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Raquel Rolnik: «La casa non può essere assoggettata alle logiche finanziarie»

Una intervista a Raquel Rolnik, architetta e urbanista brasiliana, sulla necessità di promuovere politiche abitative che rispondano ai bisogni delle persone e che si appoggino all’iniziativa popolare

Raquel Rolnik è un’architetta e urbanista brasiliana. Da più di quarant’anni è ricercatrice universitaria ma anche attivista per l’inserimento dei diritti umani all’interno delle politiche urbanistiche, di pianificazione cittadina e sulla questione abitativa. A sua volta, è stata promotrice delle politiche di edilizia popolare, di urbanistica e di sviluppo locale durante il governo del Partito dei Lavoratori (PT) guidato dall’ex presidente Lula Da Silva. Tra il 2003 e il 2007 è stata Segretaria Nazionale per i Programmi Urbani del Ministero della Cittadinanza del Brasile.

Nel maggio 2008, nel pieno della crisi finanziaria ipotecaria, il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite l’ha nominata per sei anni Relatrice Speciale delle Nazioni Unite per l’edilizia abitativa. In questo ruolo, la ricercatrice ha analizzato e sostenuto le denunce di violazioni dei diritti umani in materia abitativa.

Di recente, è uscito in Argentina il suo ultimo libroLa guerra dei luoghi. Colonizzazione di terre e abitazioni nell’era della finanza, co-pubblicato da Editorial El Colectivo e Lom Ediciones con il sostegno dell’Oficina Cono Sur della Fondazione Rosa Luxemburg. Come Jacobin America Latina, abbiamo potuto parlarle sul tema della produzione della città nel contesto attuale e sulle possibili alternative popolari che rispondano alla finanziarizzazione del diritto alla casa.

Il tuo ultimo libro, La guerra dei luoghi, uscito recentemente in Argentina, rappresenta un elemento essenziale per ripensare la città e comprenderla all’interno dell’intreccio delle relazioni di potere. Parli della colonialità del potere e del suo impatto attraverso la finanza globale. Perché è importante parlare del potere coloniale oggi?

L’intero percorso del libro La guerra dei luoghi è nato dalla mia esperienza come Relatrice Speciale per il diritto a un’abitazione adeguata da Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (ONU) a partire dal 2008, che è coincisa proprio con la crisi finanziaria sui mutui. Così, cercando di individuare le ragioni e le origini della crisi finanziaria sui mutui svolgendo il mio lavoro di relatrice visitando diversi paesi del pianeta, mi sono resa conto che ci trovavamo di fronte ad un processo globale, al di sopra di qualunque processo particolare e dei suoi territori.

Quindi l’ho interpretato come metafora (anche se in realtà non molto calzante) di un’occupazione territoriale dello spazio creata dalla finanza. Ecco perché stiamo parlando di un nuovo potere coloniale. Perché l’idea di colonialità è importante per cercare di aumentare la nostra comprensione di questo fenomeno? Perché si tratta di una triplice occupazione: materiale, politica e culturale. È un’occupazione materiale, perché ogni porzione di territorio del pianeta è preda di una logica di occupazione e gestione degli spazi instaurata attraverso regimi privati di controllo territoriale con l’obiettivo di generare interesse per il capitale investito.

Però è anche un’occupazione politica, perché, come ad esempio in Brasile, ogni volta che le politiche pubbliche nazionali vengono discusse, i media titolano: «Il mercato è nervoso». Ma qual è il mercato che “si innervosisce”? È il mercato finanziario. È qualcosa che va oltre, che è astratto, che non ha legami con i territori ma che si sovrappone alle dinamiche esistenti, le controlla e le sottomette politicamente. Per i “nervi” del mercato cadono presidenti, primi ministri, coalizioni politiche, quindi è anche un’occupazione politica.

E infine, proseguendo con la metafora della colonialità, questa è anche un’occupazione culturale. È un’imposizione di determinati modi di riorganizzare lo spazio, se prendiamo come esempio i centri commerciali, gli shopping center, che non sono altro se non un nuovo modo di organizzare la socialità legato ai processi di consumo. L’imposizione culturale di un modo di vivere, di un modo di esistere e di essere sul pianeta. L’idea di colonialità va ben oltre l’idea di colonialismo, che è un qualcosa del passato. Abbiamo a che fare con un rinnovamento del concetto e della presenza coloniale sul pianeta.

