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OPINIONI

Piccola guida al dispoteramento per uomini pro-femministi

Pubblichiamo uno scritto nato nel contesto canadese, in cui si prova ad analizzare per punti il processo di dispoteramento dei soggetti maschili all’interno dei movimenti e della società

Questo testo è stato pubblicato circa 7 anni fa all’interno dei movimenti femministi e pro-femministi del Québec. L’autore, Francis Dupuis-Déri, fa parte della facoltà di Scienze Politiche dell’Università del Québec a Montréal e da tanti anni si occupa di anarchismo, movimenti sociali e femminismo, curando insieme ad altre autrici (tra le quali Mélissa Blais e Diane Lamoureux) raccolte di saggi sul tema del maschilismo anti-femminista.

Questa guida non va letta come un insieme di regolette da imparare a memoria, ma come una serie di suggerimenti pratici e spunti di riflessione utili per un impegno pratico e concreto in appoggio alle lotte delle femministe.

Il testo originale si trova qui: https://scenesdelavisquotidien.com/2014/07/25/petit-guide-de-disempowerment-pour-hommes-profeministes/

 

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(di Francis Dupuis-Déri)

Molte femministe vorrebbero che più uomini si unissero alla loro lotta per la libertà delle donne e l’uguaglianza tra i sessi. Alcune, come bell hooks, pensano anche che questo impegno potrebbe aiutare gli uomini a liberarsi dai vincoli psicologici e culturali imposti dal patriarcato e dal sessismo. Altre rimangono invece scettiche, perché tutti gli uomini hanno, in un modo o nell’altro, dei vantaggi dal patriarcato e spesso, da “alleati”, non fanno altro che riprodurre la dominazione mascolina dentro le reti femministe.

Noi uomini che ci consideriamo “pro-femministi”, o anche “femministi”, ci limitiamo spesso a dichiararci per l’uguaglianza tra i sessi e a cercare di essere rispettosi verso le donne e svolgere qualche compito in più, tra i lavori di cura, rispetto a quanto fanno gli altri. Pochi si impegnano attivamente nelle reti militanti e femministe. Capita anche che gli uomini pro-femministi parlino a nome delle femministe, ottenendone dei vantaggi (notorietà, legittimità, ecc.) e, in alcuni casi, molestando e aggredendo sessualmente le militanti (come nei casi venuti fuori durante lo sciopero studentesco nel Québec nel 2012, ma non mancano altri esempi storici e contemporanei). Si capisce allora perché alcune femministe siano diffidenti versi gli uomini pro-femministi.

 

Anche altri movimenti di emancipazione, come quello contro l’Apartheid in Sudafrica e quello contro la segregazione negli Stati Uniti, hanno conosciuto la figura paradossale e problematica del compagno di strada membro della classe privilegiata e dominante, in quel caso della maggioranza detta “bianca”.

 

A proposito di questo, Stokely S. Carmichael, militante afro-americano, ricordava che «una delle cose più disturbanti è la paura che i bianchi hanno di andare nella loro stessa comunità, lì dove il razzismo agisce, e lavorare per sconfiggerlo. Invece vogliono solo venirci a spiegare quello che dovremmo fare nel Mississippi», mentre sarebbe chiaramente stato più utile il loro impegno contro il razzismo nelle loro comunità di origine europea.

Non stupisce quindi che questa alleanza politica possa provocare malumori, tensioni e conflitti, al punto che alcuni gruppi finiscono per espellere i membri della classe privilegiata e dominante, e decidono di organizzarsi in modo non-misto, a volte abbandonando alleanze e coalizioni miste. Luoghi e momenti non misti o separatisti consentono di parlare delle esperienze individuali, delle proprie ferite, dei propri traumi e delle proprie paure, delle delusioni e delle speranze, e di sviluppare quindi una coscienza e un’analisi collettive per identificare obiettivi e determinare i mezzi di azione adeguati.

Il separatismo è stato davvero importante perché le donne potessero prendere coscienza del carattere sistemico delle violenze maschili, sviluppando il potere individuale e collettivo che serve per creare il rapporto di forza necessario nei luoghi e nei momenti misti, quando ci si trova di fronte o accanto ai membri della classe privilegiata e dominante.

