergola fornisce in un’intervista un riassunto dei contenuti di quest’ultimo libro, affermando di essere «convinto [che] sussistano interessi di vario genere che convergono tutti a danno» dell’esistenza di quella che lui definisce «razza bianca». Nella stessa intervista, Fergola afferma di dare «una valutazione positiva» al periodo fascista, pur specificando di non avere «alcun interesse a rimettere in piedi un processo ideologico-politico affine a quello del fascismo» perché interessato invece a «difendere la società italiana e i suoi lavoratori, l’Italia come concetto culturale e identitario».

 

Fergola è anche direttore della testata Oltre la linea, che fa parte della galassia rossobruna intenta a una rilettura sovranista e xenofoba della produzione intellettuale marxiana, marxista e in generale di sinistra, in stile Diego Fusaro.

 

Parliamo di uno dellǝ principali animatorǝ di tutta quella scena che produce, per esempio, false citazioni di Pasolini per cercare di dare una qualche dignità al proprio razzismo e di renderlo più digeribile a un pubblico che pensa di essere di sinistra, deformando pensiero marxiano e marxista in chiave xenofoba e anti-internazionalista e promuovendo lo scontro tra proletariato italiano e straniero.

«In un certo senso, noi oggi chiamiamo “rossobruni” questi movimenti lasciando intendere che mescolino due cose», mi ha spiegato durante una videochiamata su Zoom Mauro Vanetti, sviluppatore di videogiochi, docente presso NABA Nuova Accademia di Belle Arti e autore del saggio La sinistra di destra. Dove si mostra che liberisti, sovranisti e populisti ci portano dall’altra parte (Edizioni Alegre).

«Ma in realtà una di queste due cose, il bruno, è nata come una combinazione tra socialismo e nazionalismo. In Germania in modo molto esplicito, ma volendo anche in Italia», considerando che Mussolini veniva dalla sinistra del Partito socialista. I movimenti rossobruni possono quindi anche essere visti come un ritorno alle radici nazionalsocialiste dell’estrema destra novecentesca.

Ne La sinistra di destra, Vanetti riconduce questi movimenti nazionalisti alla «nuova sinistra di destra», distinta dalla «vecchia sinistra di destra» («conformista, europeista liberista, per bene, sfigata, ingenuamente ottimista») di cui è invece simbolo il PD. Anche se la distinzione è possibile, queste sinistre di destra, come spiega Vanetti, si assomigliano molto: entrambe basano le loro politiche sull’idea che la lotta di classe non possa più descrivere la nostra società in quanto sarebbe caduta la divisione in classi a favore del cosiddetto ceto medio e si rivolgono quindi a un popolo interclassista e indistinto di cui, per le nuove sinistre di destra, bisogna restaurare la sovranità minacciata da «vincoli europei e […] migranti».

 

Una visione che poi è sfumata nella nuova sinistra di destra del «sovranismo costituzionale» di cui il rappresentante più istituzionale è probabilmente Stefano Fassina con il suo Patria e Costituzione.

 

Oltre la linea di Fergola sposa anche la cosiddetta prospettiva eurasiatista tipica di questi ambienti. «Gli eurasiatisti hanno una prospettiva geopolitica che sommerebbe l’Europa, emancipata dagli Stati Uniti (che è quello che loro chiamano capitalismo, perché chiamano capitalismo solo quello statunitense e non per esempio quello tedesco sotto Hitler), alla Russia in un blocco che faccia da contraltare agli Stati Uniti», mi ha raccontato Vanetti.

«E usano come elemento ideologico per questa unione la tradizione (le posizioni reazionarie europee insieme al tradizionalismo russo), il cristianesimo… Queste teorie esistevano già quando c’era l’URSS, ma allora erano complicate: il piano era rovesciare il comunismo in URSS per imporre un regime autoritario post-comunista, uscire dalla NATO in Occidente, costruire un blocco nazionalista europeo che difendesse le radici cristiane (in qualche modo riprendendo la retorica nazista, che era una retorica europeista nella sua unificazione dell’Europa sotto un Terzo Reich) e creare questa Eurasia, riferimento per tutti i nemici degli Stati Uniti per un grande scontro di civiltà. Ora le cose sono un po’ più plausibili, perché in Russia c’è Putin che in qualche modo finanzia o sostiene movimenti che hanno un simile orientamento geopolitico».

