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MONDO

Perù, sette mesi dopo: contro il golpismo, la lotta continua

Le élites provano ad imporre un progetto restauratore autoritario e mafioso occupando tutti i poteri dello Stato. Ma dal 19 luglio sono ripartite le mobilitazioni popolari contro il governo di Dina Boluarte, con la Tercera Toma de Lima, mentre questo prossimo fine settimane sono state lanciate nuove proteste sociali. Di fronte a tale scenario, una analisi delle sfide dei movimenti sociali, i limiti e le potenzialità di un soggetto che ha fatto irruzione sullo scenario politico con le rivolte di dicembre

Sette mesi fa il Parlamento ha destituito Pedro Castillo e al suo posto ha assunto come presidenta Dina Boluarte. Da quel momento in poi, la coalizione golpista che ha boicottato il governo di Castillo, è andata avanti nel suo proposito di recuperare il potere che aveva temuto di avere perso durante i precedenti quindici mesi. Ogni volta con modalità meno democratiche, le élites impongono un progetto restauratore autoritario e mafioso occupando tutti i poteri dello Stato. Il grande ostacolo per i loro fini è stata fin dall’inizio la mobilitazione popolare che è esplosa lo stesso 7 dicembre, esigendo all’unanimità le dimissioni di Dina Boluarte, la chiusura del Congresso e una nuova Costituzione. Le proteste si sono ritratte poi di fronte alla brutale repressione e alla necessità di riorganizzare le forze, ma sono ricominciate con forza lo scorso 19 luglio.

E’ uno scenario molto complesso di scomposizione dei poteri esistenti, tensioni che attraversano gli attori sociali e storici crocevia. Per analizzare meglio la congiuntura affronteremo queste problematiche da due prospettive differenti: da una parte la restaurazione in corso comandata dai settori più retrogradi e corrotti della politica peruviana, dall’altro la mobilitazione popolare dal basso che mostra determinazione e persistenza, così come una serie di limiti che rendono difficile ottenere gli obiettivi che si prefigge.

Restaurazione autoritaria e mafiosa

E’ abbastanza evidente che il Perù stia vivendo una offensiva autoritaria dove la coalizione golpista, formata dal fujimorismo e dalla destra, dai gruppi di potere economico, dai mezzi di comunicazione e dalle forze armate, agisce come un blocco restauratore utilizzando Dina Boluarte come volto legale. Al di là delle loro differenze, concordano nel rilanciare il modello neoliberale e nel continuare a subordinare lo Stato al mercato, lasciando la cittadinanza senza diritti né garanzie e permettendo il saccheggio delle risorse che beneficia una élite minoritaria.

Negli anni novanta, Alberto Fujimori, Vladimiro Montesinos e i loro soci politici ed imprenditoriali avevano chiaro come la democrazia fosse un ostacolo rispetto alla volontà di imporre il neoliberismo, e non vi era nulla di meglio che una dittatura per poter svendere imprese pubbliche, fare affari con le multinazionali e profitti con la grande corruzione. Questo gioco ha funzionato bene così che per mantenersi al potere l’hanno fatta finita con l’autonomia delle istituzioni accumulando nelle loro mani tutti i poteri.

Oggi il blocco restauratore riedita il suo passato mafioso e autoritario occupando tutti i poteri dello Stato con l’uso della forza e con i compromessi parlamentari. Hanno occupato il Tribunale Costituzionale e la Defensoría del Pueblo e adesso puntano a controllare il sistema giudiziario nominando la nuova Giunta Nazionale della Giustizia.

Ma non gli basta controllare il potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Per minimizzare i rischi cercano di prendere in mano l’intero sistema politico. Dal Parlamento hanno eliminato gli oppositori come l’ex presidente Martín Vizcarra, la ex procuratrice della Nazione Soraida Avalos e molto probabilmente ci proveranno con Aníbal Torres, ex premier di Pedro Castillo. Inoltre, la maggioranza fujimorista e di destra dentro il Congresso pretende mettere mano al sistema elettorale ed in particolare intervenire sul JNE – Jurado Nacional de Elecciones. Non vogliono ripetere un rischio simile a quello del 2021 ed è meglio quindi assicurarsi che vinca le elezioni uno dei loro.

Questa situazione drammatica non era difficile da prevedere. Da quando la coalizione golpista ha inventato una frode e ha portato avanti la mozione di sfiducia nel momento in cui il governo di Pedro Castillo si era installato da soli tre mesi, era già chiaro che non rispettassero le regole democratiche. I costanti cambiamenti di regime del Congresso e della Costituzione per minare il potere dell’esecutivo, sono stati un altro segnale di allerta. Il fatto poi che avessero assolto Dina Boluarte dalle denunce e che poi l’hanno riconosciuta come presidenta non ha lasciato dubbio alcuno che avrebbero governato attraverso la sua figura. Intanto il centro liberale progressista, per ingenuità, complicità o repulsione nei confronti di Castillo, ha avallato il regime e solamente oggi esprime delle critiche contro l’attuale governo.