Nel libro dici anche che l’affitto è «la nuova frontiera della finanziarizzazione della casa». Che posto occupa il meccanismo degli affitti nel sistema finanziario e quali dovrebbero essere le risposte dei governi?

È molto interessante osservarlo dal punto di vista del processo di accumulazione e finanziarizzazione degli alloggi. Quello che abbiamo potuto osservare nel ciclo precedente, che ha portato alla crisi finanziaria sui mutui, è stata la presentazione della proprietà della casa come qualcosa di nuovo. Perché, nonostante in alcuni paesi socialdemocratici le lotte storiche dei lavoratori avessero trasformato l’idea della casa come terreno di azione dell’edilizia sociale in qualcosa di reale, in molti altri paesi è rimasta soltanto un’illusione, come nel caso dell’America Latina. Però, sebbene fosse un’illusione, anche qui c’è stato questo cambiamento secondo il quale la casa non è un diritto sociale e non fa parte di una politica di welfare (né come realtà né come illusione) ma deve trasformarsi in merce, in attivo finanziario, ed in questa direzione sono state promosse in tutto il mondo politiche di ampio respiro di sostegno alla promozione della casa di proprietà tramite il credito immobiliare e ipotecario, mettendo a disposizione per queste operazioni anche ingenti finanziamenti pubblici.

La casa è diventata un elemento di passaggio del circuito finanziario e dei suoi disavanzi per poterne ricavare interessi e immobili. Così si è trasformata in un attivo economico promosso anche culturalmente, in maniera tale che dando la casa come garanzia è possibile creare debito e finanziare i consumi ma anche finanziare i diritti. Vale a dire, finanziare l’istruzione a pagamento, la sanità privata e anche parte degli investimenti dei sistemi pensionistici privati, ovvero, inserire tutto questo in un circuito permanente di valorizzazione finanziaria e di indebitamento.

Raquel Rolnik. Foto: Roque de Sá/Agência Senado

E qual è stato il risultato?

Il risultato di questo primo ciclo è stata un’enorme concentrazione di profitti nelle mani dei gestori finanziari e un ciclo di espropriazione, con conseguente perdita di valore, fallimento delle imprese di costruzione e pignoramenti ipotecari. Mi riferisco specialmente al processo nordamericano. Però, dopo questo ciclo, lo stesso modello di sostegno alla casa e alla proprietà attraverso il credito immobiliare è stato applicato anche nella periferia del capitalismo. Lo vediamo chiaramente con il modello cileno, diffusosi poi in America Latina, in Africa e in varie parti della periferia del capitalismo.

Ovviamente, nemmeno nella periferia del capitalismo europeo né in quello statunitense sono riusciti a porre fine alla questione abitativa o al fatto che molte persone non hanno un posto dove vivere o non possono permetterselo e, quindi, c’è una nuova ondata di tutto quello che l’emergenza abitativa ha significato nei paesi centrali del capitalismo: una nuova ondata di investimenti nell’edilizia abitativa in questa seconda ondata di affitti.

Con gli affitti come nuovo fronte per la finanziarizzazione dell’abitare, gli stessi agenti finanziari e gestori di fondi globali coinvolti nella promozione della casa di proprietà sono diventati signorotti, proprietari, speculatori con migliaia di immobili da affittare. E adesso, in termini di politiche pubbliche, ancora una volta vediamo una massiccia promozione in ogni parte del mondo dell’idea secondo la quale «Deve esserci un settore professionale e aziendale degli affitti». E via così, allargando un po’ il campo (che è proprio quello che fanno gli Stati) per questa nuova fonte finanziaria.

Inoltre, fenomeni come Airbnb: piattaforme digitali di mobilitazione dello spazio costruito con la privatizzazione e la vendita di quelle case che spettavano alle banche per via delle obbligazioni ipotecarie per gestori finanziari. Tutto questo processo ha anche trasformato l’affitto in nuovo fronte di valorizzazione della casa, lavorando adesso molto di più sull’idea di estrazione di interessi e rendimento dal tempo piuttosto che dallo spazio. Anche il tempo trascorso nell’abitazione viene convertito in unità di estrazione di valore e avanza ancora di più verso un nuovo modo di sfruttare il plusvalore. Ad esempio, su Airbnb, le persone stesse mettono il proprio lavoro e il proprio tempo affinché le piattaforme digitali possano estrarre questo plusvalore.