Faccio inoltre notare, come prova dell’intrecciarsi di riferimenti comuni in questi gruppi (seppur anche politicamente diversi) di ultradestra, che sia «Passaggio al bosco» sia «Oltre la linea» sono citazioni dal nazionalista e reazionario tedesco Ernst Jünger.

 

Abhfartslaus, gioco del cabinato tedesco Poly Play, emulato su Mame

 

Come è Insert Kopeyki

Inizialmente, avevo deciso di non scrivere di Insert Kopeyki, per due motivi. Prima di tutto, per non fare pubblicità a Fergola, una persona che a dicembre 2020 scriveva un articolo in cui si nega la pericolosità della COVID-19 e delle sue varianti e persino l’esistenza dei vaccini, e a una casa editrice che pubblica testi di Mussolini e libri come Con la scusa del clima. Oltre l’ambientalismo mainstream: per un futuro consapevole.

Un saggio parascientifico, costruito sulle conclusioni dello scientificamente inattendibile Nongovernmental International Panel on Climate Change, che smentisce l’esistenza del cambiamento climatico di matrice antropica (la NASA lo ha di recente confermato anche tramite osservazione diretta) e promuove, come spiega la sua presentazione, «un’ecologia […] identitaria». Poi, non trovavo particolarmente utile parlarne perché Insert Kopeyki è una sintesi di informazioni già note e facilmente accessibili, spesso anche in italiano, con una mera ricerca su Google.

 

Si tratta anche di una sintesi poco accurata, perché Insert Kopeyki contiene numerose mancanze e inesattezze.

 

Per quanto riguarda le mancanze, è strano non veder mai citati, per esempio, i numerosi cloni sovietici dei dispositivi Nintendo Game & Watch, che eppure sono piuttosto noti. Oppure, il libro di Fergola si concentra soprattutto su hardware appositamente pensati per i videogiochi, trascurando un po’ cosa venisse invece giocato su computer come i BK dell’Elektronika e il Vektor-06C.

Le uniche fonti di Fergola a riguardo sono due articoli della stessa testata. Parlando della compagnia ungherese Novotrade, Fergola usa un’unica fonte, del 1985, perdendosi quindi tutti gli sviluppi successivi, che magari avrebbero aiutato a contestualizzare meglio la compagnia e avrebbero anche dato l’occasione di poter verificare le affermazioni e le previsioni presenti in quell’unica fonte.

A proposito della storia del videogioco in Ungheria e di Novotrade consiglio il documentario Moleman 4, e penso sia interessante aggiungere almeno che fu Novotrade (di cui poi una parte sarebbe diventata Appaloosa Interactive) a sviluppare il videogioco di culto di Sega Ecco the Dolphin, uscito nel 1992.

 

Le mancanze sono magari facili da giustificare: il testo è piuttosto breve (100 pagine) e non ha la pretesa di avere un valore enciclopedico.

 

Schmetterlinge, gioco del cabinato tedesco Poly Play, emulato su Mame

 

È più difficile giustificare le inesattezze, e una parte particolarmente confusa del libro è quella dedicata a quelli che vengono comunemente chiamati «cloni di Pong». Macchine non prodotte da Atari ma che permettevano di giocare al videogioco Pong (appunto di Atari) e che si diffusero enormemente a partire dalla metà degli anni 70 e, alla fine del decennio, arrivarono anche in Unione Sovietica e nel blocco orientale.

Tra l’altro, Fergola non descrive e non contestualizza mai questi dispositivi come «cloni di Pong». Molte di queste macchine, come la sovietica Turnir (Torneo), la tedesca Bildschirmspiel 01 e la polacca TVG-10 (non citata nel libro), montano il popolarissimo circuito integrato AY-3-8500 della statunitense General Instruments. Altre, come l’Elektronika Eksi-Video-01, l’Elektronika Videosport (che ebbe varie versioni successive, di cui ricordo almeno l’Elektronika Videosport-3) e l’Evrika (non citata nel libro), montano il circuito integrato sovietico K145IK17, che è comunque una rielaborazione dell’AY-3-8500.

Tutte queste macchine contengono sostanzialmente sempre i soliti sette giochi, quelli inclusi nel circuito integrato, costruiti più o meno come varianti di Pong: tennis (Pong vero e proprio), calcio, squash, una modalità di allenamento per una sola persona, due giochi di tiro al bersaglio pensati per funzionare con un controller-pistola e una variante del calcio con una delle due parti avvantaggiata rispetto all’altra (viene solitamente chiamata «handicap»).

