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MONDO
È ora di organizzarsi! Hong Kong e il dissenso nella Cina continentale
Un contributo pubblicato sul sito del colletivo Lausan attorno alle urgenze del movimento, a partire da ciò che «abbiamo imparato dal dissenso nella Cina continentale: solo costruendo organizzazioni resilienti possiamo tenere vivo il movimento»
Pechino ha temuto a lungo Hong Kong ritenendola il luogo da cui le “forze occidentali” possono avanzare nella Cina continentale e “corrompere” il popolo con idee pericolose, per esempio con la libertà di parola e di associazione. Infatti, il popolo di Hong Kong storicamente ha sempre sostenuto chi nella Cina continentale ha lottato contro il capitalismo di stato e un regime che volutamente ignora gli interessi dei lavoratori, delle minoranze e dei gruppi svantaggiati. È precisamente questo il motivo per cui Pechino ha seguito con tanta attenzione il movimento di Hong Kong. Pechino vuole distruggerlo perché sa che questo movimento, se si diffonde sul continente, ha la forza di accrescere il dissenso fra una popolazione già agitata e ancor più oppressa.
La legge sulla sicurezza dello Stato volta alla criminalizzazione del dissenso e la sua approvazione dimostrano la determinazione di Pechino di mettere la parola fine al movimento di Hong Kong.
Mentre questa legge segna effettivamente l’inizio di una nuova era di incertezza per il movimento, volgere lo sguardo a come il discorso politico nella Cina continentale si è trasformato negli ultimi dieci anni può aiutarci a capire come opera il Partito Comunista Cinese.
L’opinione popolare in Cina è dominata da un nazionalismo fanatico, ma non è sempre stato così. Agli inizi degli anni dieci, la società civile e l’azione collettiva conoscevano una grande fioritura. Nonostante la condanna all’attivista e scrittore Liu Xiaobo e le ripercussioni delle “rivoluzioni dei gelsomini” che richiedevano democrazia, i cittadini cinesi erano generalmente fiduciosi in quel periodo su una progressiva apertura della società Cinese.
L’attivismo ha prosperato in questo periodo. Nel 2010, duemila lavoratori nella fabbrica della Honda nel Guangdong scioperarono per 19 giorni chiedendo paghe più alte e sindacati autonomi. Su un versante molto diverso, nel 2011 il noto scrittore Han Han pubblica tre articoli di vastissima circolazione: Sulla rivoluzione, Sulla democrazia, Sulla libertà, a dimostrazione che il popolo cinese voleva maggiori libertà civili.
Nel 2013 il quotidiano “liberale” “Southern Weekly“ (Nanfang Zhoumo) titolava l’articolo dell’anno nuovo: Sogno cinese, il sogno della Costituzione, sperando così di incoraggiare l’appena “eletto” presidente Xi a rafforzare lo stato di diritto costituzionale in Cina. Nel periodo che va dal 2011 al 2015 si assiste anche all’attivismo femminista, attività sul lavoro e movimenti contro le discriminazioni, molti di questi all’attenzione anche dei media internazionali.
Durante questo periodo, le forze progressiste in Cina pensarono che si potevano organizzare attività politiche senza per questo sfidare il Partito Comunista Cinese grazie all’uso di tattiche di protesta basate sulle “performance”.
Per esempio, alcuni residenti di Canton si rasarono a zero a segnare lo spreco delle politiche del governo locale volte ad “abbellire” la città. Un gruppo di femministe attirò l’attenzione internazionale indossando in pubblico vestiti macchiati di sangue a segnare la questione della violenza domestica. Alla fine dello stesso anno, si rasarono i capelli in segno di protesta contro la discriminazione di genere nel contesto dell’ammissione nelle università cinesi.
Ma tutto ciò cambiò con l’arrivo al potere del Presidente Xi, il periodo di “apertura” finì. L’articolo del “Southern Weekly”, dopo il discorso inaugurale di Xi del 2013, cambia titolo e da Sogno cinese, il sogno della costituzione si muta per intervento di un politico di alto rango in Inseguire il nostro sogno per eliminare ogni promessa di riforma costituzionale. Weibo, la piattaforma di social media utilizzata da alcuni attivisti per trattare temi collettivi, da luogo aperto è gradualmente diventata una piattaforma per l’intrattenimento e la diffusione del nazionalismo. E poi Pechino è andata oltre, con l’arresto delle femministe che protestavano contro la violenza domestica e l’arresto degli attivisti sul lavoro collegati alle organizzazioni non governative di Hong Kong.
Questi ultimi sono stati costretti a confessare il crimine di aver minacciato la stabilità sociale perché avevano ricevuto fondi dalle organizzazioni di Hong Kong a sostegno delle lotte sul lavoro nella Cina continentale.
Anche gli scioperi spontanei nelle fabbriche cinesi hanno subito una battuta d’arresto dopo l’ascesa al potere del presidente Xi. Nel 2012, i sindacati del lavoro del Guangdong proposero di permettere l’elezione diretta dei rappresentanti da parte dei lavoratori. Ma finito il periodo di apertura, lo stato diede un giro di vite e iniziò ad arrestare gli attivisti per intimorire gli altri e ridurre all’obbedienza il conflitto sul lavoro, che infatti diminuì.