 

 

Questo processo è stato chiamato, in inglese, empowerment, una parola che non ha una traduzione soddisfacente (ancora esitiamo tra “autonomizzazione”, “capacitazione”, “appropriazione del potere”, “impoterare” [questa è la traduzione più in uso in italiano, ndt]. L’espressione è stata ripresa da diverse forze e tendenze politiche, comprese le agenzie e istituzioni internazionali legate al neoliberismo.

 

Tra le femministe, l’impoteramento è un processo individuale e collettivo che implica una presa di coscienza politica, lo sviluppo di una forza politica e, di conseguenza, una capacità di agire in modo autonomo individualmente e collettivamente per ottenere l’uguaglianza sociale.

 

Quale ruolo possono giocare gli uomini in questo processo di impoteramento delle donne? La risposta a questa domanda merita una precisazione sugli uomini e le donne di cui si parla, perché la situazione non è la stessa se apparteniamo a una categoria razzializzata dominante o subalterna, povera o ricca, eterosessuale, gay, transgender o transessuale (Baril 2009).

In questa prospettiva, consapevole che la mia posizione non sia universale, propongo la bozza di una guida per uomini pro-femministi, ispirandomi alle tante discussioni che ho avuto con femministe, alle letture di testi militanti sul tema, e alla mia esperienza di uomo che ha pratiche eterosessuali, economicamente privilegiato, che vive nell’America del Nord e discende da popolazioni colonizzatrici europee.

Se il femminismo rende possibile l’impoteramento delle donne, mi sembra problematico pensare che debba al tempo stesso permettere l’impoteramento degli uomini. Il patriarcato è un sistema nel quale, per l’appunto, gli uomini dispongono di potere sulle donne, la classe degli uomini domina, opprime, sfrutta ed esclude la classe delle donne.

In una prospettiva di giustizia, di uguaglianza, di libertà e di solidarietà tra i sessi, non è quindi l’impoteramento quello che serve agli uomini, ma semmai il contrario: un disempowerment o dispoteramento. Secondo il dizionario anglofono Oxford e Collins, il disempowerment è ciò che «rende un individuo o un gruppo meno forte e meno sicuro di sé” (Oxford), o “priva un individuo di potere o autorità» (Collins).

 

Il dispoteramento degli uomini non implica, quindi, la riduzione della nostra capacità di agire, o diventare meno sicuri e meno forti in quanto esseri umani, ma solo in quanto uomini e per questo membri della classe dominante e privilegiata nel patriarcato.

 

L’impegno degli uomini in un processo individuale e collettivo di dispoteramento consiste perciò nel ridurre il potere che esercitiamo individualmente e collettivamente sulle donne, comprese le femministe. Chiaramente, il loro impoteramento dipende da loro stesse, e nessun uomo può emancipare le donne al loro posto o in loro nome. Il disempowerment degli uomini deve servire, quindi, a facilitare l’empowerment delle donne.

 

 

Questa proposta di dispoteramento richiama la distinzione avanzata da alcune femministe tra diverse forme di potere: da un lato il “potere su” che indica la dominazione (esercito il mio potere su una o su diverse donne) e dall’altro lato il “potere di”, cioè la capacità di agire e di fare (ho il potere di fare questo o quello).

L’impoteramento femminista consiste dunque nello sviluppare il “potere di”, la capacità di agire e di fare, mentre il dispoteramento degli uomini consiste nel ridurre il nostro potere sulle donne e le femministe, mirando alla sua sparizione completa. Si tratta quindi di lavorare contro le istituzioni, gli atti e le attitudini che producono e consolidano, al livello individuale e collettivo, il nostro status di maschio e il nostro potere sulle donne.

Alcune femministe hanno anche osservato l’importanza del “potere con”, cioè “di collettivizzare e condividere il potere” di agire e di fare attraverso le reti di alleanze. In questo senso, il dispoteramento implica ridurre il nostro potere con gli altri uomini, cioè la complicità e la solidarietà maschili. Per questo anche bell hooks, solitamente molto ottimista sulla partecipazione degli uomini al femminismo, precisa che il nostro «contributo da portare alla lotta femminista» consiste in «esporre, confrontare, opporsi e trasformare il sessismo dei nostri simili maschi».

