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Quando la banda passò

Ora la Libera Repubblica di San Lorenzo ha anche il suo inno

Può una musica “dondolante” come lo swing attraversare un luogo urbano squadrato per eccellenza come è il quartiere romano di San Lorenzo e riuscire a raccontarlo?

Il risultato di questa missione impossibile è in Libera, l’inno della Libera Repubblica di San Lorenzo eseguito dalla The Club Swing band, ora anche in forma di un video orchestrato da Mezcla Prod – collettivo romano di videomakers, musicisti, fotografi, grafici ed animatori- che, per la solennità dell’occasione: il comunicare che esiste, oltre la bandiera, anche l’inno, ha deciso di mettere in campo una strategia adeguata al momento.

Sapendo bene che il quartiere non può essere affrontato né con le buone seducendolo; né tanto meno, come chi- fascisti e non solo- ci ha provato con le cattive attaccandolo, il video chiede con gentilezza alla musica l’opportunità di fare quello che sa fare.

Stando a quello che vediamo, scopriamo che è tanto. Immagini e musica riescono a farci capire che le parole dell’inno sono le parole di tutti. Di chi non vuole continuare a restare schiacciato per sempre all’interno di quel mondo disegnato ed ordinato dai dettami della precarietà. Di chi pensa che non ci sia nulla d’impossibile e che i sogni, non solo per Cenerentola, sono desideri di felicità.

The Club Swing Band – Libera from Mezcla Prod on Vimeo.

A San Lorenzo tutto è possibile, perché la pasta con cui il quartiere è nato ancora lievita, riuscendo a non far interrompere quella strana alchimia che porta a sceglierlo come luogo dove: abitandoci, vivendoci, lavorandoci o frequentandolo, non importa, ci si riconosce uguali; ci si lega gli uni con gli altri nell’avere interessi comuni. A partire dal come risolvere il problema di ognuno di noi: non sapersi vedere in questo modello di città.

Mezcla. Prod sa bene che le parole per essere ascoltate debbono, prima di tutto, riuscire a catturare l’attenzione di quelle facce che poi, a loro volta, le ripeteranno. Così chiede ai The Club di farsi “banda”, una moltitudine di corpi in continua aggregazione che da il via al viaggio con cui partire all’interno di quel quartiere compatto, denso di palazzi senza verde con vuoti assassini, per dribblare, proprio con le note, gli angoli infiniti che spartiscono i palazzi tra loro e quest’ultimi dalle strade.

Cosa meglio di una banda infatti per far si che quel ritmo dondolante, non fatto per far restare impalato chi lo ascolta, sgomitando tra le quinte dei palazzi sempre troppo ravvicinate tra loro, possa conquistare lo spazio di uno slargo, di una piazza, per puntare verso il cielo, e soprattutto, come potranno quelle note riuscire (non serve proprio a questo la musica?) a tirare giù il cielo sulla città?

Una sfida difficile. Complicata anche per un posto tosto come è San Lorenzo. Anche per chi, come la sua gente, fin dalla nascita del quartiere, ha capito subito che nessuno, le sfide, così come la costruzione della propria vita, può affrontarle da solo.

La determinazione è quella di sempre, perché chi accoglie la banda nel proprio locale, nella propria strada, o solo sorridendo, lo fa sapendo bene che il cielo di San Lorenzo può coprire chiunque chieda aiuto portando in dote dignità e solidarietà. Come è avvenuto da sempre.

Da parte di chi, pressoché unico, a Roma, seppe cacciare (e caccia) i fascisti; seppe tirarsi su dopo le “bombe cadute come neve”dei “liberatori”; seppe accogliere quei ragazzi e ragazze che nel ’68 decisero di ridisegnare il mondo; seppe sperimentare, dieci anni dopo, in modo diffuso le pratiche delle autoriduzioni del costo delle tariffe dei servizi pubblici e degli affitti e quelle delle occupazioni; seppe capire che i tanti professori, loro vicini di casa, non sono tutti uguali; e che alcuni, come Giovanni Bollea o Marco Lombardo Radice ancora sono, e ci resteranno, nel cuore dei più. Proprio perché del quartiere si sono fatti figli.

