Riflessioni sul colore arancione

“Da Roma può partire un impulso diverso. Usare la forza dei percorsi nazionali dentro un quadro più ricco”.

Il futuro ha sempre un prezzo da pagare al passato, che come un macigno zavorra il cammino. L’apparente nuovo ha sempre due facce.

Grande coalizione, patto progressisti e moderati, legislatura costituente, sono tutte coperture semantiche da affibbiare al ritorno del compromesso storico. Eugenio Scalfari ha il ruolo di grillo parlante, che dice la verità che Bersani rivela solo oltralpe e Vendola nasconde dentro frasi incomprensibili, altro che narrazione. Prima del voto, dopo il voto, nonostante il voto, con Monti al Governo o al Quirinale. Dettagli.

Anche in questa nuova versione il cuore del compromesso storico è la limitazione della democrazia sostanziale nel nostro paese. L’austerità, la fine del welfare, il fiscale compact, il pagamento del debito, l’attacco alla contrattazione, il programma è stato scritto. A tutti i costi, la vicenda dei referendum sui beni comuni sono lì a ricordarcelo. Non cedo ad alcuna semplificazione, ma chi nel PD vorrebbe un serio partito socialdemocratico e chi abbraccia la teoria cara a Sel per cui la sinistra cresce solo se non chiede all’elettorato del Pd un salto traumatico, nega i fatti. La carta d’intenti che trancia ogni dissenso, Bersani che benedice l’eliminazione dell’art.18, per fare degli esempi. Dentro questo quadro c’è solo da seguire l’onda.

E fuori? qualcosa si muove, sempre di più. C’è un colore, l’arancione, a fare da cornice comune di chi non ci sta. Quello è il luogo in cui stiamo e indaghiamo, ma con senso critico, senza negare gli aspetti che non ci convincono.

L’ipoteca giustizialista sul percorso è molto forte ed è l’ovvio precipitato delle vicende a sinistra degli ultimi vent’anni. E la Storia, si sa, si fa con i se. Se rifondazione nel 2001 avesse deciso di sciogliersi nei movimenti e avesse consentito la costruzione di uno spazio tra pari tra le diverse forme dell’agire politico, forse adesso, che siamo di fronte ai disastri descritti dal movimento, lo spazio dell’alternativa avrebbe una dominanza di discorso diversa. Invece abbiamo avuto altro. Lo scontro tra Berlusconismo e antiberlusconismo, dove il primo negava la legalità e il secondo l’affermava, in una dialettica rigida, smarrendo che la giustizia spesso si fa violando la legge ingiusta e che, come si studia nei manuali di giurisprudenza, i fatti dei tanti si impongono alla legge che non li comprende. La politica non si fa solo con i voti, ma anche con i cuori, con le gambe e con le menti.

Da Roma può partire un impulso diverso. Usare la forza dei percorsi nazionali dentro un quadro più ricco. L’assemblea di sabato di “Cambiare si puo’” a Roma ne è stata la prova. IL rispetto delle differenze di genere, la parità tra diritti civili e diritti sociali, la chiusura delle carceri e la fine della tortura, per fare degli esempi, sono temi che esprimo sensibilità diverse rispetto a quelle lette, per intenderci, nella lettera di Ingroia a Bersani.

E soprattutto la biografia di Sandro Medici è una impronta che permette un discorso ricco. Qui partiamo dalla vicinanza ai movimenti, dall’esperienza istituzionale caratterizzata da esperimenti di autogoverno, dalla disobbedienza istituzionale (ad esempio le requisizioni) e dalle forzature come i registri delle coppie di fatto e del testamento biologico.

Nel tempo dei populismi, possiamo sperimentare una rivoluzione gentile, un leader di servizio, una figura di garanzia che frena le abiure ma favorisce le autocritiche, una voce delle decisioni democratiche prese insieme non un capopolo. E’ questo il punto, a Roma forse si puo’ sperimentare quello che la Storia ci avrebbe potuto fare conoscere. Uno spazio tra diversi, che con pari dignità sperimentano forme nuove di democrazia, partecipazione, conflitto, politica, discussione. E contemporaneamente iniziare la faticosa strada per conquistare la città.

Ma non c’è un’asse da spostare. La carta d’intenti è una pistola carica sul tavolo. il baricentro del discorso sta altrove e la carta d’intenti lo spiega bene.