ROMA

Occupata la facoltà di Scienze Politiche alla Sapienza

In seguito alle violente cariche di martedì scorso, è stata convocata un’assemblea nel cortile della facoltà di Scienze Politiche della Sapienza, alla fine della quale si decide di occupare la facoltà e rilanciare la mobilitazione contro un’università già fatiscente e reazionaria

Il cortile di scienze politiche è gremito di persone, alle ore 17:00, ora di indizione dell’assemblea, è già difficile riuscire ad entrare. I fatti sono noti, martedì scorso il collettivo di Scienze Politiche aveva organizzato una contestazione rumorosa a un convegno organizzato da azione Universitaria, gruppo legato a Fratelli d’Italia, per parlare di “capitalismo buono” con invitati Fabio Roscani, presidente di Gioventù Nazionale e deputato del neo governo con FDI, e Daniele Capezzone, giornalista ed ex deputato di FI. Le e gli studenti la mattina si sono trovati la facoltà sbarrata e la Celere già schierata che ha poi fatto partire delle cariche violente contro la sola idea di appendere uno striscione.

Da martedì la disinformazione su quanto accaduto alla Sapienza è stata enorme, addirittura alcuni TG nazionali hanno parlato di otto feriti tra le forze dell’ordine, quando – come si vede molto bene dai video –  i feriti sono stati solo tra gli e le studenti. L’indignazione è massima nel cortile della facoltà soprattutto dopo il comunicato inviato dalla rettrice a tutta l’università via mail dove si spiega che «le autorità preposte alla sicurezza si sono adoperate per garantire la realizzazione dell’incontro e, al contempo, tutelare la sicurezza di chi avesse voluto prendervi parte», ma la rettrice prosegue «Sapienza ha all’interno della propria Città Universitaria un presidio fisso della Polizia di Stato che, in totale autonomia rispetto all’Ateneo, adotta le azioni che ritiene più consone, in coordinamento con la Questura territoriale», lavandosi le mani di qualsiasi responsabilità sull’accaduto. Eppure sembra strano che un reparto mobile possa entrare in un’amministrazione pubblica senza alcuna autorizzazione della dirigenza.

C’è una piccola cassa per l’amplificazione non così forte ma quando ci sono gli interventi nel cortile c’è sufficiente silenzio affinché tutti/e possano ascoltare. Inizia a parlare il collettivo di Scienze Politiche

«Potremmo dire molte cose su perché abbiamo deciso di convocare la piazza (…) Innanzitutto il Capitalismo buono non esiste, basta guardare alla crisi climatica di un pianeta che paga anni di sfruttamento sfrenato delle sue risorse, all3 milioni di lavorator3 sfruttat3 nel mondo, a ciò che subiamo tutti noi costretti dalla nascita a competere, meritare e superare chi abbiamo intorno, insomma a vincere la nostra guerra fra poveri e infine all’ansia, la malattia del nostro tempo».

L’intervento viene più volte interrotto da applausi. «La risposta della Sapienza è stata far entrare la polizia in antisommossa per reprimere violentemente la nostra protesta pacifica con manganelli e arresti nello stesso momento in cui il governo meloni si insediava alla camera». Ma oltre il racconto dei fatti si critica l’Università e la sua costruzione dei saperi, e su questo punto il governo Meloni appare in piena continuità con i precedenti. La nuova ministra dell’Università e della Ricerca, Annamaria Bernini, è una fedelissima di Berlusconi, già ministra nel Berlusconi IV, mentre il ministero della scuola cambia nome in Ministero dell’istruzione e del merito, con Giuseppe Valditara alla sua direzione.

«Quello che chiamano merito è per noi è la competizione a cui siamo costretti. È l’elogio dell3 student3 che si laureano giovanissimi. Ma c’è un’altra faccia della medaglia ed è quella di chi lavora per mantenersi, di chi ha tempi di apprendimento dilatati, di chi viene pluribocciato da professori pignoli e ultra esigenti, di chi non può perché sta male, di chi ha o sviluppa l’ansia e soprattutto di chi si uccide, per non deludere, per scappare dalla pressione. L’università non è e non deve essere né una gara, né un esamificio».

