ROMA

Roma, sul patrimonio hanno ragione le associazioni. Parola del Tar

Il Tribunale amministrativo regionale dà ragione al ricorso presentato dalla Casa dei diritti sociali: la delibera 140/2015 da cui sono partiti ordini di sgombero e richieste di canoni arretrati per associazioni e centri sociali non ha valore vincolante

Dal 2016 le associazioni di volontariato, i centri sociali e gli altri enti che da tempo gestivano gli immobili del Comune di Roma, aspettavano una pronuncia favorevole della Giustizia Amministrativa sulla valenza o meno della Delibera n. 140/2015 voluta dalla giunta Marino, dopo le pronunce favorevoli della Corte dei Conti.

Finalmente il TAR Lazio ha confermato quello che i ricorrenti sostengono fin dall’inizio di questa vicenda: la Delibera n. 140/2015 non ha alcun valore vincolante, essendo soltanto programmatica.

Questa considerazione disvela quanto l’agire dell’Amministrazione capitolina negli anni passati, in materia di gestione del proprio patrimonio indisponibile – destinato naturalmente alla funzione sociale – sia stato illegittimo, omissivo e assolutamente lesivo dell’interesse di tutta la cittadinanza.

Riepiloghiamo brevemente la vicenda.

Nel 2009 il Comune di Roma, Giunta Alemanno, decideva di non rinnovare le concessioni degli immobili in favore delle realtà sociali che, come la Casa dei Diritti Sociali, se li erano visti assegnare tramite l’iter dettato dalla Delibera n. 26/1995, sulla base del Regolamento n. 5625/1983. O, meglio, decideva di non rispondere alle richieste di legittimo rinnovo avanzate dalle associazioni in base alla facoltà espressamente prevista proprio nell’atto di concessione.

Al contempo, tuttavia, provvedeva a rivalutare e ricalcolare i canoni e li comunicava alle concessionarie, le quali, ovviamente, continuavano a corrispondere mensilmente quanto dovuto e a svolgere la propria attività in favore della collettività.

Seguivano le indagini della Corte dei Conti, tese a verificare eventuali responsabilità contabili dei dirigenti del Dipartimento al Patrimonio nella gestione degli immobili comunali.

Proprio in questo momento la Giunta Marino, con Luigi Nieri assessore al patrimonio, decideva di approvare una delibera meramente programmatica e non cogente, che verrà in seguito utilizzata come una clava nei confronti di tutti i soggetti che operano nel sociale: la Delibera n. 140 del 2015.

Delibera che detta i criteri da utilizzare ai fini della riacquisizione di tutto il patrimonio capitolino indisponibile da affidare, poi, in concessione tramite le procedure che avrebbero dovuto essere dettate da un futuro regolamento, tuttavia mai approvato.

Una norma che, nelle intenzioni dei promotori, avrebbe dovuto avviare un percorso di approvazione di un nuovo Regolamento per l’assegnazione degli immobili in concessione ed in locazione ed abrogare la delibera – di iniziativa popolare – n. 26 del 1995.

Caduto Marino arrivava, però, il Commissario Tronca, che approvava il bilancio di Roma Capitale portando in perdita i canoni concessori e le locazioni non riscosse a valore di mercato da parte del Comune di Roma, seguendo le tesi nefaste del Procuratore Generale presso la Corte dei Conti, poi sconfessate dalla stessa Corte.

Gli uffici del Patrimonio e in particolare i Dirigenti sotto processo per danno erariale, presi dal terrore, facevano quindi partire le lettere dirette a tutte le associazioni concessionarie di immobili facenti parte del patrimonio indisponibile, alle quali veniva intimato l’immediato rilascio. Alcune hanno avuto la forza, gli avvocati, nonché la possibilità economica, di impugnare tali comunicazioni innanzi al TAR Lazio, tra quali FOCUS-Casa dei Diritti Sociali.