A seconda di come la macchina è stata impostata e di quali periferiche sono disponibili, è però possibile giocare solo a specifiche modalità: per esempio, «handicap» è spesso disabilitato e i giochi di tiro a segno sono giocabili solo su sistemi che abbiano una pistola. Quindi, quando Fergola scrive che «l’unica differenza» tra l’Elektronika Eksi-Video-01 (che andrebbe forse datata al 1978 e non al 1980 come è scritto nel libro) e l’Elektronika Videosport «consisteva nella presenza della pistola quale periferica dell’edizione Videosport» tralascia il fatto che la presenza della pistola differenziasse l’offerta dei giochi disponibili.

Così, quando Fergola elenca i giochi disponibili nella Bildschirmspiel 01 cita anche «due sparatutto 2d senza titolo», ma non specifica che, mancando la Bildschirmspiel 01 di un controller-pistola, i due giochi di tiro al bersaglio (sempre i soliti contenuti nello AY-3-8500) non siano in realtà giocabili e tralascia che sia invece disponibile (seppur nascosta) la modalità «handicap».

 

Per molte informazioni Fergola non fornisce inoltre alcuna fonte, rendendo difficile verificare le sue affermazioni, ma alcune parti del libro prive di fonti sono traduzioni di articoli di Wikipedia, a volte a loro volta prive di fonti.

 

La descrizione del cabinato Poly-Play (prodotto in Germania dell’Est) è tanto copiata parola per parola che Fergola ha copiato pure una delle note dell’articolo di Wikipedia, dimenticandosi però di tradurla dall’inglese.

E, a proposito di traduzioni, parlando di cabinati sovietici Fergola traduce «clocking in at 330 to 375 pounds each these hefty games weighed up to five times more than their prototypes across the ocean» («arrivando a un peso che andava dalle 300 alle 375 libbre questi pesanti giochi pesavano fino a cinque volte di più dei loro prototipi oltreoceano») da un articolo di Kristin Winet su Atlas Obscura con «con un clock da 330 a 375 libbre ciascuno, questi giochi pesanti pesavano fino a cinque volte di più dei loro prototipi oltreoceano». Non so cosa Fergola voglia dire, ma segnalo che è esattamente la traduzione che fornisce il traduttore automatico di Google.

 

Qualsiasi sia il motivo di queste mancanze e di queste inesattezze, Insert Kopeyki non è né un libro adatto per avere una panoramica completa sul fenomeno né una base corretta da cui partire per poi proseguirne lo studio.

 

 

Elektronika Videosport 3

 

Come Insert Kopeyki è arrivato nel dibattito mainstream

Lo scopo di Insert Kopeyki è in fondo un altro. L’orizzonte in cui si inserisce il libro è quello, appunto, della propaganda rossobruna: (apparente) anticapitalismo e antiamericanismo, ma anche xenofobia (i discorsi su una sostituzione etnica in corso che abbiamo già visto essere cari a Fergola), nazionalismo, omotransfobia e antifemminismo. Il libro rappresenta quindi un ennesimo (ed effettivamente raffinato) tentativo di far entrare la propaganda di estrema destra, inosservata, all’interno del mondo videoludico.

 

Compri un libro sui videogiochi e insieme ricevi una infarinatura di anticomunismo ed entri in contatto con i volumi di una casa editrice neofascista parte di una comunità basata sulla nostalgia per il nazifascismo.

 

L’operazione è riuscita: la più importante testata videoludica italiana, Multiplayer.it, è prontamente caduta nella trappola, pubblicando una recensione (piuttosto positiva) del testo e avvicinando così lǝ suǝ lettorǝ alla casa editrice neofascista e alle sue idee.

Segnalo che Fergola ha in passato collaborato proprio con tale testata videoludica (su DinamoPress abbiamo lungamente discusso delle sovrapposizioni tra comunità videoludiche ed estrema destra) e nel 2015, quando scriva già cose come«[la cultura odierna] non aspira a farci voler bene tra esseri di razze e culture diverse, ma a omologarci in un’unica razza priva di peculiarità», è stato intervistato dalla stessa testata in merito alla sua passione per la multinazionale videoludica giapponese Nintendo, di cui Fergola parla spesso anche nel suo blog Tra gioco, cultura e realtà.