Nel libro parli di persone «senza luogo». Nel contesto brasiliano, il senza tetto di oggi è il senza terra degli anni ‘80, e ci parla di una continuità della logica di esclusione e di emarginazione ma anche della permanente estrazione di rendita dai terreni agricoli e urbani. Quali sono le esperienze di resistenza di persone «senza luogo» oggi? E, in particolare, qual è il ruolo delle donne?

L’intero processo mette in moto la lotta per la casa. È un processo che genera un nuovo gruppo o un nuovo segmento di espropriati ed espropriate. Sulla questione abitativa c’è una presenza femminile importante, non solo nel processo di indebitamento ma anche in quello di espropriazione così come nell’organizzazione della lotta per l’abitare. Quindi ecco tutta una nuova generazione di organizzazioni e di lotte per la casa in diverse parti del mondo. Organizzazioni di persone colpite da mutui e pignoramenti, sindacati di inquiline e inquilini, organizzazioni di inquilini, movimenti per il blocco degli affitti e di denuncia dei contratti in nero finalizzata a una regolarizzazione. Ad esempio, in Brasile c’è una nuova ondata di occupazioni di case nelle periferie ma anche nelle aree centrali: San Paolo del Brasile è un esempio molto forte di questa nuova ondata.

Da quando l’edilizia abitativa si è trasformata in un terreno di gioco finanziario per la finanza globale, la pressione speculativa sui prezzi è molto maggiore perché si tratta di un’immensa massa di capitale finanziario globale che cerca sbocchi dove investirsi. Esistono nuovi strumenti finanziari che mettono in collegamento lo spazio costruito con la finanza e la sua circolazione dinamica: titoli finanziari che mettono insieme capitali e ne permettono il libero ingresso e la libera circolazione. È così che i più poveri si ritrovano con il loro basso reddito a dover competere per la localizzazione contro questo capitale pronto a entrare ed essere investito e con un’aspettativa di remunerazione a medio e lungo termine, non immediata. Trattandosi di un attivo finanziario, non ha nemmeno bisogno di essere utilizzato e possiamo parlare quindi di una specie di “boom dei prezzi immobiliari”, che permane anche durante periodi nei quali la crisi assume caratteristiche più ampie e globali.

Si forma così un’agenda di organizzazione e di lotta molto importante. In alcuni paesi le lotte per la casa non si vedevano più da tempo e adesso stanno rinascendo. In paesi come il Brasile e l’Argentina, le lotte per la casa sono sempre state importanti e continuano ancora più intense.

A proposito di Brasile, l’anno prossimo si terranno le elezioni presidenziali. Cosa potrebbero dirci sul contesto attuale e qual è secondo te la posta in gioco nel 2022 in termini del diritto alla casa?

Durante l’era Lula e del governo del PT, il Brasile ha vissuto una forte finanziarizzazione dell’edilizia abitativa attraverso il sostegno alla casa con il credito ipotecario, che però conteneva anche alcuni microelementi della possibilità di erogare prestiti a entità autogestite. Alcuni immobili sono stati realizzati anche direttamente dal mercato con un enorme finanziamento da parte delle casse pubbliche, conosciuto come il programma “Mi casa, mi vida” [“Casa mia, vita mia” – ndt], che ha prodotto alloggi in città e nelle periferie ma che però non è riuscito (per il modello stesso e per una mancata applicazione) a garantire la qualità abitativa per la gente.

Ma quello che è successo dopo il colpo di stato contro Dilma è stata l’interruzione totale dei programmi abitativi. Tutti i finanziamenti che erano stati allocati nel programma “Mi casa, mi vida” sono finiti. Stiamo attraversando una delle crisi abitative più gravi che abbiamo mai visto in Brasile. La quantità di popolazione che vive per strada è qualcosa di assolutamente impressionante e su una scala che non avevo mai visto prima e anche il numero di nuove occupazioni è molto elevato nelle periferie. E non soltanto non esistono politiche pubbliche del governo Bolsonaro a livello federale, ma quelle a livello statale o municipale nelle città è come se non ci fossero.

