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MONDO

Il problema del riscaldamento globale è l’economia neoliberale

Nel mezzo di una estate in cui le trasformazioni climatiche sono state ancora una volta sotto gli occhi di tutti, dai pezzi di Artico che si staccano ai ghiacciai alpini ormai per lo più estinti, un gruppo di scienziati riconosciuti dalla comunità internazionale ha elaborato un dossier molto rilevante sul riscaldamento globale. La stampa di mezzo mondo (da “Forbes” al “Guardian”, dalla CNN alla BBC) ne ha parlato con dovizia di dettagli perché le conclusioni a cui giunge sono preoccupanti ma anche originali rispetto a quanto si è soliti concludere sulla materia.
In Italia il dossier semplicemente non è uscito. Nessuno ne ha parlato se non siti internet del settore e specialisti. Questo silenzio è particolarmente grave per tanti motivi. Testimonia (se ce ne fosse bisogno) il nostro asservimento alle lobby industriali ed energetiche (ENI ed ENEL in primis). Testimonia la mancanza di sguardo internazionale dei nostri media (perché una notizia che interessa il mondo intero da noi non riesce ad assumere rilevanza?), e testimonia la difficoltà di rendere il dibattito sul riscaldamento globale oggetto di confronto pubblico e di rendere la questione materia di politiche specifiche.
Con questo articolo tratto dal sito indipendente “The Intercept”, che si focalizza su alcuni aspetti particolarmente interessanti del dossier, Dinamopress amplia il proprio sguardo su un tema a metà tra lo scientifico e l’ambientale che hanno enormi impatti economici e sociali sulle nostre vite.

Muovendosi a passo di marcia per condurre una rapido movimento verso l’energia rinnovabile e l’elettrificazione, l’umanità può ancora evitare il futuro apocalittico che emerge dal molto dibattuto dossier Hothouse earth (La Terra come una serra, ndr). Questo almeno è quanto ha detto uno dei coautori del dossier a “The Intercept”. Una delle più grandi barriere alla percezione della catastrofe, ha detto, ha molto più a che fare con l’economia che con la scienza.

Quando i giornali parlano nei titoli di apertura del cambiamento climatico di solito non è per dare buone notizie. La settimana scorsa non è stata una eccezione, con la pubblicazione in tutto il globo del dossier Hothouse Earth, nel quale una squadra interdisciplinare di scienziati ha ammonito che il problema del cambiamento climatico può essere anche peggiore di quello che pensiamo.  (Il titolo completo del dossier, pubblicato nel Proceedings of the Natural Academy of Sciences, è Traiettorie del sistema terrestre nell’Antropocene)

La copertura mediatica tuttavia, si è focalizzata su uno dei punti più allarmanti del dossier, malgrado esso non sia nuovo per i ricercatori in questioni di clima, cioè che una serie di dinamiche interconnesse sulla terra – dallo sciogliersi dei ghiacciai nel mare fino alla deforestazione – possono alimentarsi a vicenda fino ad accelerare il riscaldamento e gli impatti climatici una volta che abbiamo passato una certa soglia di allarme. Ciò accadrà perfino quando gli umani avranno smesso di riversare gas serra nell’atmosfera.

La migliore opportunità che abbiamo per stare sotto quella soglia catastrofica è di fermare il riscaldamento a due gradi Celsius, l’obiettivo definito con il Protocollo di Parigi.

Tutto ciò è del tutto corretto e altamente preoccupante.

 

Tuttavia all’interno del dossier c’è una considerazione altrettanto sorprendente: nulla di tutto ciò è inevitabile e una delle maggiori barriere tra noi e un pianeta stabile – tale da non essere attivamente ostile alla civilizzazione umana sul lungo termine – è il nostro sistema economico.