Altre, invece, sono state costrette ad arrendersi all’ingiustizia e all’arroganza dell’Amministrazione, che con un colpo di spugna ha inteso cancellare tutto quello che le realtà sociali hanno prodotto in questa città – specialmente in quartieri periferici nei quali le istituzioni sono da sempre assenti – dalla cultura indipendente al sostegno alla persona, dall’istruzione dal basso a spazi di socialità e presidi di democrazia.

La Casa dei Diritti Sociali, attiva dal lontano 1985 nel territorio dell’Esquilino con scuole, sportelli socio legali e molto altro, aveva richiesto il rinnovo addirittura già a metà del 2009 e, solo nel 2016, si vedeva recapitare la comunicazione del relativo diniego, motivato proprio con quanto disposto dalla Delibera 140.

Finalmente è lo stesso TAR del Lazio a stigmatizzare l’operato di Roma Capitale, dichiarandolo illegittimo e annullando la lettera di diniego del rinnovo e di intimazione alla restituzione.

Nella sentenza con cui annulla il provvedimento di riacquisizione dell’immobile, il TAR sottolinea che l’Amministrazione ha agito in spregio dei più comuni principi del diritto amministrativo.

Innanzitutto, afferma che la Delibera 140 non ha alcun valore vincolante, in quanto non detta nuovi criteri per le concessioni né potrebbe farlo, le disposizioni legislative in materia di patrimonio, infatti, devono essere approvate dal Consiglio e non dalla Giunta. Ne consegue, quindi, che la delibera n. 26/1995 non è mai stata abrogata e, anzi, è oggi pienamente efficace, come anche il Regolamento del 1983.

Non viene tuttavia affermato solo questo. Il TAR, infatti, aggiunge che il provvedimento impugnato non costituisce, come dovrebbe, il frutto di un’adeguata ponderazione degli interessi coinvolti. Anzi, a ben vedere, non viene neppure chiarito quale sia l’interesse pubblico sotteso alla riacquisizione dell’immobile in cui l’Associazione svolge le proprie attività, di cui tra l’altro il Comune si è sempre avvalso. E riconosce all’attività svolta dalla Casa dei Diritti Sociali una notevole valenza pubblica, ritenendo giusto per tale ragione la riduzione del canone e riconoscendo un ruolo all’Associazione pari a quella svolta da Enti internazionali, quali UNHCR.

Inoltre, il provvedimento censurato non è neppure motivato dall’Ente locale, in quanto il Comune avrebbe dovuto valutare la portata dell’attività svolta dalla Associazione, attività che, in mancanza, avrebbe dovuto svolgere il Comune stesso.

Si tratta, al contrario, di un “copia e incolla” delle centinaia di lettere che il Dipartimento Patrimonio, preso dalla paura del danno erariale, ha inviato per ottenere lo sgombero degli immobili capitolini. Proteggendo i propri Dirigenti e scaricando tutti i cittadini che si avvalgono delle attività sociali.

Ed è tramite un copia e incolla che il Comune avrebbe voluto desertificare la nostra città, nella quale da sempre operano corpi intermedi che la rendono viva, che costituiscono veri e propri presidi di libertà e aggregazione all’interno di territori sempre più vessati e abbandonati. Realtà che risvegliano e riattivano competenze ormai sopite dalla crisi. Realtà che vanno difese e valorizzate, senza se e senza ma.

Il pensiero va quindi a chi non è riuscito a resistere – perché purtroppo di resistenza si tratta – alla “violenza” del Comune. A chi ha dovuto riconsegnare immobili che con fatica aveva restituito alla cittadinanza e che ora sono destinati, chissà per quanto tempo, all’abbandono e al degrado.

Questa sentenza però ci dà nuova forza per continuare a opporci alle politiche comunali ottuse e ci riconsegna una certezza: dalla parte del torto non eravamo certamente noi.

Dà, inoltre, forza a chi in questi giorni ha intrapreso una critica costruttiva al regolamento in gestazione per giungere prima della fine di questa amministrazione Comunale a nuove assegnazioni e nuove concessioni e locazione di spazi che dal basso possono modificare e migliorare la nostra Città.

I due autori sono avvocati presso lo sportello di assistenza legale dell’associazione Focus – Casa dei diritti sociali e hanno portato avanti il ricorso al Tar