 

Proporrò adesso una lista di attitudini o comportamenti che potrebbero esser utili in questo processo di dispoteramento.

 

Non si tratta di una lista completa e ogni elemento meriterebbe una discussione approfondita considerando anche la pluralità delle situazioni possibili, specie riguardo altri sistemi di dominazione (statalismo, razzismo, classismo, ecc.). È importante anche considerare nelle diverse situazioni i potenziali problemi che l’impegno degli uomini profemministi può creare alle donne del movimento femminista.

 

 

Ad esempio, un effetto paradossale può essere questo: l’uomo profemminista, incarnando il ruolo patriarcale di protettore o salvatore delle donne dagli altri uomini predatori o aggressori (qui, gli antifemministi), potrebbe ottenere benefici perché alcune donne potrebbero sentirsi debitrici o dipendenti da questa protezione ricevuta. Per ricordare il carattere paradossale e problematico dell’uomo che si identifica come profemminista, ogni proposta sarà seguita da un breve avvertimento sui suoi effetti potenzialmente negativi.

Questo esercizio in due tempi ha l’obiettivo di ricordarci che, nonostante le nostre buone intenzioni, quello che facciamo (o non facciamo) come profemministi può sempre avere effetti negativi, se non altro per alcune femministe. Infine, devo precisare che la maggior parte delle idee e riflessioni qui preoposte non sono mie, perché mi sono state ispirate dalle letture femministe (tra le altre, Blais, Delphy, Monnet) o di altri profemministi (Stoltenberg e Thiers-Vidal), dalla mia esperienza militante (ad esempio nella Coalition Antimasculiniste e in Hommes contre le patriarcat), da incontri e discussioni nelle assemblee femministe e anarchiche in Francia e nel Québec e dai documenti distribuiti in queste occasioni, in particolare l’opuscolo 12 suggerimenti pratici destinati agli uomini che si trovano in spazi femministi e un testo sulla “lingua macho” o “lingua di dominazione” ripreso dal collettivo quebechiano di femministe radicali Némesis.

 

 

Guida al dispoteramento profemminista

(ispirata da diverse fonti)

 

Lasciamo alle femministe la loro lotta: ricordiamoci sempre che la lotta femminista è la lotta delle donne, non la nostra.

 

Attenzione, però: alcune femministe potrebbero chiederci di essere più attivi nel nostro impegno politico, soprattutto perché molti profemministi si crogiolano nell’autocolpevolizzazione e si rifugiano nell’apatia.

 

 

Noi siamo ausiliari: siccome la lotta è la loro e non la nostra, dobbiamo considerarci ausiliari, cioè non prendere la guida, non dare ordini.

 

Anche se sogniamo un futuro egualitario, è importante che nel contesto presente lasciamo alle femministe i ruoli e i compiti di influenza e di prestigio, accettando i compiti che le femministe ci chiedono di svolgere, compresi quelli “secondari”, come organizzare la logistica o occuparsi delle pulizie. Questo rovesciamento dei ruoli sessuali convenzionali fa parte del dispoteramento.

Attenzione: alcune femministe potrebbero chiederci di prendere l’iniziativa, mentre altre saranno invece urtate dal fatto che veniamo ringraziati e complimentati per aver fatto cose meno prestigiose, come lavare i piatti dopo un evento femminista.

 

 

 

Consideriamo anche la praticità: in alcuni casi può essere più facile riprodurre le norme di genere, e non dovremmo stupirci se alcune femministe ci chiedessero di svolgere compiti convenzionalmente maschili, come prendere parola in pubblico, impostare un computer, assicurare la sicurezza fisica di un evento, ecc.

 

Rispondendo a queste richieste, dobbiamo ricordarci che i ruoli sono comunque costruzioni sociali e può essere utile proporre di fare alcune di queste cose insieme a loro, per condividere conoscenze e competenze.

Attenzione: le femministe ne sono consapevoli, ma potrebbero aver deciso di chiederci queste cose per risparmiare tempo o solo per una questione di divisione dei compiti.

 

 

Non siamo indispensabili, e a volte possiamo anche essere indesiderati: è possibile che, in alcune o anche tante occasioni, alcune femministe non ci vogliano né accanto né con loro e che preferiscano stare tra loro (separatismo).

 

Se ci escludono, hanno sicuramente delle buone ragioni.