 

Quando gli abbiamo chiesto cosa si potesse fare per impedire uno scenario da “Terra come una serra”, il co-autore Will Steffen ha detto a “The Intercept” che «una cosa ovvia da fare è ridurre le emissioni di gas serra quanto più velocemente è possibile. Questo deve essere l’obiettivo principale di politiche pubbliche ed economiche». Pertanto, Steffen suggerisce che le politiche vadano «piuttosto a passo di marcia» per spianare la strada «a tappe forzate» alle energie rinnovabili e re-immaginare drasticamente settori quali i trasporti e l’agricoltura.

 

 

Questo “passo di marcia” che Steffen descrive è un concetto nuovo nel 2018, ma non è non lo è stato durante la storia americana, quando la nazione ha affrontato altre minacce di vita. Prima della Seconda Guerra Mondiale, il governo ha giocato un ruolo pesante nell’industria, essenzialmente facendo transitare gli USA verso una economia pianificata a livello centrale, evitando di lasciare aspetti come prezzi e rifornimenti di risorse chiave alle forze del mercato. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, circa un quarto di tutte le imprese manifatturiere erano state nazionalizzate. I governi del mondo – inclusi gli Stati Uniti – continuano a intervenire pesantemente nel settore privato ma gli interventi tendono ora a essere per conto di multinazionali, sia attraverso sussidi alle compagnie rifornitrici di fossili sia, ad esempio con leggi urbanistiche che favoriscono i costruttori di immobili di lusso.

Al contrario di quanto appare dalla copertura mediatica che il dossier Traiettorie ha avuto, il cambiamento climatico del tipo descritto da Steffen e i suoi co-autori è molto probabilmente evitabile. I modi di evitarlo vanno però proprio contro la logica economica che ha dominato l’economia mondiale nell’ultimo quinquennio, cioè l’abbassamento del controllo sulle regolamentazioni e la mano libera alle maggiori industrie. Lo studioso di modelli climatici Glen Peters ha visto un gap tra la prospettiva relativa fornita nel dossier e i toni da giorno del giudizio universale della copertura stampa dello stesso con titoli quali «Non ci sono politiche esistenti che siano sufficienti a impedire una futura Terra come una Serra» (“Futurism”) oppure «Terra a rischio di effetto serra anche se le emissioni sono ridotte». Tali titoli fanno apparire la fine dei giorni come una conclusione scontata.

«Non credo che molti scienziati pensino che anche se realizziamo gli accordi di Parigi finiremo in una serra», dice Peters. «Credo che almeno la copertura mediatica sia andata un po’ troppo oltre. Il paragrafo finale del dossier dice che tutte queste sono indicazioni e per confermarle dovremo fare molte ricerche in questa direzione. Quello che ne hanno ricavato i media è che stiamo dirigendoci verso un inferno».

La fine non è allora così prossima. Oltre a liberarsi rapidamente dalle emissioni di gas serra, Traiettorie esplicita che gli umani devono creare i propri meccanismi di feedback così che la Terra possa mantenere un livello di carbonio stabile nella atmosfera. Questo significa espandere e riparare i  luoghi naturali che fanno precipitare il carbonio, come grandi foreste le quali possono effettivamente risucchiare emissioni dall’atmosfera e immagazzinarle naturalmente.

«Dobbiamo fermare immediatamente la deforestazione della foresta pluviale dell’Amazzonia e delle altre foreste tropicali e dobbiamo iniziare a riforestarle. Questo significa una inversione a U dei termini di funzionamento del sistema dell’economia mondiale» – mi ha detto Steffen per skype.

 

«L’unico modo per cambiarlo è soltanto quello di cambiare sistema di valori, forse anche cambiare il modo in cui funzionano i sistemi politici e così via. Gli studiosi di scienze sociali della nostra équipe hanno detto che è fondamentalmente un cambiamento nelle società umane ciò di cui abbiamo bisogno per risolvere il problema».