Il video è questo: l’invito a riconoscere, come territorio, proprio quei corpi che sono nella strada. Sono loro con la determinazione, indignazione, rabbia, mista alla dolcezza, all’amore, alla capacità di essere accolti ed accogliere gli altri; nel riconoscersi comunità, a divenire i costruttori di un nuovo panorama di riferimento.

Quello in cui le strade che ci accoglieranno saranno capaci di ascoltare e amplificare il nostro “eccoci”. A San Lorenzo tutto questo sta accadendo e, dopo lo statuto della Libera Repubblica, ora, attraverso un lento lavoro quotidiano, si stanno trovando le parole per dire tutto questo al mondo. Ad iniziare da quelle con cui le repubbliche (quelle vere e antifasciste) si presentano: la bandiera e l’ inno.

La prima, che sventola sulle mura della capitale provvisoria (Cinema Palazzo Occupato), è realizzata, non certo a caso, come la veduta del panorama di Roma di Adam Breysig(1891): all’interno di una costruzione prospettica che appoggia case e spazi sull’intero arco dell’orizzonte, dove tutto ha il medesimo valore; la cosa che vale di più sono l’occhio ed il cuore di chi guardando chiede di esserne parte.

Ora c’è anche l’inno. Anch’esso, nato nell’officina incubatrice del Palazzo (come sarebbe potuto essere altrimenti?), capace di descrivere dondolando (con lo swing appunto) la scelta di stare nelle strade e in quelle strade, con un corteo che prima va a trovare chi vuole conoscere e, poi, chiede a questi di unirsi a loro.

Una strana tribù che non può che partire dai colori.

Da quel forziere straordinario di tinte, terre colorate e tubetti sulla Tiburtina (tenuti a dimora da Franco), in attesa che qualcuno li vada a prendere per dare luce al mondo.

Così un flusso luminoso si dipana per tutto il quartiere dove le note trovano le medesime tonalità dei colori di quelli che incontrano: lo struggente murales che fa essere sempre con noi Valerio sull’uscio della sua libreria; quelli che si affastellano sui muri; i bianchi cubitali trafitti da una piccola stella rossa che salutano Antò mentre vediamo ancora farla da padrone al suo assassino: la precarietà; quelli solari delle tante facce di orgogliosi cittadini/e della Repubblica.

Se Roma è fatta di tante Roma, il video ci dice che questo non vale per San Lorenzo. Lo fa mostrandoci che San Lorenzo è ordinato si come una accampamento romano attraverso due assi – dove il cardo è rappresentato da via dei Sardi e il decumano da via dei Sabelli- ma che questa giacitura, questo segno imperialista, non individua le maglie di una gabbia dove via via incasellare (e controllare), nel tempo, tante San Lorenzo.

La Libera Repubblica con le sue battaglie contro il caro affitti, contro la svendita del patrimonio pubblico, la lotta alla trasformazione del quartiere a colpi di scelte dettate dalla finanza e dal mondo immobiliare, per non farlo diventare un luogo off-shore dove la prepotenza la fa da padrona, per cancellare la solitudine e la disperazione che ci vogliono cucire addosso, per riportare le persone per le strade, aprire le soglie delle case per far entrare dentro le persone e non cacciarle fuori, per ridefinire lo spazio pubblico tutto questo dice, tutto questo fa.

Mezcla Prod con leggerezza racconta tutto ciò non facendo ricorso a giochi di macchina, ad esercizi di virtuosismo di montaggio, ad ardite incursioni del colorist. Accompagnando The Club Swing Band ha risposto magistralmente al tormentone “lo fai tu?“, un must del gergo repubblicano, facendoci comprendere che dietro questa richiesta non c’è un comando, la delega, ma il riconoscimento che tutti possono fare tutto, perché tutti sanno fare tutto.

Questo è libertà.

Il bambino che agita la mano dal balcone a salutar la banda che passa sotto casa, sa che con quell’atto stringe le stesse mani delle tante signore Adele, Germana e Franca (tutte nel video) che insieme a lui continueranno a raccontare e raccontarci San Lorenzo.

“Quando la banda passò in ogni cuore una speranza spuntò”. Non sono solo canzonette.