Nonostante la fortissima repressione seguita all’ascesa di Xi, non necessariamente questi movimenti sociali sono falliti solo per questo. Piuttosto, quello che è mancato è il coinvolgimento, la mobilitazione e l’organizzazione delle masse che ha facilitato la repressione sulla disobbedienza civile. È vero che prima di Xi le tattiche basate sulla performance hanno attirato efficacemente l’attenzione dei media richiedendo la partecipazione di soli pochi attivisti, ma sono state in definitiva inefficaci nella costruzione di una solidarietà concreta e duratura fra le masse popolari.
Il movimento sul lavoro è stata un’opportunità per gli attivisti di mobilitare le masse con i lavoratori già in stato di agitazione a causa delle condizioni inumane di sfruttamento. Gli attivisti hanno sostenuto i lavoratori durante gli scioperi spontanei (spesso scoppiati a causa di incidenti avvenuti nelle fabbriche) aiutandoli in diversi modi, ma non si sono concentrati nel costruire una base organizzata e resiliente dei lavoratori. Ciò ha comportato che appena lo stato ha deciso di arrestare i lavoratori per rappresaglia, il movimento non è stato resiliente. L’esempio dello sciopero dei lavoratori delle pulizie della città universitaria di Canton del 2013 è chiaro, il tentativo di rafforzare i lavoratori da parte di femministe e altri attivisti della varia società civile alla fine fallì. E dopo pochi mesi la fine dello sciopero, i partecipanti furono oggetto di vendetta individuale da parte dello stato, distruggendo così ogni sforzo fatto sul piano organizzativo.
I limiti dell’organizzazione del conflitto sul lavoro in Cina possono anche essere trattati guardando alla fine degli attivisti maoisti durante i fatti alla Jasic del 2018.
A differenza dei molti scioperi spontanei che si succedevano in Cina, lo sciopero alla Jasic fu il culmine di oltre dieci anni di organizzazione militante. Basandosi sulle teorie leniniste del partito rivoluzionario, gli organizzatori dello sciopero si fecero assumere come lavoratori nella fabbrica con l’obiettivo di fare agitazione politica e gettare i semi di una visione rivoluzionaria della classe lavoratrice. Ma questi attivisti mancavano di esperienza di organizzazione sul lavoro, e non sapevano come aumentare il conflitto oltre la diffusione dell’ideologia maoista in fabbrica. Con l’arrivo di Xi, l’attacco all’attivismo sul lavoro peggiorò le cose. Da dentro provarono ad avviare uno sciopero, ma non riuscirono a mobilitare la maggioranza dei lavoratori, rendendosi vulnerabili alla vendetta, che puntuale arrivò a decapitare l’attività decennale di questi studenti-lavoratori maoisti. Questo evento ci dice che per costruire organizzazioni sul lavoro stabili ed efficaci, c’è bisogno di sviluppare capacità di organizzazione e di creare tattiche legate all’esperienza di vita dei lavoratori.
Gli scioperi spontanei e le proteste basate sulle performance hanno certo la loro importanza. Ma non dobbiamo confonderci e prenderle come la base per la costruzione di movimenti militanti e duraturi.
Invece, dobbiamo organizzarci al livello della base per rafforzare la capacità di praticare il conflitto sociale, praticare la solidarietà e avere così l’appoggio popolare. Solo in tal modo le organizzazioni possono restare nel tempo e porsi come piattaforme per la resistenza quando i movimenti sono costretti al silenzio.
Gli scioperi spontanei e le azioni basate sulle performance della disobbedienza civile in Cina condividono molti punti comuni con le proteste contro la legge sull’estradizione che ha dato il via al movimento di Hong Kong nel 2019. Come molte attività nella Cina continentale, i dimostranti a Hong Kong, ben consapevoli della storia di repressione del dissenso che caratterizza il Partito Comunista Cinese, hanno agito in modo decentrato e senza leader. Ciò ha significato azioni spontanee che però non hanno consentito di costruire una piattaforma organizzativa solida.
Anche se Pechino ha imposto la legge sulla sicurezza dello Stato su Hong Kong, c’è la speranza che il movimento di Hong Kong non verrà represso nello stesso modo con cui l’attivismo nella Cina continentale è stato silenziato.
Infatti, durante lo scorso anno abbiamo visto come parte della popolazione di Hong Kong abbia iniziato a essere più resiliente: una nuova ondata di organizzazioni di base e sindacati sono nati e nello stesso tempo sono emerse diverse comunità per venire incontro alle necessità di cooperazione del movimento.
Si tratta certo di un primo passo che va nella giusta direzione, ma se il movimento continuerà una volta che l’attenzione mediatica internazionale sarà diminuita, è questione che attiene alla resilienza legata all’aspetto organizzativo.
Con la legge sulla sicurezza dello Stato a Hong Kong, dobbiamo capire quel che Pechino da tempo sa bene: il destino di Hong Kong e del popolo cinese sono profondamente connessi. Questo è il motivo per cui non dobbiamo solo praticare la solidarietà attraverso il confine (fra HK e Cina), ma costruire una base stabile di lotta. Solo così avremo una possibilità per resistere all’oppressione dello Stato sul lungo corso.
Articolo pubblicato sul sito del collettivo Lausan. Traduzione in italiano di DG per Dinamopress
Immagine di copertina: Studio Incendo, 2014. Umbrella Protest Hong Kong. Pubblicata su Flickr, Creative Commons License.