Si susseguono tanti interventi, cori, slogan, e all’imbrunire quando la voglia di parlare e di confrontarsi è ancora tanta, le e gli studenti decidono di rientrare nella facoltà, e di riprendersi almeno per una notte e un giorno intero lo spazio che gli era stato sottratto. Ci si sposta nell’aula più grande, ad anfiteatro, e dopo un breve intervento del Preside della facoltà di Scienze Politiche, Comunicazione e Sociologia e della Responsabile spazi, che eludono qualsiasi presa di posizione, continua l’assemblea. Certo è che anche tra il corpo docente della Sapienza c’è malcontento per quanto accaduto martedì scorso e anche il comunicato del Dipartimento di Scienze Politiche ha toni leggermente diversi da quelli del Rettorato. Qui leggiamo che «l’utilizzo della forza pubblica all’interno dell’Università deve essere riservato a situazioni eccezionali e richiede la massima responsabilità nella gestione dell’ordine pubblico all’interno dell’Ateneo. Auspica per il futuro che si riescano a trovare forme di mediazione e conciliazione, che valorizzino lo strumento del dialogo come forma di risoluzione dei conflitti».

Sono tantissimi i collettivi studenteschi universitari e delle scuole che prendono parola, emerge con forza la relazione con il movimento della Lupa, che l’anno passato ha occupato decine di scuole a Roma. Nel momento in cui viene dichiarata la facoltà occupata e si appende il nuovo striscione dietro la cattedra, lo slogan che viene scandito più volte nell’aula è quello degli operai della GKN.

Alcuni interventi spiegano in modo chiaro come l’università abbia un doppio standard per l’applicazione della libertà di espressione, così al collettivo di filosofia di Villa Mirafiori è stata negata la possibilità di fare un convegno con Amnesty International sull’apartheid nei territori occupati palestinesi, e la stessa cosa è accaduta al convegno in presenza di Amineh Kakabaveh, attivista curdo-iraniana elette al Parlamento svedese.

Entrambi gli eventi erano stati considerati dall’Università troppo di parte e senza contraddittorio. Gli spazi di socializzazione e aggregazione si riducono sempre di più in un’Università che riapre dopo il Covid, con il badge obbligatorio, con la security all’ingresso, con spazi autogestiti sgomberati, e con servizi per il diritto allo studio praticamente inesistenti.

È fortissimo il tema della critica ai saperi che vengono insegnati e studiati in queste aule, esami pieni di categorie eurocentriche, patriarcali, machiste. Mentre nelle aule le ragazze e le persone non binarie devono stare attente alle micro-aggressioni e alle molestie continue a cui sono sottoposte. In un Università che offre una carriera alias solo e solamente se si ha una diagnosi di disforia di genere, senza però fare nulla contro l’uso continuo del dead name da parte delle classe docente. Risuona con forza l’idea che non è una donna rettrice, o una donna Presidente del Consiglio, che trasformano il profondo e radicato sistema di potere patriarcale del nostro paese.

Un ragazzo di Giurisprudenza parla del senso di isolamento che oggi si vive nei corridoi dell’università: «sono molto emozionato da quello che sta succedendo. Dobbiamo tornare a parlare nelle facoltà, attraversarle, incontrarci. Prendiamoci cura del prossimo, delle persone che abbiamo accanto, dobbiamo tornare a sentire con il cuore quello che accade, vivere insieme dal basso questa università». In una società in cui tutto è stato privatizzato e si corre l’uno contro l’altro, rimbomba forte una domanda: qual è il ruolo sociale dell’Università? Questa mobilitazione è decisa a dare una risposta diversa da quella che abbiamo letto negli ultimi trent’anni su tutte le riforme dell’istruzione. Anche solo per poter avere la semplice «possibilità di inseguire i nostri sogni»

Tutte le immagini di redazione