Foto di Connie France

Luci e ombre delle mobilitazioni popolari

La mobilitazione popolare che ha fatto irruzione in tutto il territorio nazionale ed in particolare nel sud andino tra dicembre e marzo ha posto al centro della scena politica un nuovo soggetto politico collettivo. In gran parte, si trattava di uomini e donne del mondo popolare capaci di combinare adattamento e resistenza al neoliberismo; lavoratori informali, contadini, lavoratori giornalieri dell’agricoltura, conducenti di mototaxi, studenti, cuochi o mini imprenditori. Molti di loro sono di origine indigena e mantengono radici comunitarie, hanno una propria cultura, lingua, autorità, professionalità e proposte sull’uso delle risorse, adesso stanno rafforzando la propria coscienza politica.

Questi settori in mobilitazione hanno partecipato attivamente al gioco democratico eleggendo nel 2021 per la prima volta nella storia un presidente con il proprio voto. Ma i gruppi di potere concentrati a Lima hanno disprezzato il loro voto, boicottato il loro governo, arrestato il loro presidente, per mettere al suo posto Dina Boluarte. Fin dall’inizio, la mobilitazione è stata attaccata con una cruenta repressione e criminalizzazione.

I rapporti degli organismi internazionali denunciano esecuzioni extra giudiziarie commesse dalle forze armate e poliziesche sotto la responsabilità di Boluarte. Affrontare la violenza statale, il “terruqueo” (accusa di legami con il terrorismo) e la criminalizzazione giudiziaria è stata e continua ad essere una prova molto dura che ha influito in modo decisivo rispetto al ripiegamento delle proteste.

Non si tratta ancora di un movimento costituito in modo solido, e le sfide interne da affrontare sono enormi. In primo luogo, occorre superare i limiti strutturali presenti nei movimenti sociali in Perù, come la frammentazione territoriale, il potere dei caudillos locali e la sfiducia nei confronti della politica. E’ il caso dello scontro all’interno del Comitato Nazionale Unificato della Lotta del Perù (CONULP), uno spazio politico che ha cercato di aggregare i gruppi regionali che si erano mobilitati lo scorso dicembre ma che è finito per essere dilaniato dalle tensioni. Mentre un settore chiede nuove elezioni, un altro reclama la restituzione di Pedro Castillo: seppur non dovrebbero essere situazioni insormontabili, lo diventano a causa della sfiducia e della dispersione esistenti.

I settori in mobilitazione evidenziano anche seri limiti nel rendere effettive le alleanze che potrebbero rafforzare la loro lotta e migliorare le possibilità di ottenere risultati positivi nelle rivendicazioni. Vi sono una enorme sfiducia e profondi disaccordi tra partiti di sinistra e settori tradizionali dei movimenti sociali, da entrambe le parti. Da una parte i settori di sinistra e i sindacati cercano di imporre la loro agenda e vedono il soggetto popolare come disordinato e massimalista. Dall’altra parte, i settori popolari vedono la sinistra come un parte della classe politica e i sindacati come coloro che cercano la conciliazione. Maggiore è invece la distanza con il centro liberale, che li considera violenti e pericolosi, mentre il popolo in mobilitazione considera i liberali come alleati dei golpisti che hanno boicottato il governo di Castillo. Nonostante la gravità della avanzata autoritaria richiederebbe una ampia alleanza con accordi puntuali, fino ad ora questo non è stato possibile.

La mobilitazione popolare in Perù ci mostra l’emergenza di un settore plebeo che potrebbe costruire un proprio spazio di rappresentazione contendendo in condizioni migliori la guida stessa dello Stato. Ma la cruenta repressione, la criminalizzazione della protesta, la frammentazione delle lotte, gli scontri interni e l’assenza di alleati, potrebbero mettere in crisi le possibilità di cambiamento, isolare e disgregare i movimenti.

Non è semplice sconfiggere una dittatura e ancora meno lo è quando questa si sostiene su una coalizione mafiosa e autoritaria con tentacoli in ogni ambito dello Stato. Ci vogliono molto più di sette mesi di lotta, è necessario consolidare strutture, tessere reti e alleanze che senza cedere protagonismo possano ampliare il margine di azione. La Terza Toma de Lima è iniziata con molta potenza, ma ha bisogno di più capacità politica rispetto alle precedenti per ottenere risultati concreti e non creare frustrazioni. L’esito è aperto, ma qualsiasi esso sia, la mobilitazione ha aperto un cammino di democratizzazione che sarà difficile chiudere, e il paese non è più lo stesso di prima.

Artiolo pubblicato su lalineape.com, che ringraziamo per la gentile disponibilità alla ripubblicazione. Traduzione in italiano di Alioscia Castronovo per DINAMOpress

Immagine di copertina di Arturo Gutarra