 

Attenzione, nulla di tutto ciò è un unicum per i documenti scientifici sul cambiamento climatico. Peters, a prima lettura, ha sorvolato la sezione del dossier che descrive cosa possono fare gli umani per prevenire il cambiamento climatico: «L’ho letto un milione di volte, non ho bisogno di leggerlo un milione e una volta», scherza. Il fatto che fermare le emissioni richiederà massicce trasformazioni nel sistema produttivo della terra non è controverso all’interno della comunità scientifica, che a lungo ha sostenuto che le economie mondiali devono decarbonizzarsi al più tardi a metà del secolo – e che è lo scenario migliore possibile che si assume, nel quale le cosiddette tecnologie di emissioni negative possono essere sviluppate in grande.

 

 

Il dossier lo pone in termini ben più onesti e diretti. «Il sistema socioeconomico attuale» – scrive l’autore – «si fonda sulla forte crescita economica che produce Co2 e sull’uso delle risorse a fini di sfruttamento. Tentativi di modificare questo sistema hanno incontrato dei successi locali ma ben pochi a livello globale nel ridurre le emissioni di gas serra o nel costruire più efficaci sistemi di cura della biosfera.

 

I cambiamenti crescenti e lineari al sistema socioeconomico attuale non sono sufficienti a stabilizzare il sistema terra; questi dovrebbero includere cambiamenti nei comportamenti, nella tecnologia, nell’innovazione, la governance e i valori».

 

Per paesi a forti emissioni come gli USA, dice Steffen, il primo passo per evitare l’apocalisse planetaria è di fondo evidente: «assolutamente nessuno sviluppo fossile. Nessuno. Questo significa no a nuove miniere, no a nuovi pozzi di petrolio, no a nuovi campi di gas, no a nuovo fracking non convenzionale. Nulla di nuovo. Secondo, hai bisogno di una rapida uscita dai combustibili fossili esistenti», a partire dal carbone.

Molte delle soluzioni al cambiamento climatico, sostengono Steffen e i suoi co-autori, già esistono e hanno iniziato a funzionare; l’appendice del loro dossier elenca alcune di queste misure. «Non è una questione di mancanza di soluzioni. La questione è che non abbiamo il contesto economico e politico per intraprenderle», dice.  I maggiori limiti alle azioni sono «il nostro sistema di valori e il sistema legale», aggiunge: affrontare il cambiamento climatico in modo serio vuol dire assumere «una visione completamente differente dell’economia, smettendo di vedere il mondo naturale come fonte di risorse e considerandolo piuttosto un pezzo essenziale del nostro sistema di supporto di vita che deve essere mantenuto e rafforzato. Penso semplicemente che devi attenerti alla scienza fondamentale del chi siamo, del pianeta in cui ci siamo evoluti, di come quel pianeta funziona e cosa gli stia accadendo», conferma Steffen, «e questo ti dirà immediatamente che la cosiddetta economia neoliberista è radicalmente sbagliata per come percepisce il resto del mondo.

Dal commercio di emissioni in Europa, ai ricorrenti negoziati atti a fissare il prezzo del carbone negli USA, le conversazioni su politiche climatiche nel mondo si sono tendenzialmente focalizzate su strumenti basati sul mercato per ridurre le emissioni, basandosi sull’idea che fissare il prezzo giusto incoraggerà inquinatori e consumatori a cambiare il proprio comportamento – come per le cosiddette imposte su beni voluttuari.

Quando gli chiedo cosa pensi del bilanciamento che ci dovrebbe essere tra queste misure di traino del mercato e le regolamentazioni, Steffen fa cautamente notare che non è esperto del settore. «In modo ingenuo, dall’esterno e da non esperto, direi regolamentazioni ogni volta possibile: gettare la gente in prigione, multarli, fate quel che volete. Ma assicuratevi che ne derivi una conseguenza biofisica. Da quanto ho visto i meccanismi di mercato non la portano sempre».

 

Articolo apparso sul sito The Intercept

Traduzione a cura di DINAMOpress