Attenzione: la situazione delle donne e degli uomini nel patriarcato non è la stessa. Perciò, il bisogno e l’utilità del separatismo per le donne e per le femministe non significano che il separatismo degli uomini sia altrettanto legittimo e necessario (la storia degli anni ‘80 e ‘90 mostra che i discorsi antifemministi maschilisti sono apparsi nei gruppi di discussione di uomini che discutevano sulla “condizione maschile” e che hanno a poco a poco cominciato a criticare le femministe e le donne, soprattutto le loro compagne o ex compagne).

 

 

Non aspettiamo che ci spieghino: le femministe hanno già molto da fare. Proviamo a informarci noi stessi sul femminismo e il patriarcato, con libri, film e video o altre fonti (per quanto mi riguarda ho trovato molta ispirazione da autrici femministe come Christine Delphy, Patricia Hill Collins, Colette Guillaumin, Catharine MacKinnon, Monique Wittig, Virginia Woolf. Ce ne sono anche tante altre).

 

La conoscenza che acquisiamo deve servire a produrre un cambiamento in noi e in altri uomini.

Attenzione: evitiamo di diventare presuntuosi e di cercare prestigio e influenza impartendo “verità femministe” alle donne e alle femministe. Non dobbiamo oscurare il contributo fondamentale delle donne e delle femministe, anzi, dobbiamo renderlo chiaramente visibile: noi non siamo nati profemministi.

 

 

 

Scegliamo l’ascolto attivo invece della sordità difensiva: quando le femministe ci spiegano o ci criticano qualcosa, spesso smettiamo di fare attenzione e comprendere quello che ci dicono; cerchiamo invece di ascoltare, per capire e poi agire o smettere di agire di conseguenza.

 

L’impegno profemminista non è un puro esercizio mentale, né un dilettantismo politico, né una dichiarazione identitaria. La lotta contro il patriarcato e la classe degli uomini è fatta di atti concreti ed efficaci.

Attenzione: quando cominciamo a capire le vere implicazioni del femminismo, ci accorgiamo di dover accettare la perdita di poteri e privilegi legati al nostro essere uomini, rischiando quindi di abbandonare le nostre posizioni pro-femministe e perfino di diventare anti-femministi.

 

 

Ricordiamoci che, se noi riusciamo forse a comprendere il patriarcato, sono le donne che lo subiscono: nonostante tutte le nostre riflessioni e i nostri bei principi, le femministe subiscono il patriarcato e ne comprendono meglio di noi la natura ingiusta e distruttrice.

 

Quando discutiamo delle aggressioni sessuali, per esempio, ricordiamoci sempre che le donne che ci parlano possono avere vissuto questa esperienza nei loro corpi, che ne conservano i segni e che ne hanno una intelligenza concreta; di conseguenza, è giustificabile che possano sospettarci di essere stati, o essere, aggressori reali o potenziali.

Si tratta per noi di accettare e apprendere questo vissuto, e di non minimizzarlo con l’idea che questa esperienza provochi nelle donne emozioni troppo forti che ne compromettono la ragione (d’altra parte, è proprio l’ideologia patriarcale a distinguere arbitrariamente ragione ed emozione e pretendere che una questione non sia comprensibile se non con la pura ragione).

Dobbiamo ricordare che «coloro che non hanno subito violenze sessuali possono avere difficoltà a capire la ragione per cui le donne sopravvissute a un’aggressione spesso rimproverano se stesse. […] Chi non l’ha mai subita non sa che può essere meno doloroso credere di aver fatto qualcosa di male, piuttosto che rendersi conto di vivere in un universo dove si può essere aggredite in qualunque momento, in qualunque luogo, semplicemente per il fatto di essere donna» (Susan J. Brison).

 

 

Siamo noi quelli chiassosi: al contrario di quello che si dice, noi parliamo generalmente più delle donne, specie in presenza di donne e abbiamo la tendenza a interromperle, a ridire quello che hanno appena detto, a parlare al loro posto, a dir loro che quello che dovrebbero pensare e fare, a riportare la discussione su di noi e sulle nostre preoccupazioni.

 

È molto importante imparare a tacere, o almeno a parlare meno e non cercare di stare sempre al centro della conversazione.