Anche in questo contesto credo che la lotta per la casa stia cominciando a crescere. Una campagna molto importante che ha ottenuto molto a livello territoriale in Brasile è la campagna “Zero sfratti” per evitare che le persone vengano sfrattate durante la pandemia. È importante in termini di articolazione reale della questione abitativa con una certa capacità di incidere sulle misure di blocco degli sfratti, che in alcuni casi si è rivelata importante e che ha posto la questione sul tavolo. Tuttavia, la decisione della Corte Suprema Federale con la quale è stata approvata questa sospensione degli sfratti finirà a marzo.

Quella che abbiamo è una situazione molto complicata e penso che sarà un tema importante della campagna elettorale. Lo sarà anche la questione abitativa, perché in tutto questo periodo in cui non c’era politica, gli insediamenti spontanei e le occupazioni abitative sono cresciute molto, così come credo che la lotta per la riqualificazione degli edifici occupati, per l’urbanizzazione e il consolidamento degli insediamenti sarà una battaglia molto importante.

Spero che ci sia una politica abitativa importante e che non si ritorni ad un programma come “Mi casa, mi vida”, perché penso che questa è una discussione su tutto quello che è la ricostruzione post-crisi e post-pandemia: per tornare a quello che dicevamo, l’idea che la casa e le politiche abitative siano state storicamente disegnate dal settore industriale, dall’edilizia e dal settore finanziario deve cambiare. Dobbiamo insistere sul fatto che non può essere così, che le politiche abitative non devono essere soggette a logiche finanziarie ma alla logica dei bisogni delle persone e generare di conseguenza politiche molto più decentralizzate, di sostegno alle iniziative abitative popolari, alle cooperative già organizzate, alle realtà e alle esperienze di autogestione che già abbiamo. Spero che avremo un sostegno maggiore per queste proposte e una visione molto più critica verso i programmi di promozione intensiva della casa in generale, in ogni parte del mondo e non soltanto in Brasile.

Come proponi nel tuo lavoro, se osserviamo in chiave globale, vediamo che è attualmente in corso un processo di trasformazione che ha a che fare con la produzione della città. Questo ha portato alla riconfigurazione del ruolo dei governi locali e dei meccanismi di partecipazione, nonché all’incorporazione di enti e leggi che affrontano la questione dell’habitat. Tuttavia, molte volte tutto questo rimane solo nei discorsi, senza una reale partecipazione. Qual è la tua lettura di questi cambiamenti istituzionali?

Credo che la questione sia definire il “luogo di definizione della politica pubblica”. Soprattutto nelle politiche abitative, il luogo di definizione è il dialogo con l’industria edile civile e l’industria finanziaria e, quindi, la domanda centrale è quante nuove case possiamo produrre e quanto credito immobiliare possiamo investire. Questa è la domanda centrale, non quali siano le necessità delle persone. Cambiare totalmente il luogo di definizione implica una lettura molto più chiara e dal basso delle esigenze specifiche dell’abitare.

Significa anche tagliare il legame tra la finanza e la casa. Si tratta di immaginare forme di organizzazione abitativa molto meno suscettibili di finanziarizzazione. Ad esempio, cooperative, discussioni collettive, ovvero modalità collettive e solidali di organizzare il legame con il territorio in maniera tale da poter generare spazi protetti dalla messa a valore degli immobili, dedicati alla vita e non all’affitto. Credo che questo sia molto importante e che l’obiettivo delle politiche pubbliche dovrebbe essere quello di sostenere queste iniziative con risorse pubbliche, invece di progettare iniziative che non dialogano con nessuno.

Articolo pubblicato originariamente su Jacobin America Latina, che ringraziamo per la gentile concessione. Traduzione in italiano di Michele Fazioli per Dinamopress

Camila Parodi è un’antropologa e giornalista femminista argentina, appartenente a Marcha. Attualmente lavora come dipendente pubblica per l’integrazione delle politiche di urbanizzazione e dell’habitat popolare.

Raquel Rolnik è un architetta e urbanista brasiliana. È stata Segretaria Nazionale dei Programmi Urbani del Ministero della Cittadinanza durante il governo di Lula da Silva. È autrice di La guerra dei luoghi: la colonizzazione della terra e delle abitazioni nell’era della finanza (El Colectivo / Lom Ediciones).