 

Comunque, l’ingresso di Insert Kopeyki nel dibattito mainstream mi ha convintǝ del fatto che sia ora utile discuterne e capire quale sia la sua tesi e la propaganda che porta avanti.

 

 

Merkspiel gioco del cabinato tedesco Poly Play, emulato su Mame

 

Insert Kopeyki contro le economie non di mercato

Qualcosa ho già anticipato: Insert Kopeyki è principalmente un saggio anti-comunista. Nel libro il videogioco, trattato come mero bene di consumo, è visto come esempio della difficoltà dell’Unione Sovietica a confrontarsi con la produzione di, appunto, beni di consumo. Lo ha spiegato Fergola stesso durante una presentazione del volume. «I videogiochi sono beni di lusso. Mi è venuto in mente di concentrarmi sui videogiochi perché mi è sembrato l’approfondimento di un bene simbolo del non necessario, che in quei Paesi faticava molto a imporsi».

 

Il videogioco esisteva in Unione Sovietica e in generale nel blocco orientale, ma era relativamente poco diffuso e tecnologicamente indietro rispetto a USA, Europa e Giappone.

 

Raccontando i limiti della produzione videoludica nel blocco orientale, e quindi della produzione di beni di consumo, l’interesse di Fergola è mostrare il fallimento delle economie non di mercato e dimostrare così l’impossibilità (in generale) di un’economia non di mercato.

Per esempio, secondo Fergola i tentativi di riforma dell’economia pianificata sovietica fallirono perché «non oltrepassarono mai il dogma di principio che animava la società sovietica: l’impossibilità di concepire una iniziativa privata di largo respiro o addirittura l’esistenza di un mercato frutto della domanda dei consumatori». Ma i motivi del fallimento dell’esperienza socialista sovietica sono in realtà molteplici.

C’era, per citare alcuni di questi motivi, l’arretratezza (mai completamente risolta) della Russia al momento della rivoluzione del 1917 (come spiegato da Andre G. Frank), arretratezza che ha giocato un ruolo fondamentale nei problemi della Russia durante la rivoluzione informatica degli anni ’70-’80 e quindi dello sviluppo di software come i videogiochi.

Ricordiamo che invece, secondo Marx, il passaggio da un sistema produttivo a quello successivo avviene nel momento di massimo sviluppo (e quindi nel momento dell’esplosione delle sue contraddizioni e tensioni interne) e il passaggio al comunismo sarebbe dovuto quindi avvenire nelle economie capitaliste avanzate dotate già di un’ampia coscienza di classe.

Poi c’è stata la volontà di competere, sullo stesso piano, contro il mondo capitalistico, con una progressiva integrazione all’interno dell’economia globale (come spiegato da Eric J. Hobsbawm) culminata nella perestrojka, l’insieme di riforme promosse da Michail Sergeevič Gorbačëv dalla metà degli anni ’80.

Hans H. Holz, nel suo The Downfall and Future of Socialism, racconta come a partire dagli anni ’50 il Partito avesse incoraggiato «bisogni e desideri orientati verso uno stile di consumo occidentale, mentre lo sviluppo del socialismo doveva servire ad arrivare a un nuovo sistema di necessità, a nuove aspettative su quella che dovesse essere una vita degna di essere vissuta e, in breve, a una nuova visione del mondo».

In questo senso, ha ragione Fergola a ricondurre la produzione di videogiochi nell’Unione Sovietica, almeno all’inizio, al desiderio di rincorrere l’immagine di benessere trasmessa dalle società capitaliste («occorreva dimostrare che, in qualche maniera, il socialismo riusciva a sfidare il capitalismo anche in un settore secondario»). La stessa opinione l’ha espressa il docente e sviluppatore di videogiochi Paolo Pedercini a Jacobin: «Sappiamo dai cabinati sopravvissuti che i titoli esistenti derivavano in qualche modo dai prodotti occidentali. Immagino sia perché siano stati prodotti dopo il famigerato dibattito in cucina del 1959, quando lǝ Statunitensi mostrarono in Russia modelli delle case della classe media [statunitense] per affermare la superiorità dello stile di vita capitalistico. Questo convinse Chruščëv a dirigere più risorse verso beni di consumo e piaceri moderni. Quindi, questi primi giochi sovietici rappresentavano più una simbolica rincorsa al modello occidentale che uno sforzo organico e realmente sentito» (link nell’originale).