Attenzione: evitiamo di diventare paternalisti, ad esempio insistendo perché le donne parlino in una riunione mista. È importante esporre bene i motivi di questa preoccupazione, e di certo è meglio dire che gli uomini parlano troppo piuttosto che sottolineare il fatto che le donne non parlano.

 

 

 

Dobbiamo dare per scontato che, in quanto uomini nel patriarcato, abbiamo del potere e dei privilegi rispetto alle donne e che per questo alcune femministe possono criticarci: dobbiamo ammettere che abbiamo già commesso, in quanto uomini, delle ingiustizie verso delle donne, ne commettiamo ancora e ne commetteremo nel futuro.

 

Abbiamo approfittato del lavoro gratuito di nostra madre, non abbiamo rispettato il principio del consenso nelle relazioni sessuali con i/le partner, abbiamo manipolato un’amante per farla abortire perché non volevamo assumerci la paternità, non ci prendiamo responsabilità nei lavori di cura, abbiamo vantaggi sul mercato del lavoro, ecc.

Noi siamo parte del problema e per questo sono legittime le critiche e gli attacchi femministi verso di noi, come uomini e anche come profemministi. Dobbiamo ammetterlo e anche cercare, quando possibile, una riparazione e agire per favorire la trasformazione sociale collettiva. Ricordiamo anche che non è facile per le femministe elaborare una critica, perché conoscono la violenza antifemminista che le rimprovera di seminare zizzania ed essere isteriche.

Attenzione: alcune femministe possono pensare che accettiamo la critica e ci dichiariamo colpevoli solo per chiudere la discussione e finalmente farle tacere. Siamo spesso tentati di recitare l’autocolpevolizzazione paralizzante («Non farò niente perché non faccio mai nulla di buono…») senza fare alcuno sforzo per cambiare e migliorarci.

 

 

 

Ammettiamo i nostri errori: dichiararsi “profemminista” non ci pone al di sopra della classe degli uomini o fuori dal patriarcato e dalla dominazione maschile.

 

Commetteremo degli errori politici. Se alcune femministe accettano e magari apprezzano il nostro impegno politico, altre possono essere a disagio per diverse ragioni: perché ci conoscono e sanno che possiamo comportarci da patriarca o da macho, oppure pensano che la nostra presenza possa nuocere alla coesione del movimento o moderarne le posizioni politiche, ecc. Ammettiamo i nostri errori e accettiamo la critica, senza cercare di replicare o giustificarci, nemmeno di spiegarci, e cerchiamo di migliorarci.

Attenzione: evitiamo di fare le vittime per ottenere pietà o clemenza, del tipo «Ah! sono sconvolto dal dominio degli uomini sulle donne, da quanto ho abusato della mia posizione di dominante.. Ah! mi sento in colpa, sono disperato!».

Le femministe non sono qui per consolare il nostro “disagio del dominante” e non dobbiamo credere che le femministe si sentano invece felici di aver preso coscienza dell’impatto del patriarcato e del sessismo nella loro vita passata, presente e futura.

 

 

L’eterosessualità come problema: è ovvio che dobbiamo evitare i modi manipolatori, stare attenti al consenso, ecc.

 

Il nostro profemminismo ostentato può essere rassicurante, anche affascinante per alcune femministe, soprattutto quelle che hanno pratiche eterosessuali. In questo contesto è quindi ancora più importante evitare la manipolazione sentimentale o il consumo di cuori e corpi.

 

 

 

Rompere la solidarietà tra maschi: un dominio di classe si mantiene quando i dominanti sono solidali tra loro e mantengono il loro “potere con” gli altri dominanti.

 

Non dobbiamo evitare di confrontarci con i nostri amici e compagni per il loro sessismo (compreso quello “umoristico”), e dobbiamo saperci ritirare dal dibattito pubblico quando un amico o conoscente è oggetto di critiche femministe: è molto difficile restare coerenti, da un punto di vista politico, quando si ha un legame forte con il soggetto della discussione.

Essere profemminista significa a volte accettare di perdere compagni e amici che hanno comportamenti e attitudini inaccettabili verso le donne e le femministe.

Attenzione: bisogna evitare di credersi superiori agli altri uomini e di pensare che il problema non siamo mai “noi” ma sempre “loro”: i maschilisti, i macho, i preti, i fascisti ecc.