 

Nel libro non viene però tracciato alcun collegamento tra l’interesse dei Paesi del blocco orientale verso il videogioco e il loro interesse verso il gioco in generale.

 

Cabinato sovietico dal Museo delle macchine da gioco sovietiche, fonte Russian Geek su Youtube

 

«Quando sono stato al Museo delle macchine da gioco sovietiche a San Pietroburgo, ho avuto la sensazione che il videogioco sovietico sia molto legato alla storia del giocattolo sovietico», mi ha detto Vanetti. «L’attenzione verso l’infanzia in generale, verso il giocattolo, verso i giochi è sempre stata molto forte in URSS, per vari motivi. Uno dei motivi è l’anti-clericalismo. C’era idea che l’infanzia non andasse repressa e educata alla virtù, quindi che non ci debba essere una colpevolizzazione dell’infanzia, ma che l’infanzia sia il momento dell’istruzione, della formazione, in cui anche le cose che fai nel tempo libero concorrono alla tua formazione culturale e da cittadino. Ed è un’idea molto sovietica, sia di epoca pre-stalinista sia di epoca stalinista (con lettura diverse). Gli scacchi vennero promossi in URSS sin dall’epoca di Lenin, con un grosso investimento statale (motivo per cui l’URSS dominò poi la scena scacchistica mondiale), come modo per sviluppare il pensiero scientifico e razionale e contrastare le superstizioni religiose. Ma poi c’era una certa attenzione alla costruzione dei giocattoli, ai parchi giochi…».

Tornando ai motivi del deterioramento e della fine dell’esperienza sovietica, va inoltre citata la sopravvivenza di un’economia parallela e di mercato, soprattutto nelle aree periferiche (come spiegato già nel 1977 da Gregory Grossman nel seminale The Second Economy of the USSR). C’era anche, almeno a partire da Brežnev, una burocrazia (la nomenklatura) diventata strato sociale privilegiato (come spiegato da Michael S. Voslensky). E c’era la corsa agli armamenti della Guerra Fredda, sostanzialmente una (riuscita) tattica occidentale per sfiancare economicamente l’Unione Sovietica (come spiegato da Aleksandr Zinov’ev).

Una tattica che contribuì a convincere l’Unione Sovietica a privilegiare nella sua pianificazione economica l’industria pesante e militare tralasciando i beni di consumo destinati alla popolazione. «La burocrazia sovietica pensava (sbagliando) che la gara con gli Stati Uniti si facesse sulle tonnellate di acciaio», ha aggiunto Vanetti nella nostra conversazione. «Capisco perché lo pensasse, ma è una ingenuità: se avessero avuto più attenzione al consenso interno si sarebbero accorti che la cittadinanza avrebbe preferito reggiseni buoni come quelli che facevano in America rispetto a tonnellate di acciaio».

Ma c’era, tra i vari problemi, anche la difficoltà di pianificare un’economia in un sistema in cui mancava, o era falsato, il feedback che l’alto riceveva dal basso a causa della frammentazione del processo decisionale e degli interessi contrapposti dellǝ suǝ attorǝ (come spiegato da Silvana Malle).

 

C’era insomma difficoltà a conoscere i reali bisogni della società per cui quella economia dovrebbe essere pianificata.

 

E in questo gioca un ruolo anche l’assenza di democrazia, motivata sia dalla necessità di ammodernare rapidamente l’economia sovietica e dalla conseguente militarizzazione della vita lavorativa sia dall’accerchiamento da parte di Stati ostili e dalla conseguente militarizzazione della vita civile. «In Occidente c’è un sistema di mercato per far capire quale sia la richiesta della popolazione verso un bene di consumo», mi ha detto Vanetti. «In URSS invece non avevi modo di scoprire cosa la cittadinanza volesse. Sono convinto che si possa fare un’economia pianificata consapevole di bisogni e desideri delle persone, ma devi avere una forte democrazia dal basso».

La militarizzazione era anche concausa delle difficoltà nell’evoluzione tecnologia e informatica, in quanto il progresso veniva concentrato nel settore militare e arrivava solo limitatamente nella vita quotidiana delle persone (come spiegato da Giuseppe Boffa). Nel già citato articolo pubblicato su Atlas Obscura, Winet racconta che siccome parte della produzione di videogiochi in Unione Sovietica si svolgeva nelle industrie militari, i manuali delle macchine sono andati persi in quanto trattati come documentazione militare e quindi segreta.