 

 

“Boys watch” tra profemministi: rompere la solidarietà tra maschi, significa che in quanto ausiliari delle femministe, gli uomini profemministi possono consapevolmente ed esplicitamente impegnarsi a sorvegliare gli altri uomini, compresi i profemministi, per “esporre, confrontare, contestare” il sessismo e l’antifemminismo, e le attitudini e i comportamenti problematici.

 

Attenzione: non dimentichiamo che le femministe si sanno difendere bene da sole e che possono trovare ridicoli i nostri “combattimenti fra galli” come competizioni per proporsi agli occhi delle femministe come il profemminista migliore.

 

 

 

Attenzione alle spaccature: il femminismo è un movimento vasto con molte tendenze, e le discussioni sono spesso molto accese, tanto che possono sorgere spaccature e inimicizie.

 

Come uomini profemministi, sentiamo forse più affinità con alcune femministe, ma non sta a noi prendere le parti pubblicamente tra le femministe “buone” e “cattive”.

Tuttavia, alcune femministe potrebbero criticarci perché ci rifugiamo in una facile neutralità o nella ritirata completa e sollecitarci a prendere apertamente la loro parte nelle discussioni fondamentali, e a volte dolorose, anche se, facendo così, ci troviamo in opposizione con altre femministe.

 

 

Rendere conto di quello che facciamo: per quanto possibile, consultiamoci con le femministe prima di agire, e verifichiamo con loro se le nostre azioni sono legittime dal loro punto di vista, per esempio prima di scrivere e pubblicare un testo profemminista, organizzare un evento femminista, ecc.

 

Questo permette di evitare potenziali errori, ma d’altra parte, questa pratica dipende dalla buona volontà degli uomini e in questo ha sicuramente dei limiti.

Ad esempio, consultarci con loro implica ovviamente che le femministe dedichino del tempo e delle energie a noi. Inoltre, è spesso possibile “scegliersi” le femministe sul cui appoggio si può contare. Come scrisse un profemminista statunitense negli anni ‘80, «ascoltare la voce delle donne non significa ascoltare quella donna lì o quell’altra là, o cercare di capire quale gruppo di donne ascoltare. Si tratta piuttosto di capire in che modo sentire la voce collettiva delle donne vittime di violenza e del movimento che unisce quelle donne». (Cohen 2013).

 

 

Riassumendo, bisogna (1) ricordarsi che siamo solo ausiliari delle femministe; il che significa (2) stare attenti ai bisogni delle femministe e ascoltarle; (3) informarsi con loro prima di agire ed avere i mezzi per rispondere alle loro attese quando ci chiamano all’azione; (4) rimanendo sempre consapevoli che le nostre azioni (o inazioni) possono avere conseguenze negative per alcune donne e femministe.

 

Questa guida è comunque parziale, e meriterebbe di essere sviluppata e completata secondo la diversità delle esperienze e delle situazioni. È chiaro che l’impegno profemminista non si limita agli spazi militanti. L’attivismo pubblico non è una sfera separata in cui dovremmo ricercare una coerenza politica. L’impegno coerente degli uomini che si identificano come profemministi si situa nel quotidiano e in tutti gli ambiti in cui siamo presenti.

 

NOTA: Ho sviluppato in modo più esteso le mie riflessioni sugli uomini profemministi nel testo Les hommes proféministes : compagnons de route ou faux amis?. L’idea di disempowerment è emersa per la prima volta al Salone del libro anarchico di Montréal durante un laboratorio organizzato e animato dal collettivo femminista radicale Les Sorcières. Quando hanno chiesto agli uomini di lasciare la sala, per poter continuare il lavoro tra donne, alcuni uomini hanno discusso fra loro del “disempowerment”. Anche se le proposte che ho avanzato sono una mia responsabilità, ringrazio tantissimo, per averne commentato le versioni preliminario, Mélissa Blais, Ève-Marie Lampron, Isabelle Lavoie, Geneviève Pagé, Sylvain del Collettivo Stop Masculinisme, Yeun Lagadeuc-Ygouf, e tutte le altre persone con le quali ho discusso.

 

Tutte le immagini sono di Egon Schiele (da commons.wikimedia.org)