 

Cabinato sovietico dal Museo delle macchine da gioco sovietiche, fonte Russian Geek su Youtube

 

 

Insert Kopeyki come propaganda keynesiana

In Insert Kopeyki, come alternativa all’economia non di mercato e pianificata dell’Unione Sovietica, ma anche al capitalismo statunitense, Fergola propone un’economia di ispirazione keynesiana, una proposta molto diffusa nella sinistra di destra. Il keynesismo (il nome viene dall’economista britannico John Maynard Keynes) è una «teoria dell’intervento statale nell’economia capitalistica per contrastare le fasi di contrazione del ciclo economico» (ho rubato la definizione a Vanetti).

Le sinistre di destra lo raccontano invece come una specie di terza via alternativa al socialismo e al capitalismo. «In un’epoca in cui il liberismo sfrenato ha mostrato di avere molti più limiti di quelli – pur innegabili – della tradizionale economia mista italiana, riscoprire Keynes è una necessità»,scrive altrove Fergola. Fergola individua un modello keynesiano (o pre-keynesiano) e quindi da imitare anche in quello adottato dal fascismo («un gigante di interventismo statale contemperato da una libera iniziativa privata»).

«Questo uso del keynesismo è il tentativo di combinare l’idea di una società alternativa al capitalismo con, di fatto, il capitalismo», mi ha spiegato Vanetti. «Il keynesismo dà questa suggestione, perché viene raccontato come una teoria alternativa di come far funzionare il capitalismo o addirittura come un’alternativa al capitalismo. Il gioco è trovare il modello economico che si accoppia bene con il nazionalismo, con il sovranismo. Se vuoi avere uno Stato forte, protezionista, che si tira fuori dal mercato mondiale, che usa una retorica nazionalista, che chiude le frontiere… solitamente hai necessità di un forte investimento statale, perché il capitalismo di puro mercato ha bisogno o di investimenti e scambi a livello mondiale o, se questi mancano, ha bisogno di un’entità nazionale (lo Stato) che lo appoggi. Il keynesismo è anche un modo per dare una veste sociale a nazionalismo e protezionismo: i movimenti rossobruni ti dicono che vogliono più Stato cercando di convincerti che vogliono più ospedali, ma se combini questo rafforzamento dello Stato al protezionismo e alla guerra commerciale è evidente che in realtà vogliano più portaerei».

Ne La sinistra di destra, Vanetti spiega anche il problema dell’applicazione attuale del keynesismo, che è «fuori tempo massimo perché rispetto al dopoguerra si sono esauriti i margini per un forte intervento pubblico e per coraggiose riforme sociali senza pestare i piedi al grande capitale. Quando si dice che la socialdemocrazia è morta […] ci si dimentica che è morta soprattutto per motivi economici: l’eccessivo indebitamento sia pubblico sia privato, legato anche al calo della crescita economica media. […] L’indebitamento e la limitazione alla creazione di moneta costringono lo stato a funzionare sempre più come un’azienda: deve riuscire ad avere un buon rendimento per ripagare i creditori. È come se i creditori fossero diventati gli ‘azionisti’ dello stato, che chiedono ogni anno i propri dividendi».

 

 

Videogioco come espressione del capitalismo

Con Insert Kopeyki Fergola vuole anche dimostrare che «la libertà di iniziativa economica, o per lo meno la possibilità di agire in parte su di essa, sia stata una prerogativa essenziale per la creazione e la diffusione del media [sic]», cioè del videogioco.

È vero che il videogioco e in generale l’informatica, come lǝ conosciamo noi, sono un prodotto del capitalismo e dell’imperialismo statunitense e della sua ricerca militare, all’interno della quale nascono i primi computer e i primi videogiochi. E per quanto i videogiochi del blocco comunista abbiano avuto degli elementi di originalità (nei cabinati sovietici, per esempio, mancavano le classifiche dei punteggi), è innegabile che siano almeno in parte cloni di prodotti delle economie capitaliste, come abbiamo già visto.

 

L’Unione Sovietica non è, in questo senso, riuscita pienamente a esprimere un videogioco post/anti-capitalistico o un’informatica post/anti-capitalistica.

 

Nonostante un’iniziale (e solo formale) opposizione all’idea dell’essere umano come macchina promossa dalla cibernetica occidentale, l’URSS ha sviluppato computer con gli stessi scopi, in gran parte militari, di quelli statunitensi, a partire dagli anni ’70, agli albori della Storia del videogioco, si è prevalentemente limitata a copiare tecnologie occidentali o giapponesi e i computer club nella Germania dell’Est importavano, quando potevano, computer prodotti nei Paesi capitalisti.

Da notare che Fergola non inserisce lo sviluppo del videogioco nella più ampia storia dell’informatica sovietica, quindi non contestualizza le difficoltà dell’URSS nella produzione dei videogiochi all’interno delle difficoltà dell’URSS nel settore informatico. Nel rapporto The Soviet Union and the Personal Computer “Revolution” del 1988, R . A . Stapleton e S . E. Goodman scrivono che «l’Unione Sovietica sta incontrando grandi difficoltà in tutti [gli] stadi [della produzione e del consumo di computer], dalla progettazione all’implementazione nell’economia. In molti aspetti, l’URSS è ancora alla casella di partenza nel suo tentativo di raggiungere il tremendo successo occidentale nella diffusione di personal computer nell’economia e nella società».

 

Questo ennesimo fallimento del comunismo sovietico non esclude che un videogioco diverso sarebbe potuto nascere, con investimenti congrui, all’interno di un’economia socialista che non avesse scelto di rincorrere l’immagine di benessere imposta a tutto il mondo dal soft power statunitense.

 

Perestroika di Locis

 

D’altra parte, il socialismo non si pone come alternativa, parallela, al sistema di produzione capitalistico ma come suo superamento, cioè costruisce a partire dalle macerie del capitalismo (come il capitalismo ha costruito sulle macerie del sistema di produzione precedente).

Questo vuol dire che anche se si intende il videogioco come medium tipicamente legato al capitalismo, come anche il romanzo borghese e la pittura a olio, non è impossibile immaginare un superamento di questo modo di fare e pensare il videogioco come conseguenza del superamento del capitalismo, come non è impossibile immaginare una pratica post-capitalistica di pittura a olio in una futura economia socialista.

Nel mondo esistono anzi già centinaia, migliaia di software sviluppati ai margini del sistema capitalistico di produzione e distribuzione. C’è chi, come l’attivista e critica radicale Marijam Didžgalvytė, sta parlando da anni della necessità anche di hardware costruiti fuori dal circuito capitalistico e imperialistico, facendo notare che un videogioco (e in generale un software) post/anti-capitalistico non può girare su una macchina costruita sfruttando le risorse e la forza lavoro della parte più povera del pianeta a favore della parte più ricca.

Nintendo, per tornare alla multinazionale tanto amata da Fergola, è stata per lungo tempo una delle peggiori compagnie tecnologiche per quanto riguarda l’uso di conflict minerals, oro, stagno, wolframio, tantalio estratti in gran parte in Africa (nella zona della Repubblica Democratica del Congo) usando a volte manodopera ridotta in schiavitù e venduti per finanziare conflitti armati. Nel 2019, nonostante miglioramenti, il 17% delle fonderie e raffinerie che riforniscono Nintendo non rispettavano ancora gli standard stabiliti dalla Responsible Minerals Initiative.

Sony, che produce le console PlayStation, è in una situazione simile: solo l’82% delle aziende che forniscono i minerali usati nei suoi hardware sono conformi. Valve, che controlla la principale piattaforma di distribuzione digitale di videogiochi per PC, si rifiuta persino di rispondere a richieste di informazioni sulla provenienza dei minerali con cui viene fabbricato il suo dispositivo per la Realtà Virtuale Valve Index. Al videogioco (e a chi lavora nel suo mondo) farebbe bene un po’ di socialismo.

 

Perché una casa editrice neofascista pubblica un libro sul videogioco nell’URSS?

È quindi il momento di rispondere finalmente alla domanda che dà il titolo a questo articolo: perché una casa editrice neofascista pubblica un libro sul videogioco nell’URSS? Arrivatǝ qua, la risposta sembra evidente: parafrasando il sottotitolo de La sinistra di destra («Dove si mostra che liberisti, sovranisti e populisti ci portano dall’altra parte») una casa editrice neofascista pubblica un libro sul videogioco nell’URSS per portare lǝ videogiocatorǝ dall’altra parte.

 

L’immagine di copertina è tratta da  Insert Kopeyki, i videogiochi nell’universo comunista